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Indovina chi viene a cena: l'inflazione degli alimentari

12 settembre 2007 – I prodotti alimentari registrano un aumento dei prezzi su scala mondiale. Per il latte si calcola il 50% in pochi mesi. Il prezzo del latte in polvere è raddoppiato nell'ultimo anno. I cereali stanno assumendo tendenze analoghe: rispetto all'anno scorso, in Italia si paga il 20% in più per la pasta, in Francia il 12% in più per la baguette e le tortillas costano il 60% in più in Messico.
I massmedia si sbracciano a incolpare gli appetiti insaziabili dei cinesi e degli indiani, le cui importazioni di alimentari continuano a crescere. Si tratta di puro cinismo. La colpa ricade sul processo stesso di globalizzazione che ha condotto all'eliminazione del principio della sicurezza alimentare dalla politica degli stati nazionali, imponendo l'importazione dai paesi del terzo mondo a prezzi che sono ben al di sotto di quelli di produzione. Non c'è alternativa al ribaltamento della globalizzazione.
Un altro aspetto del problema è che nel bel mezzo dello sfascio finanziario in corso, in cui strumenti puramente finanziari vengono cancellati a miliardi, beni “reali” come gli alimentari e le materie prime fanno sempre più gola e i megaspeculatori della stazza di Goldman Sachs e Marc Faber consigliano ai loro clienti di diversificarsi nel settore agroalimentare. Al Board of Trade di Chicago, borsa mondiale del settore agroalimentare, si registrano ogni anno aumenti delle transazioni dal 2002, con un'impennata astronomica del 17% nella primavera di quest'anno. Ad alimentare la speculazione contribuisce anche la distruzione dei prodotti agricoli per produrre biocarburanti, una frode denunciata fin dall'inizio dalla rivista EIR.
A coloro che invece preferiscono prendersela con il cambiamento climatico, i cinesi e gli indiani occorrerà ricordare che una pianificazione economica competente deve partire dai presupposti di un aumento demografico, un aumento dei livelli di vita e possibili variazioni delle condizioni climatiche. Le nazioni hanno abbandonato la politica di produzione e gestione delle scorte e riserve per affidarsi completamente ai “mercati”. Di conseguenza le riserve mondiali di riso e di grano hanno raggiunto il minimo degli ultimi 28 anni mentre gli agricoltori europei e americani sono continuamente costretti a cercarsi un'altra fonte di reddito, proprio a fronte di un aumento del fabbisogno alimentare mondiale.
La politica dell'Unione Europea di definire quote rigide per la produzione di latte e di premiare i produttori che mettono a riposo i campi invece di coltivarli a cereali è un esempio della follia economica che contraddistingue gli ultimi trent'anni, secondo cui la produzione agricola è solo una categoria di strumenti di mercato. Forse in passato è stato possibile evitare o assorbire gli shock alimentari ricorrendo al saccheggio del terzo mondo, ma in un periodo di sfascio economico e finanziario generalizzato come quello attuale, quest'opzione non è più praticabile.
Gli interventi dei governi a difesa degli interessi nazionali hanno dei precedenti storici. Negli USA furono effettuati durante la seconda guerra mondiale. In Europa i prezzi alimentari furono protetti dopo la guerra, con prezzi fissi per alcuni generi, per garantire uno standard di consumo a tutti.


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