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National Geographic Italia su "La guerra dell'oppio": un altro caso di omissione colpevole

4 marzo 2011 (MoviSol) - Nell'edizione di febbraio 2011 della rivista National Geographic Italia, si trova un articolo di Robert Draper, un reporter che, in marcia sulla "via dell'oppio afghano", insiste sui casi di inefficienza e di corruzione nell'opera di contrasto della coltivazione del papavero, e sulle situazioni in cui il suo abbandono, ferme restando le condizioni al contorno, significa la fame di intere comunità.

Ma si può tacere del fatto che la produzione è aumentata da quando sono presenti le forze armate straniere, soprattutto nelle zone sotto il controllo di Sua Maestà?

La descrizione, infatti, è piuttosto riduttiva e difettosa. Quando Draper afferma: "La campagna di estirpazioni ha costretto a spostare le coltivazioni nelle zone più remote, su terreni volutamente invisibili", c'è da domandarsi se quei terreni siano invisibili anche dall'altezza di volo dei satelliti che, sin dagli anni Ottanta almeno, sono in grado di distinguere una coltura agricola dall'altra, di ettaro in ettaro. Le Nazioni Unite e le unità militari in azione, ci risulta, dovrebbero usare questi sistemi di controllo, per evitare agli operatori in cerca di papaveri da estirpare la guida "per ore su strade di montagna sconnesse e isolate, accompagnati da qualcuno che conosca la zona".

Il giornalista raccoglie testimonianze a dir poco sfavorevoli nei confronti delle forze di polizia locali e dei reparti incaricati di estirpare i papaveri. Uno dei contadini intervistati estrae il succo della faccenda: "È la polizia a trasportare l'oppio con le sue macchine! I grandi palazzi di Lashkar Gah e Kandahar sono stati costruiti con i soldi delle tangenti". Dopo il padre, "anche il figlio coltiverà papavero. E non saprà fare altro. Qui non abbiamo falegnami, ingegneri, meccanici. Non abbiamo niente. […]È una specie di cancro del nostro paese".

Il giudizio sull'agenzia USAID e altre organizzazioni occidentali è altrettanto duro: "Hanno promesso al governatore del distretto di Argo che ci avrebbero dato sementi e fertilizzanti. Ma non abbiamo avuto niente". Secondo un vecchio: "Il governo ci aveva detto: 'Costruiremo strade, ponti e canali, e vi dimenticherete dei papaveri per sempre'. Questo succedeva cinque anni fa. Non hanno fatto niente".

Ovviamente non tutto è fallimento - altrove sono in costruzione dighe, canali, ponti, fabbriche, ecc. - ma il Draper insiste sulla corruzione, che sostiene andrebbe sradicata prima dei papaveri. Il che è come negare che, dopo la guerra, in Italia, avremmo dovuto rinunciare alla ricostruzione e al boom economico, solo perché nel nostro sistema politico vi era anche corruzione.

Come spesso accade, naturalmente, il problema più grande è legato a ciò che viene omesso dal racconto.

Nella breve ricostruzione della storia di quel Paese, Draper racconta: "Per tutto il Settecento e l'Ottocento, il papavero restò un prodotto di nicchia dell'agricoltura afghana. Per un lungo periodo fu l'India (!) a detenere una sorta di monopolio mondiale del traffico d'oppio". Gli chiediamo: L'India o la Gran Bretagna sua dominatrice coloniale?

"Poi, con la diffusione dell'eroina negli Stati Uniti, la produzione si estese anche alla Turchia e agli altipiani del sud-est asiatico. […] Fu solo a metà del secolo scorso che l'Afghanistan divenne un esportatore di oppio." Perché, allora, non citare le guerre dell'oppio mosse dall'Impero britannico contro la Cina, precedente di quanto accaduto ai citati Stati Uniti, ai danni dei suoi figli del boom economico?

Finché la comunità internazionale non applicherà le lezioni della storia e non neutralizzerà l'influsso imperiale nelle "missioni di pace" in Afghanistan, non potremo liberare i contadini dal ricatto economico e le loro donne dalla minaccia del più alto tasso di mortalità post-parto al mondo.


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