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Tremonti zittisce i liberisti

12 settembre 2009 (MoviSol) - La tensione in sala era evidente prima che Giulio Tremonti prendesse la parola alla conferenza del 7 settembre all'Università Bocconi di Milano. L'evento, organizzato in forma di dibattito tra il Ministro dell’Economia e l'On. Enrico Letta e moderato dal direttore del Sole 24 Ore Gianni Riotta, avveniva proprio nel momento in cui i liberisti avevano deciso di sferrare un contrattacco al Ministro che da oltre due anni denuncia pubblicamente la folle politica economica che ha portato il mondo sull'orlo dell'abisso; pochi giorni dopo l'affondo di Tremonti al Meeting ciellino di Rimini, in cui ha dipinto gli economisti come maghi alla Harry Potter, facendo notare che "nessuno di questi ha mai chiesto scusa, nessuno ha mai detto di aver sbagliato. Sbagliano sempre gli altri". E' così un gruppo di "autorevoli" economisti si è scagliato contro il Ministro con un appello pubblicato su La Repubblica: "Ministro Tremonti non ci ridurrà al silenzio" hanno scritto noti profeti come Tito Boeri, Francesco Giavazzi e Luigi Spaventa, lamentandosi del trattamento loro riservato (vedi l'articolo in questione).

I primi interventi alla Bocconi sono stati in difesa della casta dei professori, tutti seduti nelle prime file: Mario Monti ha affermato che la Bocconi è sempre andata contro la tendenza prevalente in politica economica, e Guido Padellini ha detto che anche se gli economisti avessero detto qualcosa di diverso, non avrebbe cambiato niente ("poveri studenti", ci viene da dire). Ma se l'establishment sperava che Tremonti moderasse i toni, deve aver avuto un'amara sorpresa. Ignorando bellamente le domande del moderatore (come ha fatto pure Letta), Tremonti ha esordito parlando proprio della diatriba degli ultimi giorni. Ha paragonato il ruolo degli economisti al percorso seguito da Isaac Newton. L'arroganza intellettuale di Newton l'ha portato a voler estendere la sua formula sulla gravità ad una legge universale. Mentre andava in giro a propagare questa legge qualcuno gli fece notare una contraddizione evidente, e Newton perse la testa. Andò a fare il direttore della Zecca per 12 anni – dove comminò numerose sentenze capitali per i falsari – e poi finì i suoi "studi" nell'alchimia, come ben noto. Tornando ad oggi, ha detto Tremonti, l'errore che viene fatto è doppio: primo, il tentativo di definire leggi "universali" in economia, una scienza inesatta; e secondo, il voler formulare leggi che vanno oltre la propria competenza. Dobbiamo ricordare che prima viene la filosofia, poi la politica e l'economia. Il mercatismo degli ultimi decenni è stato un tentativo di definire delle leggi universali, e abbiamo visto dove ci ha portato.

La tensione era alta, perché a questo punto l'ìmperatore era nudo; neanche in casa loro, alla Bocconi, in un dibattito organizzato dal Sole 24 Ore, gli economisti potevano sfuggire alla verità della loro incompetenza. La stoccata finale è arrivata con una battuta: quando il microfono di Tremonti ha smesso di funzionare, il Ministro ha detto che "mi hanno costretto al silenzio… gli economisti della Bocconi". Dopo qualche secondo il pubblico ha applaudito, costringendo la casta sbigottita a cercare di ridere, perlomeno per salvare la faccia.

Prima che il dibattito degenerasse in un battibecco politico con Letta, Tremonti ha portato la discussione sui temi più importanti per risolvere la crisi, molti dei quali simili a quelli posti dal movimento di LaRouche. E' tornato più volte su Roosevelt e il New Deal, una politica che ha fatto debito pubblico per aiutare la società, mentre oggi si socializza il debito privato. Occorre una riforma di Bretton Woods – ha detto – indicando che pur con molte limitazioni il governo italiano sta tentando di portare avanti questi temi nella discussione all'interno del G8 e nel prossimo G20 di Pittsburgh. E ha respinto le analisi strumentali sulla "bassa produttività" dell'economia italiana, affermando nettamente che la vera questione per l'Italia è lo sviluppo del Sud (ma questa volta con enfasi sul federalismo fiscale, trascurando il tema veramente decisivo, quello del credito e una nuova Cassa del Mezzogiorno).

Da parte sua, Letta ha deciso di puntare tutto sulle istituzioni europee e le "riforme". Mettendosi chiaramente contro ogni cambiamento effettivo del sistema, Letta ha detto che se il Trattato di Lisbona fosse già stato approvato allora la risposta europea alla crisi sarebbe stata molto più forte. Ha cantato le lodi di un sistema in cui ci sarebbe un presidente europeo che rappresenterebbe tutti (volenti o nolenti, naturalmente, in linea con l'oligarchia finanziaria). Ha auspicato la vittoria del "sì" nel prossimo (secondo) referendum irlandese, associandosi all'incredibile arroganza di coloro che denunciano come illegittima l'unica consultazione popolare tenuta in Europa sul Trattato stesso.

Questo contrasto avviene in un momento critico per le sorti della Nuova Bretton Woods: infatti mentre l'economia reale continua a peggiorare, i conti ufficiali sono stati forzosamente stabilizzati (con massicce iniezioni di denaro) e così si attende la crescita del PIL americano nei prossimi mesi e il conseguente inizio della "ripresa". Naturalmente le statistiche mascherano la drammatiche condizioni economiche per famiglie e imprese, ma se prevarrà la linea della ripresa verrà bloccato ogni tentativo di riforma, gettando invece le basi per una nuova fase di saccheggio dell'economia, all'ombra di un sistema finanziario che vive sulla speculazione e la distruzione dei valori reali. I fattori che porrebbero bloccare questo percorso sono vari, a partire da una nuova esplosione della crisi a fine settembre/inizio ottobre come prospettato da Lyndon LaRouche. Ma anche se il comitato anti-crisi noto come il Plunge Protection Team riuscirà a superare quello scoglio, occorre che tutti coloro a cui sono stati aperti gli occhi da questa crisi trovino il coraggio di impegnarsi pubblicamente a favore di una vera riorganizzazione del sistema attuale. Ma non aspettatevi molto dagli economisti...


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