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Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà
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Un altro segno della fine della globalizzazione: l’aumento dei costi di trasporto rende giustizia ad Henry Carey

7 agosto 2008 (MoviSol) – Dopo vent’anni passati a chiudere le industrie americane (e occidentali) alla ricerca di “vantaggi” da ricavarsi con la manodopera altrui (specialmente asiatica) a miglior prezzo, le società scoprono essere “meno costoso” il produrre a casa, piuttosto che trasportare i materiali in giro per il mondo. Negli ultimi anni, infatti, i costi di spedizione di un container industriale ordinario è salito da 3000$ a 8000$. A questo consegue un nuovo movimento, cosiddetto “effetto del vicino di casa”. I produttori americani di mobili, per esempio, stanno ri-localizzando gli impianti produttivi dalla Cina nelle Caroline e in Virginia. Le società abituate ad usare materie prime ricavate in un Paese, trasformarle in un altro, assemblare i semilavorati in un terzo, ecc., e a spedire i prodotti finiti al consumatore (negli Stati Uniti), stanno cominciando a produrre tutto in uno stesso luogo. Anche il famoso produttore di mobili svedese Ikea sta installando il suo primo impianto produttivo a Danville (Virginia), piuttosto che continuare a spedire mobili dall’Europa.

Un’altra manifestazione di dissennatezza, la produzione cosiddetta “just-in-time”, per la quale le imprese avevano abolito il magazzino per produrre i ricambi sul momento del bisogno, sta sperimentando una certa difficoltà. Le spedizioni oceaniche, per esempio, rallentano le navi in modo da risparmiare carburante, e le società clienti trovano più conveniente fabbricare magazzini sul posto, poiché il trasporto dei ricambi comincia ad attardarsi o farsi inaffidabile.

Un problema che i fabbricanti incontrano, “tornando a casa”, è che i lavoratori di una volta, con le loro qualifica e perizia, si sono estinti.

Henry Carey: come la protezione tende
ad incrementare la produzione e il consumo

[estratto dell’omonimo capitolo de
L’armonia degli interessi (1851)]

A riguardo della divisione nazionale del lavoro esiste un grande errore nell’impressione oggi assai comunemente condivisa, che deve la sua origine nella scuola inglese degli economisti politici, il cui sistema è basato interamente sull’idea di rendere l’Inghilterra “l’officina del mondo”, cosa affatto naturale. Quella scuola insegna che alcune nazioni sono adatte all’industria [manifattura] e altre alle attività agricole, e che queste ultime sono ampiamente giovate dall’essere forzate ad impegnarsi con un solo scopo, facendo tutti i propri scambi a distanza, contribuendo a loro volta a mantenere il sistema di “navi, colonie e commercio”. Tutta la base del loro sistema è conversione e scambi, ma non produzione, poiché nulla [è previsto] che si aggiunga alla quantità di beni da scambiare. La grande forza del loro sistema è nel gran numero dei mercanti e nel numero esiguo di produttori; più cresce rapidamente la proporzione tra i primi e i secondi, più rapido si suppone l’avanzamento verso la perfetta prosperità. Convertitori e scambisti, tuttavia, devono vivere, e devono farlo con il lavoro altrui: e se tre, cinque, o dieci persone devono vivere della produzione di una sola, ne segue necessariamente che tutti otterranno una piccola parte di ciò che è necessario o delle comodità della vita, come infatti accade. Il lavoratore agricolo dell’Inghilterra riceve spesso meno di sette scellini alla settimana, che è il prezzo di un bushel [1] e mezzo di frumento.

Se fosse detto che alcune nazioni sono adatte a coltivare grano e altre a macinarlo, o che qualcuno è adatto alla raccolta della legna mentre un altro alla sua segatura, ciò sarebbe considerato come il colmo dell’assurdità; eppure nulla è più assurdo di quel che, a proposito della conversione del cotone in abiti, ogni giorno sostengono, e credono implicitamente, decine di migliaia di persone, anche nostre connazionali. Il telaio è un aiuto tanto appropriato e necessario per le fatiche del lavoratore delle piantagioni, quanto il mulino per quelle dell’agricoltore. La fornace è un aiuto tanto necessario e appropriato per le fatiche dei lavoratori delle piantagioni e degli agricoltori, quanto la segheria e coloro che sono costretti a fare a meno della vicinanza dei produttori di ferro, lavorano svantaggiati come coloro che non riescono a fruire dell'ausilio dell'erpice. Ma quando le piccole macchine, attratte naturalmente dalla grande macchina, la terra, lavorano assieme in armonia, gli uomini diventano ricchi, prosperi e felici. Quando, al contrario, per una qualunque causa di disturbo, l’attrazione va nell’opposta direzione, e le piccole macchine costringono i prodotti della grande macchina a seguirli, la terra si impoverisce inevitabilmente e gli uomini diventano poveri e miserabili come nel caso dell'Irlanda.

A coloro che dubitano dell’entità delle perdite risultanti da questa innaturale divisione del lavoro, raccomanderei di visitare qualunque fattoria distante trenta o cinquanta miglia da una fornace o da un’industria: potrebbero per conto proprio, sul posto, rendersi conto dei fatti. Lì, essi vedrebbero giornate sprecate continuamente per la mancanza di mezzi di occupazione - e altre giornate passate sulle strade per portare al mercato piccole quantità di prodotti – e una generale indifferenza dovuta alla mancanza di stimoli all’attività, per quanto riguarda gli uomini; mentre i fanciulli e le fanciulle sono senza occupazione, e i maestri rimangono all’estero per la mancanza di mezzi con cui pagarli. I nostri agricoltori, come regola generale, non attribuiscono molta importanza al tempo. Preferiscono raggiungere un mercato più lontano, anche se la differenza di prezzo ottenuta sulle loro poche once di burro, o cesti di verdura, appare palesemente insignificante, se comparata alla perdita di tempo e di lavoro, ed essi fanno così perché il lavoro stesso è in grande misura privo di valore. Lasciamo che il dubbioso guardi da sé queste cose; quindi che aggiunga l’enorme proporzione di lavoro mal impiegato in ampie superfici coltivate malamente, anziché in superfici inferiori – nel mantenere recinti e strade interamente sproporzionate rispetto al prodotto della terra -; finalmente, lasciamo che determini se la perdita non sia cinque volte di quel che si pagherebbe per i vestiti e i beni in metallo – materie prime incluse – consumate dall’agricoltore. Installate un mulino, invece: tutto ciò sarà risparmiato. L’agricoltore e i suoi cavalli e i carri saranno impiegati per raccogliere pietre e alberi per il mulino e le case; i figli troveranno un impiego nel mulino, o nella produzione delle cose che possono essere usate da coloro che lo portano avanti, e tutti i guadagni in eccesso potranno essere usati per abiti e attrezzi, per il cibo che un tempo avevano. Dico tutti, perché assieme al mulino, arriverebbero strade migliori e [aumenterebbe] la facilità nel vendere al mercato le molte cose per cui un mercato non potrebbe essere istituito in casa.


[1] Il bushel (sacco) è un'unità di misura americana di volume, per le sostanze solide. La quantità indicata da Carey corrisponde a ca. 53 litri di frumento.


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