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Conferenza in Israele mette in luce le contraddizioni neocon sull'Asia sud-occidentale

23 gennaio 2007 – Mentre da più parti, comprese le due ali del Congresso USA, si sta alzando la guardia nei confronti di un probabile attacco all'Iran, la propaganda mediatica, tesa a creare sdegno nel pubblico internazionale nei confronti di Teheran, procede a pieno regime.

Nei giorni scorsi, in Israele si è tenuta la settima conferenza annuale del Centro Interdisciplinare di Herzliya, che prende il nome dalla città in cui si tiene: una specie di riunione di ultra-falchi, alla quale hanno partecipato figure di spicco dei militari e della politica, nonché i soliti noti della cabala guerrafondaia internazionale, tra cui Richard Perle, Josè Maria Aznar, l'ex capo della CIA James Woolsey e il famigerato “storico” Bernard Lewis.

L'ex capo di stato maggiore dell'esercito israeliano, generale Moshe Yaalon, intervenendo, ha detto che se Israele si ritirerà nei confini del 1967, ciò aiuterà solamente “i jihadisti”. Il generale ha rincarato la dose aggiungendo che il confronto con l'Iran sarebbe ormai inevitabile, vista l'ignavia nel portare avanti misure di coercizione politica ed economica da parte dei paesi occidentali.

Alla stessa conferenza, il funzionario del Dipartimento di Stato USA Nicholas Burns, usando un linguaggio alla film western, ha espresso la linea politica di Dick Cheney, dicendo: “L'Iran deve imparare a rispettare la forza.”

Richard Perle
ha ribadito che il Presidente Bush attaccherà l'Iran se gli sarà chiaro che quel paese è pronto a dotarsi di armi nucleari, aggiungendo che la politica delle sanzioni non fermerà l'Iran dal procedere in tal senso. Ergo…

Robert Einhorn, ex assistente Segretario di Stato USA per la non-proliferazione, ha avuto parole più misurate, dicendo di preferire le misure politiche a quelle militari, che però, ha aggiunto, rimangono sul tavolo, indicando il centro di Natanz come il possibile primo obiettivo di un attacco.

Alla conferenza era presente anche l’ex premier Benjamin Netanyahu, che, dal suo punto di vista oligarchico-finanziario, ha proposto ai fondi pensione dei paesi che “non hanno fatto nulla per fermare l'Olocausto” di disinvestire da imprese che fanno affari con l'Iran “per fermare il genocidio.”

Un episodio piuttosto rivelatore è stato quello che ha visto protagonista il dottor Ariel Levite, ex vice-direttore della Commissione Israeliana per l'Energia Atomica, il quale ha detto che, a dispetto delle misure adottate tra il 1969 e il 1987 a livello internazionale per impedire la diffusione di armi nucleari, oggi ci sono tre stati non firmatari del Trattato di Non-Proliferazione dotati della bomba atomica: India, Pakistan ed Israele.

Questa affermazione è tanto più insolita, dal momento che le autorità Israeliane, come noto, non hanno mai ammesso di possedere armi nucleari., e per un funzionario israeliano ammettere ciò è vietato. I successivi sforzi del dottor Levite di negare le sue stesse parole fanno il paio con quelli adottati dall'ufficio di Ehud Olmert, qualche settimana fa, per smentire uno “scivolone” simile compiuto dal Primo Ministro col giornale tedesco Der Spiegel.

Viene il dubbio che tali “scivoloni” altro non siano che tentativi di intimidazione.

Voci più sane dalla stessa conferenza sono venute da Richard Haass, presidente del Council on Foreign Relations che ha sottolineato invece come “il ruolo degli USA nel Medio Oriente è finito” mettendo in evidenza il disastro iracheno “a dispetto della retorica sulle elezioni.” Haass ha poi criticato Israele per non volere dialogare con la Siria e per disprezzare il canale diplomatico, indirizzando al contempo agli Stati Uniti una raccomanadazione sulla falsariga del rapporto Baker-Hamilton, affinché si intavolino colloqui diretti con l'Iran, anche per risolvere la crisi irachena.


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