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I piani genocidi per l'Africa nel campo energetico e dei biocarburanti

27 giugno 2009 (MoviSol) - In un appello mandato al 13mo Vertice dell'Unione Africana, che si terrà dal 24 giugno al 3 luglio a Sirte, nella Libia, la Commissione Africana dello Schiller Institute chiede ai paesi membri di respingere le trappole neocoloniali rappresentate dall'energia solare e dai biocarburanti, che sottraggono terreni che dovrebbero essere utilizzati per lo sviluppo economico e la produzione alimentare, per gli africani stessi.

Il numero del 16 giugno del settimanale tedesco Der Spiegel ha svelato un piano scandaloso che occuperebbe vaste distese di terra nel Nord Africa allo scopo di produrre energia… per l'Europa! Un consorzio guidato dal Club di Roma e comprendente 20 società (tra le quali il colosso assicurativo tedesco Munich Re, la Siemens, la Deutsche Bank e la società di energia elettrica RWE) ha annunciato un progetto da 400 miliardi di euro per installare una serie di grandi impianti solari nel deserto nordafricano. Il piano, di nome Desertec, si basa sull'energia termica a basso livello tecnologico, con l'utilizzo di specchi parabolici per riscaldare l'acqua e poi alimentare le turbine di una centrale elettrica in loco.

Il materiale promozionale che si trova sul sito web della Fondazione Desertec, pagato dai maltusiani del Club di Roma, non fornisce alcun dettaglio sulle dimensioni degli impianti solari, né sul numero di impianti che servirebbero per raggiungere lo scopo dichiarato di fornire almeno il 15% del fabbisogno europeo. L'unica conclusione logica è che la vera intenzione non è di produrre energia elettrica, tanto meno per l'Africa, ma piuttosto di creare una nuova bolla finanziaria. Gli impianti solari previsti nel piano hanno un fattore di capacità del 25% circa, il che significa che la produzione di energia avverrebbe soltanto per un quarto del tempo in cui sono in funzione; per converso, gli impianti nucleari producono energia il 95% del tempo. Inoltre, gli impianti solari a concentrazione utilizzano quattro volte l'acqua utilizzata da un impianto a gas naturale – un'idea folle per il deserto nordafricano dove c'è un bisogno disperato di risorse idriche.

Contemporaneamente, oltre ai terreni già riservati alle "riserve naturali", le società multinazionali acquistano piantagioni per la produzione di biocarburanti, grandi quanto interi paesi europei. Le multinazionali britanniche quali la BP, e le società di "energia rinnovabile" come la Sun Biofuels e la Kavango Bio Energy, possiedono o hanno preso in affitto migliaia di ettari di terreni in Angola, Etiopia, Mozambico, Nigeria, Tanzania e Namibia settentrionale. La società norvegese Biofuel Africa detiene i diritti d'utilizzo di 38.000 ettari di terra nel Ghana, mentre la tedesca Prokon utilizzerà 200.000 ettari in Tanzania – un territorio grande quanto il Lussemburgo!

Nel Mozambico, il progetto ProCana ha destinato 75.000 ettari (cinque volte l'isola di Manhattan) per la coltivazione di canna da zucchero, da destinare alla produzione di etanolo. La BioEnergy Africa, che ha sede nelle Isole Vergini Britanniche, possiede il 94% di ProCana, e dal 2007 gli investitori nel settore dei biocarburanti hanno richiesto l'utilizzo di 5 milioni di ettari nel paese – l'equivalente di un settimo di tutti i terreni arabili nel territorio. Nel febbraio del 2009 il Kenia ha annunciato che destinerà 200.000 ettari alla produzione del biodiesel, mentre nella Repubblica Democratica del Congo 2,8 milioni di ettari saranno utilizzati per una piantagione cinese di olio di palma. L'Etiopia ha addirittura disposto 27 milioni di ettari per la produzione di biocarburanti. E la lista continua. L'unico paese che ha bloccato un contratto del genere, che avrebbe concesso alla sudcoreana Daewoo l'utilizzo di 1,3 milioni di ettari per la produzione di bioetanolo per 99 anni, è il Madagascar. Il nuovo presidente Andy Rojoelina è intenzionato a porre fine a tutti i negoziati di questo tipo.


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