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Risposta ad un lettore su Alexander Hamilton e la politica monetaria

4 maggio 2010 (MoviSol) - Un lettore ci chiede un chiarimento sulla posizione di Alexander Hamilton nei confronti delle leggi inglesi sul diritto di conio e della politica monetaria in generale.


Alexander Hamilton, il "Publius" de The Federalist, or The New Constitution.

Oggetto: Alexander Hamilton e la stesura delle leggi della zecca americana del 1790/92.

Gentile MOVISOL,

nei molti articoli e documenti Alexander Hamilton viene descritto come chi creò la prima Banca Nazionale degli Stati Uniti, per opposizione al sistema delle banche centrali private; dando allo stato la capacità unica di emettere del credito, che viene poi diretto verso attività necessarie all’interesse generale per mezzo delle banche private, le cui attività sono ben inquadrate ed il loro potere politico viene limitato.

Ebbene, leggendo un’interessante libro di Alexander Del Mar: "STORIA DEI CRIMINI MONETARI", sono rimasto sorpreso nel leggere che Alexander Hamilton viene descritto dall'autore, come colui che nella stesura delle leggi della zecca americana del 1790/92, ignaro del carattere e delle conseguenze della legislazione inglese (quella del 1666/67 che consegnò ad interessi privati il diritto di battere moneta e di regolarne il valore attribuendole tagli diversi, e di limitarne o di aumentarne la quantità in circolazione) la "copiò candidamente facendola inserire nelle leggi degli Stati Uniti, dove ancora rimane, ostacolo all'equa distribuzione della ricchezza e minaccia alla prosperità pubblica".

L'autore aggiunge poi che nell'anno 1870 in Inghilterra, venne promulgata una legge che sottraeva alla Corona la prerogativa di annullare "gran parte dei misfatti derivati dalla legge del 1666 e della sua logica continuazione, la legge del 1816, senza dover interpellare il parlamento. Vale a dire", continua l'autore, "che la Corona, per convenienza pubblica e a beneficio del commercio, aveva il diritto e il potere, di restaurare il precedente sistema monetario di monete d'oro e d'argento a pieno corso legale emesse dallo stato, e non esclusivamente su comando della confraternita bancaria".

Questa impresa venne poi esportata in altre nazioni, e specialmente negli Stati Uniti d'America, "dove nel 1873 venne copiata con una fedeltà al modello che poteva soltanto essere stata frutto di un deliberato progetto".

In conclusione, Alexander Hamilton, che sotto l'impulso di Benjamin Franklin mise in opera il sistema economico preconizzato da Leibniz, che diede un grande contributo attraverso i suoi rapporti presentati al congresso, presentando le sue concezioni economiche e confutando quelle dell’impero britannico; per quale motivo copiò la legislazione inglese del 1666/67?

Grazie per l'attenzione e per l'eventuale risposta.
Cordialmente
Un lettore

LA NOSTRA RISPOSTA

Caro lettore,

Credo che la domanda che ci ha sottoposto richieda una visione politica di come operarono Alexander Hamilton e gli altri padri fondatori, più che una spiegazione tecnica. Di questi tempi ci sono molte persone che di fronte alla gravissima crisi economica e finanziaria cercano delle risposte in un nuovo sistema – noi siamo tra i primi, naturalmente – ma capita spesso che la gente si confonda quando tenta di disegnare il "sistema perfetto". Per fare un esempio semplice, constatato che il denaro attualmente tende a perdere valore a causa del meccanismo speculativo con cui viene creato e gestito, molti vorrebbero che la sua creazione fosse "coperta" da "valori reali" come i metalli preziosi. Come lei saprà, il tentativo di vincolare la moneta alla quantità di metalli preziosi disponibili (a poche nazioni, tra l'altro) in realtà porta ad un controllo monetario che blocca la possibilità di espandere l'attività economica produttiva. La contrapposizione tra la concezione di Von Mises e quella di LaRouche non potrebbe essere più netta.

Sulla stessa scorta dobbiamo considerare l'opera di Hamilton. Non ho letto il libro di Del Mar, pur sapendo che l'autore è molto popolare tra chi segue la storia monetaria, ma avendo studiato la vita e l'operato politico di Hamilton posso dire che anche solo citarlo in relazione ad un "crimine monetario" dovrebbe destare non pochi sospetti. Hamilton aveva uno scopo preciso: di rendere gli Stati Uniti d'America un paese forte, indipendente, e soprattutto una potenza manifatturiera. Per fare questo occorreva creare un sistema di credito produttivo, in una situazione molto particolare: la giovane nazione era oberata dai debiti internazionali. Consapevole della necessità di garantire i rapporti economici internazionali Hamilton accettò vari meccanismi che nel mondo ideale potremmo considerare discutibili; si trovò anche a fare "affari" con le banche delle potenze coloniali europee.

Gli orbi di oggi direbbero che questo dimostra che in realtà Hamilton era solo un elitario, e che faceva gli interessi dei banchieri. La realtà è che ha creato e poi utilizzato il potere sovrano della nuova nazione per dirigere risorse anche dal sistema privato verso la crescita dell'economia reale.

In questi casi è sempre utile chiedersi: cui prodest? I nemici di Hamilton – allora ed oggi – sono coloro che si oppongono all'autorità del governo federale, per svariati motivi. A mio avviso quello più istruttivo si trova nell'opposizione degli stati secessionisti, che hanno scritto una propria costituzione rimovendo le clausole più centraliste e "opprimenti" di quella statunitense. Per i fautori dell'utopia feudale del Sud – e i loro controllori a Londra – uno degli aspetti peggiori del potere governativo era quello per cui Hamilton non smise mai di battersi: la promozione degli "internal improvements", le migliorie interne, che oggi chiamiamo le infrastrutture fisiche.

Cordialmente,
Andrew Spannaus


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