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Come gli inglesi usano il Tibet contro la Cina

7 aprile 2008 – Gli inglesi tornano ad usare ancora una volta la “Carta tibetana” contro la Cina, innescando e orchestrando scontri a Lhasa e diffondendo menzogne e isteria anti-cinese attraverso il loro poderoso impero massmediale globale. Un’operazione simile fu condotta nel 1932, quando il mondo stava scivolando verso la seconda guerra mondiale: mentre il Giappone lanciava un’invasione della Cina, i britannici tirarono i loro fili in Tibet per aprire un secondo fronte ad occidente.

Per sovrastare l’enorme propaganda di oggi occorre farsi un’idea storica della regione. Il Tibet è da tempo una fonte di profonda ammirazione per i fanatici dell’occultismo e della mistica ai vertici dell’impero britannico. Come patria dei “veri ariani” chiusa al mondo, il centro del buddismo esoterico e “il cuore” geopolitico dell’Eurasia, il Tibet fu usato dagli inglesi come stato cuscinetto per dividere l’India dalla Cina. Fu inoltre coccolato in egual misura dagli inglesi e dai nazisti. Negli anni Trenta vi comandava un alto ufficiale del Raj britannico in India, Hugh Richardson, il quale rimase sul campo anche nel dopoguerra. Nel 1939 vi si recò in visita una delegazione delle Waffen SS naziste di Heinrich Himmler alla ricerca delle vere radice ariane. Nella delegazione c’era anche Bruno Berger, criminale di Norimberga, che s’intrattenne con il Reggente dell’attuale Dalai Lama (il 14°), e strinse con quest’ultimo un’amicizia durata tutta la vita. Un altro amico nazista del Dalai Lama è l’ufficiale delle SS Heinrich Harrer, reso famoso da un film di Hollywood intitolato “Sette anni in Tibet”. Su YouTube c’è il filmato di una loro conversazione.

Non meraviglierà quindi che i disordini esplosi a Lhasa il 14 marzo hanno l’impronta della violenza nazista. La versione di Pechino è stata confermata da James Miles dell’Economist, che si trovava sul luogo. “Ciò che ho visto è la violenza mirata e calcolata contro un gruppo etnico, o meglio, due gruppi etnici, soprattutto i cinesi Han che vivono a Lhasa, ma anche contro la minoranza Hui musulmana”. I rivoltosi, spiega Miles, hanno lasciato illese le attività di proprietà dei tibetani mentre ogni altro negozio “è stato bruciato, o saccheggiato, distrutto, forzato e i beni portati in strada, ammucchiati e bruciati. Si è trattato di uno scoppio straordinario di violenza ... che ha sorpreso alcuni dei tibetani che vi assistevano”. La risposta della polizia è stata molto limitata, ha aggiunto.

Tutt’altro che limitata invece è stata la reazione delle grancasse massmediali e politiche occidentali, che hanno sparato a zero sulla “oppressione cinese” della cultura tibetana. Nel caso migliore si tratta di una cultura feudalista. Fino al 1950 la maggior parte dei tibetani erano servi della gleba che lavoravano la terra dei monasteri nei quali abitava circa il 25% della popolazione, mentre il resto erano contadini analfabeti. L’unica strada del Tibet era quella riservata all’auto personale del Dalai Lama. Non c’era nemmeno un sistema giudiziario e la gerarchia religiosa decideva tutto.

Negli anni seguenti i cinesi vi costruirono strade, ospedali, scuole e una ferrovia, senza limitare la libertà di religione. Hugh Richardson, che assisteva a questi sviluppi, commentava: “Gli apologeti possono indicare il progresso materiale e meccanico ma ... questi non sono desiderati dalla popolazione tibetana e rappresentano una negazione completa della civiltà e della cultura tibetane”.

Negli anni Settanta l’operazione tibetana fu “delocalizzata” negli USA, sotto l’egida del National Endowment for Democracy e poi quella dell’attore Richard Gere e del prof. Robert Thurman, che allestirono la International Campaign for Tibet (ICT). L’ICT rastrella circa cinque milioni di dollari l’anno e va a braccetto con il WWF, fondato dalle famiglie reali britannica e olandese. Nella stessa cerchia opera anche Amnesty International.

Per quanto riguarda i disordini di Lhasa c’è da notare che all’inizio degli anni Novanta Mark Handelman, dell’ICT, fece avere il visto per gli USA ad un migliaio di giovani adepti del Dalai Lama in India. Tra questi Tsewang Rigzin, che ha trascorso 12 anni negli USA, dove ha preso anche la cittadinanza, ed ha coordinato le sue attività con l’ICT. Rigzin è tornato a Dharamsala, in India, nell’agosto 2007 per essere eletto a capo del Congresso Giovanile ed ha lanciato l’attuale campagna della Tibet People’s Uprising Organization. Si tratta di un’attività politica espressamente vietata dagli accordi raggiunti tra il governo indiano e il Dalai Lama, ed è lesiva per i rapporti tra i due paesi. I cinesi hanno presentato le prove che il Congresso Giovanile, che a parole prende le distanze dal Dalai Lama, ha organizzato gran parte delle dimostrazioni e dei disordini verificatisi in Tibet, in Cina, e in altri posti dal 10 marzo in poi.


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