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LaRouche sulla presidenza Bush e il rischio di guerra in Iran

3 aprile 2007 – Rivolgendosi ai giovani del movimento LYM il 31 marzo, Lyndon LaRouche ha sottolineato l'urgenza di un impeachment del vice presidente Dick Cheney, dettata dall'accentuarsi del processo di sgretolamento dell'amministrazione Bush. Il noto statista americano ha quindi paragonato Bush al Giulio Cesare tratteggiato da Shakespeare, la cui fine viene complottata dagli ex alleati. LaRouche ha infatti sostenuto che alcuni alleati repubblicani di Bush sono pronti a pugnalarlo, ovviamente in senso politico.
“Il pericolo - ha spiegato il fondatore dell'EIR - è che si determini una situazione in cui il presidente è screditato, e altrettanto screditato è il partito democratico, a motivo dello spazio di manovra che sta conferendo ad Al Gore. Si tratta di una porta aperta per tentativi golpisti, o rovesciamenti del governo, e per l'affermazione di dittature. Questo è il pericolo, e lasciare libertà di manovra a Cheney, in condizioni del genere, equivale ad un invito ad imporre una dittatura fascista sugli USA, cosa che potrebbe accadere a motivo della situazione così venutasi a determinare”.
Parlando del problema Gore, LaRouche ha detto che è ormai diventato “un fuoco fatuo”, in particolare dopo che la sua truffa sul riscaldamento globale è stata denunciata persino dal Bild, il diffusissimo tabloid tedesco. L'ondata di denunce iniziata dall'inglese Channel 4 segna l'inizio della fine di Gore. “Non durerà molto più a lungo”, ha osservato LaRouche, aggiungendo: “Chi sta con lui andrà a fondo, chi lo sostiene è politicamente spacciato e avrà opportunità elettorali pari a zero”.
Sul pericolo di un'aggressione militare contro l'Iran decisa da Cheney, LaRouche ha pubblicato una vasta analisi intitolata “Russia e Iran sulla strategia” in cui sottolinea l'urgenza di riforme economiche d'emergenza guidate da USA, Russia, Cina e India.


Anche i mezzi d'informazione dell'establishment cominciano a prendersela con Bush

Il quotidiano londinese Financial Times ha pubblicato il 26 marzo un servizio su sette colonne intitolato “Bush sconfitto? Perché la presidenza in rapido declino ha poche chances”. Sottotitolo: “Una casa Bianca assediata dagli scandali perde il controllo sulla tabella di marcia. I repubblicani cominciano a prendere le distanze e si prospetta uno scontro costituzionale sui privilegi dell'esecutivo.”
L'articolo è accompagnato da una foto di Bush scuro in volto giustapposta a quella di un trionfante Theodore Roosevelt a cavallo, il presidente USA che portò a termine con successo le “guerre preventive” imperiali. È accompagnato inoltre da un grafico sui consensi raccolti da Bush, che erano tra il 50 e il 60 per cento prima dell'11 settembre 2001, raggiunsero il 90% poco dopo quella data ma poi crollarono come le quotazioni in borsa e sono oggi stimati al 30%.
Il commento conclude citando l'ex consigliere di Sicurezza Nazionale di Jimmy Carter, Zbigniew Brzezisnki: “È chiaro che Mr. Bush ha deciso di lasciare il problema dell'Iraq al suo successore ... Ma per l'Iran le cose stanno ben diversamente. Sia Mr. Bush che Mr. Cheney hanno ripetutamente chiarito che intendono risolvere il problema iraniano prima dello scadere del loro mandato. Ma la signora Rice può essere sempre scavalcata”.
Lo stesso giorno il Washington Post pubblicava un commento di Robert Novak intitolato “Bush persino più isolato di Richard Nixon alle prese con l'impeachment”. “Con i due anni di presidenza che gli restano, George W. Bush è solo. In mezzo secolo non ricordo un presidente tanto isolato dal suo stesso partito in Congresso, nemmeno Jimmy Carter o persino Richard Nixon alle prese con l'impeachment”.
Facendo la lista delle ultime disavventure, Novak notava che “anche i repubblicani usano [il termine incompetenza] per caratterizzare l'amministrazione Bush. Diversi di loro con i quali ho parlato indicano tre principali episodi di incompetenza: lo scandalo dell'ospedale militare Walter Reed, l'abuso del Patriot Act USA da parte dell'FBI e il fiasco del licenziamento dei procuratori. 'Abbiamo sempre sostenuto di essere il partito della buona gestione’, mi ha detto un parlamentare; 'come possiamo più pretendere di esserlo?'.”

Odore di fronda repubblicana

Persino Chuck Hagel, parlamentare che cerca la nomina repubblicana per candidarsi alla presidenza, è venuto allo scoperto a ventilare la possibilità di un impeachment di George W. Bush. Ad una nota trasmissione condotta da George Stephanopoulos alla ABC, il sen. Hagel ha detto il 25 marzo che se Bush continua ad ignorare in maniera così arrogante le indicazioni che gli arrivano dalla popolazione americana e le iniziative del Congresso sull'Iraq rischia l'impeachment. E non è la prima volta. Già in un'intervista sulla rivista Esquire Hagel aveva affermato: “Il presidente dice 'non m'importa'. Egli non crede di dover rendere conto ad alcuno, ma non è così. Rischia l'impeachment e questo può davvero accadere prima che la storia finisca. Non è detto, ma dipende da come si mettono le cose”.
Stephanopoulos gli ha ricordato quel commento su Esquire e Hagel ha aggiunto: “Se un presidente dice 'non m'importa', o 'non rispondo a ciò che la gente dice sull'Iraq o su altro', oppure 'non m'importa ciò che fa il Congresso, io tiro dritto'; se un presidente è davvero convinto di ciò, allora, come dicevo, ci sono sistemi per affrontare tale problema. Questa non è una monarchia”. Stephanopoulos ha chiesto se si riferisse all'impeachment e Hagel ha risposto: “Questo non l'ho detto. Non ho fatto un appello in tal senso, né prevedo che accada. Ho solo presentato le opzioni possibili. Un presidente non comanda un paese a bacchetta e non è sua facoltà farlo. Il nostro è un governo costituzionale, con tre branche che sono uguali. Quella del presidente non è superiore alle altre due. Nel primo articolo della Costituzione non c'è il Presidente ma il Congresso...”
“Allora intendevo dire che ci sono sistemi per trattare con questo problema e spero che il presidente lo capisca. Ovvero, quello che ha detto ... al discorso radiofonico mi ha lasciato di stucco. Ha detto al Congresso, in pratica, che l'Iraq non è niente che lo riguarda, ma che spetta invece a lui decidere tutto”.
Hagel faceva così riferimento al commento di Bush dopo il voto della camera sui fondi supplementari per la guerra, che è stato decisamente sprezzante. “Certo che lui può non essere d'accordo ... ma liquidare il Congresso dicendo 'voi non avete voce in capitolo su questo tema, non contate niente in questo' significa che è mal consigliato e propongo che faccia lo sforzo di rileggersi la Costituzione”.
Di fronte alle nuove richieste di impeachment Lyndon LaRouche ha rilanciato la campagna per chiedere che Dick Cheney sia liquidato con l'impeachment prima di Bush.

Professionista militare indica il “pericolo strategico” che incombe sulle forze armate USA

L'ex generale Barry McCaffrey, attualmente docente di affari internazionali all'Accademia Militare USA, è da poco rientrato dall'Iraq ed ha tracciato un quadro preoccupante della situazione. Il 26 marzo ha presentato un resoconto di attività in cui spiega che l'Iraq “è dilaniato” da una guerra civile a bassa intensità “che è degenerata a livelli catastrofici”. Gli attacchi alle truppe USA sono nell'ordine delle migliaia ogni mese, sia da parte sciita che sunnita. Tre milioni di iraniani sono sfollati o hanno lasciato il paese. Il governo Maliki non è preso sul serio dalla popolazione sciita, è disprezzato da quella sunnita come “surrogato della Persia”, ed è reputato infido e incompetente dai curdi. Il governo non esercita nessuna funzione in maniera efficace in tutto il paese e non è in grado di spendere il denaro di cui dispone in maniera efficace.
“Nessun funzionario del governo iracheno, soldato della coalizione o diplomatico, giornalista, esponente di NGO o contractor può percorrere le strade di Baghdad, Mosul, Kirkuk, Bassora, Tikrit, Najaf o Ramandi senza una pesante scorta armata”, scrive McCaffrey. L'esercito iracheno è troppo piccolo, mal equipaggiato e soffre di numerose assenze e diserzioni. Gli insorti e le milizie settarie forse contano più di 100 mila elementi, molti dei quali sono capaci di operare in maniera indipendente. Nonostante le gravi perdite inflitte agli insorti, vari gruppi “evidentemente riescono immancabilmente a rigenerare sia la ledership che i ranghi. Numero, grado di specializzazione e pericolosità aumentano, non diminuiscono, quando subiscono perdite anche notevoli”.
Altrettanto desolato è il panorama tracciato da McCaffrey sul versante degli USA. Egli fa notare la perdita di sostegno nel paese per una guerra che costa 9 miliardi di dollari al mese “senza niente in cambio”, ed espone i problemi di reclutamento, ritenzione e prontezza delle truppe. Fa notare che sono ben nove le brigate della Guardia Nazionale che saranno chiamate per il secondo turno su base obbligatoria. “Molti ritengono che questo secondo turno di chiamata non volontaria minerà la struttura già debole della Guardia Nazionale”, scrive McCaffrey. A conclusione afferma: “Le forze armate degli USA sono in una posizione di pericolo strategico”. Un disastro in Iraq condurrebbe ad una lotta che metterebbe in pericolo gli interessi USA nella regione per una generazione a venire e “produrremo inoltre un'altra generazione di soldati che non avranno fiducia nei politici americani, nei mezzi d'informazione e nei propri ufficiali”.
McCaffrey conclude: “l'intera operazione irachena sta per sfuggire ad ogni controllo, con i poveri iraniani che si scannano l'un l'altro mentre le nostre forze sono prese in mezzo”.

Lo scandalo Gonzales

Alberto Gonzales è il ministro della Giustizia, o Attorney General USA, che lincenziò una serie di procuratori per motivi politici, di cui ha riferito tra gli altri lo Strategic Alert dell'EIR (n. 12 del 22 marzo). La Commissione Giustizia del Senato ha tenuto audizioni sul caso il 29 marzo e di fronte ai sabotaggi da parte repubblicana il presidente della commissione Patrick Leahy ha commentato di non aver mai visto tentativi di insabbiamento simili nei 33 anni che è in Senato.
È stato possibile ascoltare solo Kyle Sampson, capo dello staff di Gonzales all'epoca del licenziamento. Egli ha sostenuto che Gonzales mente quando dice di essere estraneo alla decisione di licenziare gli otto procuratori, perché egli stesso discusse con lui la questione almeno cinque volte esponendo le proprie convinzioni, ma poi Gonzales prese la decisione da solo. Per il sen. Charles Schumer, “la credibilità dell'Attorney General è stata devastata da quanto accaduto nell'aula delle udienze”.
Tra i repubblicani che compongono la Commissione, solo due hanno avuto il coraggio di difendere l'operato dell'amministrazione Bush (Orrin Hatch e John Cornyn). Altri due solitamente schierati senza riserve per Bush (Jeff Sessions e John Kyl) questa volta hanno apertamente criticato l'operato dell'amministrazione.
Critici anche i repubblicani Charles Grassly e Arlen Specter. Quest'ultimo ha parlato di “abuso” del Patriot Act per “aggirare” il diritto del Senato di approvare le nomine dei procuratori. Specter ha inoltre insistito affinché il consigliere di Bush, Karl Rove, si presenti a testimoniare dopo che la Casa Bianca ha già respinto una richiesta in tal senso della Commissione.


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