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Michael Bloomberg cambia tattica

4 marzo 2008 – “Non mi candido alla presidenza, però....”; sotto questo titolo il New York Times del 28 febbraio pubblicava una dichiarazione di Michael Bloomberg, in cui il sindaco di New York espone le difficoltà a cui va incontro il prossimo presidente degli Stati Uniti. In realtà, per chi ritiene che egli non ha rinunciato a candidarsi, l’articolo contiene nuove conferme. Bloomberg infatti afferma: “Come uomo d’affari non ho mai creduto che i due partiti dispongano di tutte le risposte, e, come sindaco, ho constatato quanto ciò sia vero”, e aggiunge: “Ritengo che il governo della nazione abbia bisogno di un approccio indipendente a questi temi — e che un indipendente possa vincere la presidenza. Ho ascoltato attentamente coloro che mi hanno incoraggiato a candidarmi, ma non sono — e non sarò — un candidato alla presidenza ... Ma la competizione è troppo importante per stare alla finestra e per questo ho cambiato idea su una questione. Se un candidato adotterà un approccio apartitico, e abbraccerà soluzioni pratiche che sfidano l’ortodossia partitica, io mi unirò ad altri per aiutare questo candidato ad aggiudicarsi la Casa Bianca”.

Doug Schoen, stratega politico di Bloomberg e autore del libro “Dichiarare indipendenza: l’inizio della fine del sistema bipartitico” valuta questa dichiarazione come un “appello alle armi” e ripropone lo scenario recentemente apparso sul Washington Post: il sindaco di New York potrebbe candidarsi alla vice presidenza, sia con un repubblicano che con un democratico. “Qui Bloomberg dice: ‘guardate che adesso me ne occupo io, diventerò influente. Potrei sostenere un candidato. Potrei finanziare un indipendente. Potrei schierare la mia coalizione dei sindaci dalla parte di un candidato’. E ritengo che Bloomberg sia uno dei più importanti - forse il più importante - dei non candidati alla Presidenza in America” ha dichiarato Schoen.

Anche esperti osservatori di Washington convengono sul fatto che Bloomberg in effetti non rinuncia, ma piuttosto “si riposiziona”. Prevale la convinzione che gli ostacoli ad un terzo partito o ad una candidatura indipendente siano enormi, per cui Bloomberg pensa di ripiegare candidandosi alla vicepresidenza con uno dei due partiti. John McCain è malato, ha già il fiatone, e la scelta del suo vice presidente è un fatto importante.

Sul fronte democratico, Kevin Sheekey, il vice di Bloomberg al municipio di New York si è già pronunciato a favore dell’accoppiata Obama-Bloomberg in un’intervista del 29 febbraio. Fino a poco fa Sheekey si occupava dei preparativi per candidare Bloomberg come indipendente in 50 stati. Il giorno prima la stessa accoppiata era stata caldeggiata dal Daily News.

 

Obama aprirà la strada a Bloomberg?

Alla luce della realtà del crac finanziario ormai improcrastinabile, i poteri forti sono determinati a portare alla Casa Bianca chi come Bloomberg è in grado di far ingoiare il programma corporativistico messo a punto da Felix Rohatyn.

Si ricorderà come lo scorso autunno tutta la clacca faceva il tifo per la candidatura dell’ex sindaco di New York Rudolph Giuliani. Allora LaRouche sostenne che la candidatura di Giuliani non sarebbe decollata affatto a motivo dei suoi collegamenti con il crimine organizzato e la sua tanto chiacchierata corruzione. Così è stato. Adesso tocca a Barack Obama ricevere il trattamento analogo che le stesse forze gli riservano per fargli fare la fine di Giuliani.

Dalla metà di febbraio infatti i mezzi d’informazione inglesi dispensano articoli sulla vulnerabilità di Obama. A Londra sono pronti diversi capitoli del “dossier Obama” con cui silurarlo — ma solo quando avrà esaurito la funzione per cui è ritenuto utile: affossare la candidatura di Hillary Clinton.

Tra gli articoli più significativi c’è quello di James Bone e Dominic Kennedy sul Times di Londra del 26 febbraio, che prende in esame i rapporti tra Obama e l’affarista Antoin (Tony) Rezko, da una parte, e il miliardario anglo-iracheno Nadhmi Auchi dall’altra. Rezko, immobiliarista dei quartieri poveri di Chicago, ha affermato di avere un debito di circa 29 milioni di dollari nei confronti di Auchi, uno dei personaggi più ricchi d’Inghilterra. Uno dei prestiti in questione risale al 28 aprile 2005. Solo qualche settimana più tardi Obama, con l’aiuto di Rezko, acquistò a prezzo scontato una villa a Chicago, lo stesso giorno in cui la moglie di Rezko acquistò, dallo stesso venditore, un terreno confinante con la villa. All’epoca di queste transazioni immobiliari, a Chicago era un segreto di Pulcinella che sul conto di Rezko era stata aperta un’inchiesta federale a seguito di accuse di corruzione politica che successivamente portarono alla sua incriminazione. Il processo è iniziato il 3 marzo.

L’argomento è stato ripreso da un importante stratega elettorale repubblicano, Richard Whalen, che nel numero del 28 febbraio della newsletter Congressional Quarterly notava: “Sappiamo meno di Barack Obama e dei suoi legami politici di qualsiasi altro candidato alla presidenza nell’ultimo mezzo secolo ... la luna di miele tra Obama e i mezzi d’informazione è forse finita”. In effetti, i mezzi d’informazione hanno appena cominciato a setacciare gli schedari e presto potrebbero emergere nuovi scandali.

Nel processo verranno fatti i nomi di importanti politici dell’Illinois e lo scandalo prenderà maggior vigore.

Secondo Lyndon LaRouche, nella corsa presidenziale non c’è ancora nulla di certo: da qui alle due convention che selezioneranno i candidati in estate, e poi fino al voto di novembre, la crisi finanziaria continuerà a trasformare drammaticamente gli Stati Uniti e a ridefinire gli scenari.


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