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Pandemie, pleomorfismo e dinamica

di Laurence Hecht, 21st Century Science & Technology

20 aprile 2009 (MoviSol) - La malattia infettiva a più rapida diffusione in America Settentrionale e in Europa è quella trasmessa dalle zecche, causata da un batterio simile alla spirocheta della sifilide, il borrelia burgdorferi. Se non curata, l’infezione manifesta sintomi simili a quelli della sifilide più avanzata. Gli esperti stimano che, oltre ai 30.000 casi noti alle autorità sanitarie americane, ogni anno negli Stati Uniti si abbiano 200.000 nuovi casi d’infezione.

La malattia fu identificata per la prima nel 1975 volta a Lyme, nel Connecticut. Successivamente, la sua diffusione nelle zone nordorientali, medio atlantiche e centrosettentrionali degli Stati Uniti ha disseminato la preoccupazione nella popolazione. Negli anni Novanta il costo delle cure somministrate nella fase avanzata della malattia si aggirava attorno ai 100.000 dollari per paziente, una somma tanto elevata che nacquero forti dissidi tra le associazioni di malati e le compagnie di assicurazione, che negavano loro i rimborsi sanitari. Sotto la pressione delle assicurazioni, furono stabiliti infine dei protocolli sanitari da applicare nel caso di individuazione della malattia. Tali protocolli risultavano efficaci quando la malattia era ancora nelle sue prime fasi; mentre non ci si preoccupò di rendere meno costose le cure mediche o di alleviare le sofferenze di coloro ai quali la malattia era stata diagnosticata in ritardo oppure non era stata diagnosticata correttamente. Nei casi riguardanti persone giovani, la malattia può comportare grossi problemi neurologici, colpi apoplettici e, talvolta, il decesso. Negli adulti non curati, i problemi neurologici possono condurre a forme di demenza, simili a quella associata alla paresi generale osservata nella sifilide terziaria.

Il fallimento del sistema sanitario pubblico nei confronti di questa pandemia zoonotica, della quale i principali co-vettori sono il topo di campagna, il cervo e la zecca, è sintomatico di un fallimento metodologico molto più profondo, a proposito della comprensione e della cura delle malattie infettive in genere. Il fallimento è evidente tanto nelle applicazioni alle tematiche ecologiche di larga scala, ovvero in tema di economia fisica (purificazione e trattamento delle acque, infrastrutture sanitarie pubbliche), quanto nei riguardi della micro-ecologia dell’organismo umano. Nelle righe seguenti ci concentreremo sulla seconda categoria e indicheremo i possibili frutti di un approccio dinamico, piuttosto che il solito approccio cartesiano.

Nel 1935, lavorando presso il Lister Institute di Londra, ove aveva trovato asilo, fuggendo dall’Università di Gottinga all’ascesa al potere dei nazisti, la dott.ssa Emmy Klieneberger, identificò per la prima volta una nuova forma di microorganismi, da lei denominati "forme L" (dal nome dell’istituto). Avvalendosi di nuovi collaboratori, giunse a scoprire che sotto la "forma L" sono molti i tipi di batteri che in vitro possono così manifestarsi: occorre che siano sottoposti ad un cambio di pH o ad altre sollecitazioni. Le "forme L" includono sia alcune forme simili a cisti, granulari e molto piccole, che possono essere riconosciute soltanto attraverso procedure avanzate di pigmentazione o tecniche microscopica ad alta potenza, sia colonie di batteri sotto forme morfologicamente distinte e in quanto tali – come sembra – capaci di riprodursi. In un articolo del 1948, intitolato "Forme filtrabili di batteri", Klieneberger passò in rassegna la letteratura specialistica e propose che le "forme L" potessero rappresentare uno stadio differente del ciclo vitale dei batteri, una forma di esistenza differente da quella della fase adulta, come il girino differisce dalla rana.

Osservando l’apparizione, in connessione con le colonie di "forme L", di alcune sostanze minuscole e considerando la longevità delle forme stesse, Klieneberger propose che esse potessero rappresentare una forma primitiva di riproduzione sessuata, distinta dalla scissione binaria che caratterizza la riproduzione nella 'vita adulta' dei batteri. Nella rassegna della letteratura precedente, Klieneberger ragionò sul fatto che già in precedenza, nello studio della sifilide e della tubercolosi, alcuni avevano riferito delle piccole forme granulari e di qualcosa di assai simile alle colonie da lei osservate.

Nel momento in cui scrisse quell'articolo, le "forme L" erano state osservate in oltre cinquanta specie viventi. Da allora ne sono state trovate in molte altre. Sembra proprio che la maggioranza dei batteri, se non tutti, acceda a tali fasi, durante le quali ha luogo un tipo di trasferimento genetico orizzontale, simile a quello che il microbiologo Carl Woese suppose fosse accaduto nell'evoluzione che precedette la differenziazione delle specie viventi.

Klieneberger auspicò che altri studi più approfonditi sulle "forme L" potessero potenziare la nostra conoscenza dei batteri, fornendoci nuove conoscenze teoriche e pratiche per la cura delle malattie infettive. Tuttavia, già mentre scriveva quell’articolo, stava prendendo piede quel cambiamento paradigmatico che avrebbe portato all’enfasi, nella ricerca biomedica, sul materiale genetico, e alla sciocca idea che ad ogni espressione patologica si sarebbe trovato corrispondere o un singolo gene o un gruppo di geni. Il fallimento di questa falsa promessa, utilizzata come uno dei principali argomenti nella raccolta fondi che ha permesso il completamento del cosiddetto Progetto Genoma Umano, si sta palesando sempre più, come anche il New York Times, adesso, lascia intendere.

Con tutt’altra prospettiva, possiamo credere alle promesse di una rivoluzione rapida ed efficace, basata su un approccio dinamico alla questione, seguendo la direzione indicata dalla Klieneberger. Tra le idee più eccitanti è la possibilità di considerare la maggior parte delle malattie comuni, di cui si ignora l’origine, come malattie effettivamente infettive (batteriche o virali). Indicazioni in tal senso - nello specifico, pensando a batteri nella "forma L" – si hanno per la sclerosi multipla, la malattia di Lou Gehrig, il lupus, il Parkinson, la leucemia e altre forme di cancro, e l’Alzheimer.

La difficoltà nell’identificare gli agenti batterici anche nelle sintomatologie comuni delle malattie è illustrata dal caso dell'ulcera dello stomaco, il cui agente patogeno, una specie di helicobatterio, fu identificata soltanto dieci anni fa. Tale difficoltà non indica altro che la necessità di approccio dinamico. Nel caso dell’helicobacter pilori, che non da' sintomi nell’80% dei casi d’infezione, la malattia può essere innescata da alcuni cambiamenti dell’ecologia locale dello stomaco o dalla trasformazione della cellula batterica (pleomorfismo) nella "forma L", oppure da una combinazione dei due, espressa in un cambiamento dell’intero organismo e delle sue relazioni con l’ambiente esterno nella sua totalità.

In altre infezioni, come nella lyme e nella sifilide non ancora debellata, l’agente patogeno può essere rilevato in una sua fase, ma essere introvabile in un’altra. La neurosifilide, una forma avanzata di infezione sifilitica, può manifestarsi in persone che in precedenza non abbiano manifestato i sintomi dell’infezione nei suoi stadi intermedi: essa è sì trattabile, ma non più curabile. Il fallimento nella piena comprensione del ciclo vitale dei batteri e della sua interazione dinamica con l’ambiente potrebbe impedire la cura di simili malattie. Il trattamento antibiotico, che uccide la spirocheta per distruzione della parete cellulare, può portare l’organismo ad ospitare delle "forme L" prive di parete, più difficili da individuare e annientare.

Il dott. Alan MacDonald è convinto che le cisti ("forme L" granulari) della spirocheta siano presenti nel cervello di molte vittime dell’Alzheimer. La cisti della spirocheta è identica in dimensioni e forma alla placca primieramente identificata da Alois Alzheimer nelle autopsie dei defunti a causa della malattia da lui studiata. Nelle autopsie di 7 cervelli sui 10 colpiti dall'Alzheimer, ottenuti dalla banca degli encefali di Harvard, MacDonald ha trovato gli anticorpi del batterio borrelia burgdorferi. In un altro cervello di una vittima morta di Alzheimer, nota per aver subito l’infezione di lyme otto anni prima del decesso, MacDonald ha trovato una corrispondenza topografica tra i siti delle placche di Alzheimer (che egli crede essere cisti di borrelia burgdorferi) e i siti in cui è avvenuta la reazione degli anticorpi di borrelia.

Un altro specialista di malattie infettive, che ha curato con successo un caso di leucemia terminale con antibiotici, crede che la malattia fosse dovuta ad un’infezione di bartonella, una specie batterica probabilmente veicolata da artropodi, che avesse trovato la sua via di penetrazione nel midollo vertebrale, ove sono prodotti i globuli del sangue. Egli ha trovato indicazioni di piccoli mutamenti genetici del midollo, avvenuto durante il decorso della malattia, e pensa che sia avvenuto a causa di un batterio capace di prendere il controllo dei meccanismi genetici dei blastociti del midollo. Di nuovo, siamo di fronte ad una questione di dinamica.

Una delle forme più interessanti di espressione delle "forme L" è il fenomeno dinamico manifesto nelle cosiddette biopellicole (biofilm). Una biopellicola è una complessa comunità di microorganismi, una micro-ecologia che può aderire, come una muffa fangosa ad una superficie vivente o inerte. Secondo alcune stime, le biopellicole sarebbero coinvolte nell’80% dei casi d’infezione. Spesso una biopellicola si forma tramite la crescita di una colonia di batteri di una singola specie; più tardi può ospitare ampie comunità di altri batteri. Tra le infezioni associate alle biopellicole sono le infezioni epiteliali, del tratto urinario e da catetere, dell’orecchio medio e da sinusite, le gengiviti, la placca dentale, l’endocardite e la fibrosi cistica. Uno specialista delle ferite diabetiche ha raggiunto qualche successo nel ridurre il frequente ricorso all’amputazione, analizzando e debellando i tipi di batteri coinvolti nella biopellicola che copre le ferite. Le biopellicole, naturalmente, hanno anche usi benefici, per esempio nel trattamento delle acque reflue, in cui i protozoi e i rotiferi digeriscono i rifiuti solidi.

Nella storica battaglia contro i batteri, la svolta necessaria dipende da una corretta comprensione della dinamica biologica. La negazione dell’esistenza delle forme pleomorfiche, del trasferimento genetico orizzontale e della presenza di forme viventi in continua alterazione (creazione continua) semplifica il mondo, accomodandolo alle angustie mentali del tipico empirista. Questa negazione, purtroppo, al contempo significa la negazione della possibilità di curare milioni di persone affette da malattie infettive non riconosciute come tali, o da forme pleomorfiche di agenti patogeni già conosciuti per la loro pericolosità. Mi pare, riflettendo sulle implicazioni dell’articolo della Klieneberger, che intorno al 1948 il mondo fosse sulla soglia di una rivoluzione nella medicina, in particolare attraverso l’identificazione degli agenti infettivi associati a molte malattie precedentemente mal capite. Il suddetto cambiamento del dopoguerra, in favore del paradigma genetico, compromise quel potenziale rivoluzionario. Non si può mancare di chiedersi: vi fu dietro una consapevole intenzione da parte di Bertrand Russell, Julian Huxley e degli altri architetti della trasformazione culturale del dopoguerra, i quali affermarono tra l'altro la propria predilezione per le pandemie, come mezzo di contrasto della crescita demografica?


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