Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà

 

 

Riflessioni sui sessantottini: che c'è sotto la pelle?

di Lyndon LaRouche, Jr.
6 gennaio 2007

In questa campagna presidenziale americana, è ormai chiaro agli occhi di qualunque osservatore competente, che l'intenzione di certi potentissimi interessi finanziari internazionali è quella di far eleggere un “cavaliere bianco”; i futuri storici potrebbero descrivere l'elezione dell'attuale sindaco di New York, il Sig. Bloomberg, come la dittatura di stampo mussoliniana instaurata in America nel gennaio 2009.

L' intenzione dei suddetti straricchi parassiti finanziari, che già controllano ampiamente le campagne dei vari candidati, è quella di far scontrare tutti i candidati tra loro, in modo da indebolirne sufficientemente il potenziale elettivo entro i primi di marzo 2008, e da poterli scartare per mezzo di ulteriori manipolazioni finanziarie, così da spianare la strada di un tiranno, in groppa ad un lussuosissimo “cavallo bianco” finanziario.

Comprendere perché possa ora, come in un incubo, stagliarsi al nostro orizzonte una tale minaccia, è necessario analizzare l'evoluzione di un movimento reso famoso dall'espressione “sessantottini”, emerso dalla generazione dei “colletti bianchi”, sviluppatasi nell'intervallo 1945-1958 al di qua e al di là dell'Atlantico, e in altre regioni rilevanti del pianeta.

L'inserto Dossier dell'edizione domenicale del tedesco Welt am Sonntag discute in maniera politicamente superficiale degli eventi che quarant'anni fa interessarono Berlino e altre città. L'importanza dell'aspetto centrale dell'articolo di Richard Herzinger sta nel fatto che egli illustra il luogo comune con cui normalmente si dipinge il ruolo dei “sessantottini”, mancando di comprenderne la realtà soggiacente. Si tratta di un ruolo strategicamente e globalmente significativo, che li rende responsabili del processo letale, echeggiante il nazismo, che governa le elezioni presidenziali americane, e altre elezioni politiche nel mondo.

Io conosco tutta la storia, e molto bene. Ero presente, ero sul posto, quando si ebbero gli eventi del '68. Ero stato sul campo ancor prima, sul finire della guerra, nel periodo 1944-1946 e negli anni successivi, quando erano stati piantati i semi di quel fenomeno,. Nella mia vita adulta ho sempre prestato molta attenzione a questo fenomeno, fino ad oggi.

Durante un incontro serale organizzato nel campus della newyorchese Università della Columbia, nel giugno 1968, presentai quelle che a mio giudizio erano le lezioni da imparare dai due grandi scioperi studenteschi che si erano succeduti nei mesi precedenti. Poco dopo, un resoconto scritto sul mio intervento fu pubblicato con il titolo “La Nuova Sinistra, il controllo locale, e il fascismo”. In quel resoconto, paragonavo il secondo sciopero sul campus con il tira-e-molla che, durante l'ascesa dei nazisti sancita da Hermann Goering con l'incendio del palazzo del Reichstag, aveva fatto [istericamente] associare vari brandelli del partito comunista e del partito nazista nel famoso sciopero dei tranvieri di Berlino. Dalla primavera del 1968 in poi, una maggioranza chiaramente definita della cosiddetta “Nuova Sinistra”, sia negli Stati Uniti che altrove, andò costituendo il germe di un movimento fascista. Questo sarebbe saltato agli occhi di chiunque avesse appreso la lezione del secondo sciopero alla Columbia, scrutando da vicino e seriamente.

Sapevo il fatto mio, e ora conosco il fenomeno con ancor maggior chiarezza, con la scorta di più dettagli, a distanza di quarant'anni.

A metà dell'agosto 1971, il presidente Richard Nixon agì nel modo che avevo cercato di scongiurare. Avevo previsto il suo comportamento, come un probabile sviluppo della situazione di allora. Egli ripudiò il sistema monetario a cambi valutari fissi stabilito a Bretton Woods, lanciato su iniziativa del presidente Franklin Delano Roosevelt, un'iniziativa salvifica per il mondo del 1944-1945.

Il 31 agosto 1971 fu pubblicato un testo che riprendeva un mio ammonimento. Il testo fu fatto circolare ampiamente: in esso, dicevo, la decisione di Nixon equivaleva a dare il 'la' ad azioni miranti ad instaurare un ordine mondiale fascista, e occorreva fare dietro front, immediatamente.

Da parte mia, non ero affatto sorpreso. Durante il periodo 1959-1961 e anche dopo, infatti, avevo formulato ripetutamente delle previsioni economiche per gli anni '60: avevo detto che, tollerando negli Stati Uniti le politiche economiche monetariste di Arthur Burns et al., le stesse politiche responsabili della recessione del 1957, avremmo rischiato di disintegrare il sistema monetario di Bretton Woods. Il presidente John F. Kennedy divenne un nemico rooseveltiano di quelle politiche, che io avevo avversato sin dalla fine degli anni '50. Il suo assassinio e le menzogne del Golfo di Tonchino, tuttavia, portarono ripetutamente, nel corso del decennio successivo, nella direzione che avrei voluto evitare.

La mia insistenza nell'avversare le politiche responsabili della recessione del 1957 era dovuta alla consapevolezza che esse ci avrebbero portato ad un crisi nella seconda metà degli anni '60, una crisi di rottura del sistema di Bretton Woods, da rendersi manifesta alla fine del decennio o all'inizio del successivo.

Accade esattamente come avevo previsto.

Con il realizzarsi della rottura del sistema a cambi fissi di Bretton Woods, il 15-16 agosto 1971, risultai essere l'unico economista pubblicamente noto, negli Stati Uniti e in Europa, ad aver previsto un tale sviluppo.

La figura chiave dietro alla decisione di Nixon fu il suo consigliere George P. Shultz. In non più di due settimane, ammonii che l'intenzione dietro all'azione nixoniana era quella di spianare la strada ad un presa di mano fascista dell'economia americana. Nel gennaio 1972, Shultz fu attivato per distruggere i resti del sistema di Bretton Woods. Le politiche monetarie della presidenza Nixon, seguite, sotto la presidenza Carter, dalle politiche economiche interne di stampo fascista suggerite dalla Commissione Trilaterale di Zbigniew Brzezinski, distrussero le fondamenta della ripresa economica stabilite da F. D. Roosevelt, e prepararono la prospettiva di una depressione economica mondiale, quella scoppiata approssimativamente il 30 luglio 2007.

Nel settembre 1971, sfidai pubblicamente gli economisti più in voga che, allora come oggi, non erano riusciti a prevedere questo sviluppo. Qualche settimana più tardi, il professor Abba Lerner, noto economista keynesiano strettamente associato al professor Sidney Hook, accettò la sfida. Il grande dibattito si tenne al Queens College. Io dissi che le politiche difese da Lerner avrebbero portato al fascismo, con la stessa generale procedura con cui, in Germania, Adolf Hitler era stato portato al potere. Lerner mi rispose farfugliando una frase fatale: che se i socialdemocratici tedeschi avessero accettato le politiche di Hjalmar Schacht “Hitler non sarebbe stato necessario”! Il pubblico capì che, con una tale ammissione da parte di Lerner, il dibattito era giunto al termine.

     
A destra Abba Lerner a sinistra LaRouche
Il professor Sidney Hook minacciò una decisione definitiva: la mia vittoria su Lerner a quel dibattito avrebbe significato per lui e per i suoi associati l'impegno a non farmi più accedere ai dibattiti pubblici. Ai miei critici, anche odierni, si potrebbe suggerire che io mi rivelai semplicemente più intelligente degli economisti e delle figure politiche che, da allora, hanno continuato ad esprimere un totale disaccordo nei miei confronti, sia in merito ai temi politici che a quelli economici.


1. L'uovo si schiude

Veniamo al presente. Il governatore della California, Arnold Schwarzenegger, sta ricalcando, o quasi, le orme di suo padre, ottimo servitore del regime nazista. Il padre seguì gli ordini di Hitler, il figlio segue le dritte di George Shultz, il quale costruì la macchina genocida di Pinochet in Cile, con la collaborazione di gente come Felix Rohatyn. Lo Schwarzenegger di oggi deve a Shultz l'elezione a governatore, in un processo che ebbe lo svergognato appoggio da parte di Londra.

Ormai l'uovo è schiuso.

Nonostante sia enorme la massa di indizi e di dimostrazioni in merito a quanto detto all'inizio, le pagine dell'edizione del 6 gennaio del Welt am Sonntag ci ricordano come siano ancora pochi coloro che abbiano imparato ad accettare la verità intorno all'insorgenza della Nuova Sinistra, anche dopo quarant'anni di tempo a disposizione per rifletterci sopra. La maggior parte di quella generazione, e di altre, sarà chiamata a imparare, forse a costo di grandi sofferenze, quali furono i veri motivi della loro forte opposizione alle mie prime candidature.

Dal 1971 sono odiato e temuto da individui influenti, sia negli Stati Uniti che in Europa, i quali, più o meno consapevolmente sono degli equivalenti di Montagu Norman, capo della Banca di Inghilterra negli anni '20 e '30 del secolo scorso, l'uomo che usò Hjalmar Schacht per portare Hitler al cancellierato tedesco. Ciò che accade oggi è diverso solo perché lo strumento per stabilire una tirannia fascista non si chiama Schacht, ma George Shultz (come ho più volte denunciato) e il dittatore non si chiama Hitler, ma - finché la prospettiva non cambia - è il sindaco di New York Michael Bloomberg.

Il rifiuto ostinato a riconoscere questa minaccia, sin da prima dell'agosto 1971, non è mai stato dovuto alla mancanza di abbondanti prove. Per alcune persone, come per il forsennato maltusiano ex vicepresidente Al Gore, sarebbe stato sufficiente guardarsi politicamente allo specchio. Il fallimento del Welt am Sonntag nel considerare le vere origini e il vero carattere della maggioranza dei cosiddetti “giovani del '68” è tipico di un certo sganciamento dalla realtà, che riscontriamo in molti governi e partiti politici, sia quando danno forma alle politiche economiche, che quando formulano previsioni.


Come tutto cominciò, nel giugno 1944

Per capire che cosa accadde nella primavera del 1968 alla Università della Columbia e altrove, occorre ritornare al giugno 1944.

Per capire che cosa stia accadendo ora, occorre ricordare che Mussolini e Hitler furono portati al potere dall'impero britannico, volutamente come dittatori. Mussolini era stato un pupillo di Winston Churchill, e lo rimase approssimativamente fino al giorno in cui decise di allearsi con Hitler, nella conquista della Francia (1940). Persino il re britannico Edoardo VIII fu costretto a rinunciare alla corona, proprio a causa della sua aperta adesione alla causa hitleriana. La storia dell'ombrello di Neville Chamberlain, durante gli incontri a Monaco che portarono al patto con Hitler del 1938, è fin troppo esagerata; ma senza l'intervento del presidente Franklin Roosevelt, la Gran Bretagna avrebbe capitolato agli accordi con Hitler, come fece il governo collaborazionista della Francia, durante gli eventi della primavera-estate del 1940. Senza il ruolo del presidente Franklin Roosevelt, la tirannia fascista avrebbe perdurato per decenni, dopo il 1940.

Allora, dov' è il Franklin Roosevelt di oggi? Chi sono i fascisti di oggi, disperatamente determinati ad impedire, come l'amico di Pinochet Felix Rohatyn, che una qualunque espressione rooseveltiana intervenga in questa crisi?

Per capire il fenomeno sessantottino, dobbiamo tornare ancora più indietro: agli anni '20 e alla prima metà dei '30. Dobbiamo cioè considerare quegli interessi finanziari con legami internazionali e centrati a Londra, a New York e in altri simili punti del pianeta, che si dedicarono alla costruzione dei regimi di Mussolini nell'Italia del 1922 e di Hitler nella Germania del 1933. L'affezione dell'oligarchia britannica per la causa di Hitler continuò fin verso la fine degli anni '30; perfino dopo la costituzione del fronte alleato con gli Stati Uniti rooseveltiani, nella Gran Bretagna di Churchill forte fu la riluttanza, espressa anche dai circoli strettamente vicini allo stesso Churchill, a vincere la guerra contro Hitler “troppo presto” (il tradimento britannico della rivolta dei generali tedeschi contro Hitler fu espressione di questa intenzione, connessa alla prospettiva desiderata per il mondo post-bellico).

Il successo dello sbarco in Normandia produsse un senso misto di sollievo e di preoccupazione tra i membri dell'oligarchia britannica. Il loro precedente affidamento alla leadership espressa da Roosevelt in tempo di guerra cominciò a calare di intensità, a fronte della crescente paura di ciò che il presidente americano programmava per il periodo di pace successiva, una diretta minaccia all'esistenza dell'impero britannico. Gli oligarchi di Londra potevano contare sulle simpatie dello stesso centro finanziario di Manhattan, che li aveva aiutati a sostenere le imprese di Mussolini e Hitler. Le elezioni presidenziali americane del 1944 videro una svolta a destra, non soltanto tra i repubblicani, ma anche tra democratici come il senatore Harry S. Truman.

Il risultato della svolta post-giugno 1944 nelle tendenze politiche americane deve essere compreso attraverso la lettura di certi cambiamenti immediati e radicali nella politica del Paese, resisi evidenti con la morte del presidente Roosevelt. I preparativi erano stati lunghi, duravano perlomeno dal 1938. Anzi, questa brusca svolta era stata preparata circa dodici anni prima, dagli ambienti del culto luciferino di Aleister Crowley. La missione era stata poi ereditata dai circoli di H.G. Wells e di Bertrand Russell, di concerto con la sezione di guerra psicologica dell'intelligence britannico, sotto la direzione del Generale John Rawlings Rees.

La monarchia britannica, in un certo senso, è davvero la monarchia che pretende di essere nelle sue rappresentazioni sfarzose; tuttavia, in un senso più profondo, sin dal regno di Giorgio I, e ancor più dalla Pace di Parigi del febbraio 1763, essa è lo strumento di un potere superiore. È questo potere superiore il vero impero britannico, che si presenta "in borghese", nella tradizione “liberale anglo-olandese” della Nuova Venezia, della fazione finanziaria di Fra' Paolo Sarpi.

Sin da quando l'ex protetto di Guglielmo di Orange divenne re d'Inghilterra con il nome di Giorgio I, Londra funziona come un impero di questo tipo, neo-veneziano. A parte le illusioni dei vari re e regine, e dei vari "non ti scordar di me", il vero potere imperiale è incentrato in una fauna intrinsecamente eterogenea nota come oligarchia liberista anglo-olandese, della quale l'agente britannico di fatto George Shultz fa parte e per la quale il governatore Schwarzenegger è una tragicomica pedina. Se si considera in questo modo l'attuale impero britannico, c'è un “briciolo di verità profetica” nelle pagine del noto Declino e caduta dell'Impero Romano, una fiction commissionata dal capo banda della Compagnia Britannica delle Indie Orientali, Lord Shelburne.

È l'impero finanziario di tradizione sarpiana, e il controllo sul Foreign Office da tale impero esercitato a partire dal 1782 tramite il compare di Shelburne, Jeremy Bentham, il vero nemico di lunga data degli Stati Uniti d'America, non il governo britannico. In altre parole, il principale germe di tradimento all'interno dei ranghi politici americani, sin dalla Pace di Parigi del 1763, è l'azione degli agenti britannici, che si inseriscono nella tradizione di Aaron Burr, agente di Bentham, e Andrew Jackson, sua pedina, o di Martin van Buren, o dello zio del presidente Theodore Roosevelt, noto Confederato, o di Woodrow Wilson, famoso per il suo fanatico entusiasmo per il Ku Klux Klan, oppure degli odierni “signori della guerra” George Shultz e Felix Rohatyn.

Ma torniamo ai sessantottini.

2. Da dove vengono i "baby-boomers"

Sin dall'inizio del dialogo in tempore bello tra il presidente Franklin Roosevelt e il primo ministro Winston Churchill, ovvero del dissidio sulla strategia bellica da adottare nel Pacifico, tra gli americani simpatizzanti di Churchill e il gen. Douglas MacArthur, non vi furono più segreti intorno all'aspro disaccordo sulle questioni strategiche nel corso successivo della guerra, o, anche, del periodo postbellico. Soltanto gli amanti di Wikipedia, l'enciclopedia-trappola suggerita da H.G. Wells, potrebbero essere così stupidi da cercare di negarne l'evidenza.

I baby-boomers non sono una generazione, ma una frazione della generazione biologica nata durante l'intervallo 1945-1958 che, come l'ex vicepresidente Al Gore, esprimono il frutto dell'essere stati allevati con una ricetta maltusiana di ostilità verso il progresso scientifico nell'industria, nell'agricoltura, nelle infrastrutture di base e verso la cultura artistica classica in generale. Agli estremi, essi erano la generazione del “drop out, drop in”. Non lo divennero "naturalmente", o "spontaneamente". Essi furono il prodotto di un progetto culturale, spesso indicato come “esistenzialismo”, basato su certi elementi costitutivi, esemplificati dalla “teoria dell'informazione”, e manie simili a quella della “generazione perduta” dell'Europa nel periodo successivo alla prima guerra mondiale.

I parametri di questa nuova versione di “generazione perduta” dei baby-boomers non sono fissi. Per esempio, coloro della stessa generazione che abbandonarono la resistenza iniziale al paradigma imposto di “generazione perduta”, scivolarono nelle sabbiemobili di un orientamento ideologico simile. La caratteristica preminente di queste tendenze decadenti è l'inclinazione ad abbracciare le manie “neomaltusiane”. Si può dire che passarono dall'altra parte, come hanno fatto alcuni dei miei ex collaboratori.

Poco di questa tendenza dei "baby-boomers" è accaduto per coincidenza.

Il significato del “1968”, brevemente descritto dal Welt am Sonntag non è da ricercare negli effetti della guerra in Vietnam in sé, ma principalmente nel crescente numero di membri della classe sociale della generazione dei “figli del boom economico” che raggiunsero la prima età adulta nel 1964-1968. La causa di questo fenomeno sociale è da riconoscere nel cambiamento di paradigma culturale sperimentato dai nuclei famigliari e dalle comunità interessati dalla cultura “della classe media, dei colletti bianchi”, quale fu descritta a partire dagli anni '50, negli studi sociologici come “Colletti bianchi” e “L'uomo dell'organizzazione”.

Per capire come gli anni '60 passarono, è essenziale dare molta meno enfasi agli effetti della guerra americana in Indocina che all'esperienza terribile del 1961-1963: la crisi missilistica del 1962 innanzitutto, l'estromissione orchestrata di Macmillan in Gran Bretagna, i ripetuti tentativi fascisti di assassinare il presidente francese De Gaulle, il benservito offerto da Londra al cancelliere tedesco Adenauer, e l'assassinio del presidente John F. Kennedy.

Poco dopo il secondo sciopero di massa degli studenti dell'Università della Columbia, in modo tipico del significato di quegli sviluppi del 1961-1964, Mark Rudd ed altri progettarono la realizzazione di un evento ostile alla memoria dell'assassinato Robert Kennedy, un evento che Tony Papert ed io riuscimmo a scongiurare. Quella sezione di “sessantottini” fu davvero una forma di movimento violento, una qualità fascista di movimento social-ideologico avverso ai “colletti blu”.

Nel corso del decennio successivo, gli anni '70, questa corrente proto-fascista della “Nuova Sinistra” assunse un ruolo crescente nell'imprimere un cambiamento politico a Washington D.C. Da bravi oppositori dei “colletti blu”, essi furono i sostenitori dell'atto di rottura definitiva del sistema proindustriale di Bretton Woods, e delle campagne condotte dalla Commissione Trilaterale, così come del generale “scivolamento in basso del paradigma culturale”.

Il loro principale rappresentante odierno è il complice del Principe del Galles, l'ex vicepresidente Al Gore, noto per la sua frode sul “riscaldamento globale”. Senza la diffusione di quella qualità specifica di “degenerazione” intellettuale da lui posseduta, e incoraggiata tra i ranghi della classe sociale dei baby-boomers del 1945-48, la presente minaccia di instaurazione di un regime fascista negli Stati Uniti non sarebbe stata possibile.

Senza la distruzione di ciò che gli Stati Uniti rappresentarono sotto Franklin Roosevelt e avrebbero continuato a rappresentare dopo la sua morte, non sarebbe stato possibile tutto quel che sta accadendo nel mondo. Per quanto gli imperialisti inglesi e i loro complici americani, attivi nei decenni post-Roosevelt abbiano potuto prevedere l'autodistruzione degli Stati Uniti, specialmente a partire dall'assassinio del presidente John F. Kennedy, il male che oggi minaccia il mondo non sarebbe stato possibile senza il ruolo del presidente Truman e dei suoi complici inglesi e americani, nel perpetuare l'esistenza dell'impero britannico, a danno di quel Secolo Americano che un presidente Roosevelt non morto prematuramente avrebbe realizzato, in modo efficiente.



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