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L'incidente nello Stretto di Hormuz

14 gennaio 2008 – Secondo quanto riferito dal Pentagono, il 6 gennaio cinque battelli veloci della Guardia Rivoluzionaria Iraniana hanno affrontato tre unità navali USA nelle acque dello Stretto di Hormuz. Rapporti contrastanti indicano che si è rischiato uno scontro a fuoco, l'esatto tipo di pretesto che il partito della guerra a Washington sta cercando per rilanciare i piani di una guerra preventiva contro l'Iran, da far esplodere prima che Bush e Cheney lascino la Casa Bianca.
Fonti d'intelligence e militari statunitensi hanno fatto sapere che il pericolo di scontro tra gli USA e l'Iran non scaturisce dal braccio di ferro sul programma nucleare iraniano quanto piuttosto da un incidente, sia esso reale che inscenato, nello stretto del Golfo Persico. Un ex alto ufficiale del CENTCOM, il comando centrale americano in Medio Oriente, ha definito l'episodio un nuovo “incidente del Golfo del Tonkino”, in riferimento alla presunta aggressione dei nordvietnamiti contro le navi USA nel Golfo del Tonkino che servì, alla fine degli anni Sessanta, ad indurre il Congresso USA ad autorizzare un intervento militare massiccio nella guerra del Vietnam. In seguito fu poi dimostrato che l'incidente non c'era mai stato.
Intanto l'incidente del 6 gennaio è stato prontamente sfruttato da George Bush, in visita ad Abu Dhabi, per bollare l'Iran come “il principale promotore mondiale del terrorismo". Prima che Bush si lasciasse andare però, l'entità dell'incidente sembrava di gran lunga inferiore rispetto a quella poi attribuitagli dall'amministrazione Bush. Il 12 gennaio il portavoce della Quinta Flotta USA nel Behrain ha ufficialmente confermato che le minacce giunte per radio alle unità navali USA, prontamente diffuse dai mass media insieme ad una videoregistrazione del Dipartimento della Difesa, potrebbero essere accidentalmente venute a coincidere con il passaggio dei battelli in prossimità delle unità USA, e potrebbero non essere state emesse dai battelli stessi. La precisazione è giunta nel momento in cui si speculava sulla dichiarazione del comandante Jeffrey James secondo cui l'unità americana aveva iniziato “la risposta convenuta per dissuaderli, prima di dover intraprendere azioni letali”. Dunque i battelli si sono allontanati prima ancora di ricevere il monito di essere sotto tiro, e non è dimostrato che abbiano comunicato qualcosa.
Il Washington Post ha riferito il 13 gennaio che periti linguisti e iraniani in America sostengono che la voce della registrazione del Pentagono non possa appartenere ad un iraniano. Ad esempio, Karim Sadjadpour, americano di origine iraniana del Carnegie Endowment for International Peace, afferma che “l'accento della voce è pakistano, o di un americano che si sforza di parlare Farsi, ma non di un iraniano”. Anche il Navy Times ha riferito l'11 gennaio che non è stata accertata la fonte della trasmissione, che poteva dunque provenire da terra, e aggiunge che il fenomeno di comunicazioni pirata, soprattutto “insulti, epiteti e bassezze”, non è nuovo.
Il giornalista Jim Lobe riferisce inoltre che i militari americani, generalmente contrari all'avventurismo della Casa Bianca, avrebbero cercato, attraverso l'ammiraglio William Fallon del Comando Centrale USA, di stipulare un accordo con gli iraniani su eventuali incidenti navali, ma che tale negoziato è stato vietato dalla Casa Bianca.

Cheney deve andarsene

Il “quasi scontro” tra le unità navali USA e i battelli veloci iraniani nello stretto di Hormuz - che si sia trattato di un episodio vero o fabbricato - dimostra ancora una volta la necessità di allontanare Cheney dal potere perché, sebbene la pubblicazione del National Intelligence Estimate da parte di 16 enti di intelligence USA abbia ridimensionato i rischi immediati, il vice presidente continua a tessere le sue trame per arrivare a colpire l'Iran, nel contesto del piano generale coordinato da Londra di provocare il caos su scala globale.
Per questo motivo è importante seguire e incoraggiare ogni iniziativa mirante all'impeachment del vice presidente che i mezzi di informazione non ritengono opportuno riferire. Ad esempio, l'ex sen. George McGovern, che fu candidato democratico contro Richard Nixon nelle presidenziali del 1972, ha pubblicato un appello sul Washington Post del 6 gennaio in cui propone l'impeachment immediato, sia del presidente che del vice presidente. McGovern sostiene che questa amministrazione si sia macchiata di colpe di gran lunga più gravi di quelle che costarono l'impeachment a Nixon. Dopo aver elencato i capi d'accusa contro l'amministrazione, McGovern depreca “la mancanza di coraggio e di levatura da parte di troppi politici democratici”, cosa che rende un impeachment improbabile.
Il parlamentare democratico Michael Michaud ha inviato una lettera al Presidente della Commissione Giustizia della Camera John Conyers, il 21 dicembre, esortandolo a prendere iniziative sulla risoluzione per l'impeachment, presentata dall'on. Kucinich, che è stata approvata e inoltrata alla sua Commissione.
L'on. Robert Wexler, che aveva già postato sul suo sito una petizione simile raccogliendo numerosissme adesioni, Wexler ha diffuso una nuova dichiarazione l'8 gennaio, intitolata “Surge of Lies”, con cui denuncia come menzognera e fallimentare la politica del “surge”, ovvero della necessità di aumentare le truppe dispiegate in Iraq, addossandone le responsabilità anche ai colleghi democratici.


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