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Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà
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Liberismo e alluvioni: girare pagina!

10 marzo 2011 (MoviSol) - Tre morti nelle Marche, altri nella vicina provincia di Teramo, altri in Romagna e anche in Sicilia, interi paesi senza corrente elettrica per giorni, altri isolati, altri evacuati, ponti che cedono, un miliardo di euro la stima dei danni ad agricoltura, industria, trasporti, nonché a privati cittadini solo nelle Marche [1].

Sarebbe veramente un esercizio di scempiaggine voler ricercare le colpe di tale pessimo risultato nella mala amministrazione di questo o quel politico locale o nazionale, i quali pure non brillano di cultura e lungimiranza e quel poco che potrebbero fare non fanno; tale risultato è causato da decenni di applicazione di politiche che vengono da lontano e per di più deliberatamente omicide.

Sì, sto dicendo che qualcuno (vedremo chi), tempo fa, ha deciso che era accettabile correre il rischio che si verificassero quelle vittime.

Non si commetta poi il grottesco esercizio di arrampicata sugli specchi (di cui si ode già il suono nei media) cercando di attribuire i danni, materiali e non, ad un ipotetico e sempre più screditato "cambiamento climatico"; no, signori, le piogge, anche più abbondanti delle ultime, ci sono sempre state [2]. I danni derivano dal fatto che da decenni non si investe più nella manutenzione delle strade, dei bacini idrici, nel miglioramento infrastrutturale, nella creazione di nuove infrastrutture di trasporto, energetiche, sanitarie, dell’istruzione e via dicendo. Non si puliscono neanche più i fossi e le sponde dei fiumi!

I Vigili del Fuoco di Ascoli Piceno, per quest'ultima emergenza hanno dovuto far arrivare un mezzo anfibio con circa quarant'anni di servizio da Napoli, perché non ce n'era uno migliore più vicino.

E perché questo gap di investimenti? Per rispondere a questo interrogativo bisogna spazzare il campo da un equivoco. Questi investimenti non possono essere fatti dai privati. Il privato ricerca il profitto, il più alto e il più veloce possibile. Il privato non può investire negli argini del Tronto o dell'Ete o di qualunque altro fiume, o nel miglioramento della ferrovia Ascoli - San Benedetto, nella manutenzione delle strade provinciali o nel miglioramento degli ospedali o dell’istruzione. I deputati a fare ciò sono lo Stato e le sue articolazioni locali.

Accade però un fatto: lo Stato (e a cascata gli enti locali) non ha più un centesimo. O meglio, non può più spendere. Sì, perché abbiamo ingurgitato come fosse oro colato una teoria bizzarra: lo Stato che spende crea debito e il debito pubblico è da evitare come la peste bubbonica.

Peccato che la teoria inversa (meno lo Stato spende, più ricchezza per tutti si crea) non si sia mai verificata nella storia e sfidiamo chiunque a portarne un esempio reale. Al contrario, la storia è ricca di esempi fulgidi di come la spesa a debito dello Stato, indirizzata verso programmi di sviluppo infrastrutturale (in senso lato), abbia creato ricchezza per i sui cittadini, anzi sia essa stessa la ricchezza dei cittadini: uno su tutti il New Deal di Roosevelt degli anni trenta negli USA.

Oggi l'ortodossia monetarista e liberista che ci viene propinata quotidianamente dai giornali, nelle scuole, dai politici ottusi che la ripetono a pappagallo, che a loro volta la imparano da veri e propri sacerdoti di una religione del dogma, specie di ayatollah della finanza, ci sta portando alla rovina.

Tale ortodossia viene dalla scuola di Chicago, a sua volta erede dei neoclassici e della scuola viennese di Von Hayek; è incarnata dagli anni settanta dal Fondo Monetario Internazionale e, in Europa, dall'inizio degli anni novanta, dall'Unione Europea e dalla Banca Centrale Europea. Il trattato di Maastricht, che ci ha inflitto l'Euro, e quello di Lisbona, che insieme incarnano la più stringente ortodossia monetarista e liberista, hanno tolto agli stati (e alle loro articolazioni locali) il portafoglio (oltre a tante altre cose che non è questa la sede per richiamare). Non possono più spendere, perché, dicono, altrimenti aumenta il debito pubblico.

Adesso qui verrà pronunciata una frase che farà inalberare molti: il debito pubblico sovrano non è un problema.

Ci hanno fatto credere il contrario affinché agli stati fosse tolta la sovranità, e in primo luogo la sovranità monetaria, ovvero la capacità di battere la propria moneta, perché si evitasse di creare troppa ricchezza pubblica e prevalesse la privatizzazione dell'economia, ovvero un nuovo feudalesimo, dove, come nel medioevo, il signorotto locale è il proprietario delle terre, delle strade, delle infrastrutture e tu devi pagarlo per qualsiasi cosa.

Gli stati in questa situazione, volendo spendere quel poco di cui non possono fare a meno, debbono andare a cercarsi i prestiti sul mercato, come fa un semplice cittadino, dalle banche private e dai fondi sovrani che hanno i soldi. Ovviamente ripagandoli e ai tassi che dicono i prestatori. Ma meno spesa pubblica porta a meno investimenti. Meno investimenti portano a minore produttività e quindi minor produzione. Minor produzione significa meno gettito fiscale e minor PIL: l'anno successivo il rispetto dei parametri di Maastricht e del cosiddetto Patto di Stabilità sono ancor più lontani; di anno in anno un circolo vizioso ci costringe, noi cittadini UE, a tirare la cinghia sempre più, quindi: zero, o quasi, nuove infrastrutture, zero, o quasi, manutenzione e via dicendo.

La Grecia, più debole di noi (la provincia di Vicenza da sola esporta più del paese ellenico), ad un certo punto non poteva più ripagare il debito: che cosa fare? L'UE ha imposto la sua ricetta di tagli drastici alla spesa pubblica (ancora!) che ha portato in piazza centinaia di migliaia di dimostranti, ma è calata come una mannaia sui pensionati, sui lavoratori etc.

L'Irlanda, la tigre celtica, celebrata dai media fino a qualche mese fa come un fulgido esempio di applicazione di politiche liberiste, stava ugualmente per dichiarare fallimento: altre mazzate ai lavoratori, alla spesa pubblica, alle pensioni per salvare il sistema Euro.

A ruota ci sono il Portogallo, la Spagna e poi, in lista, c'è il nostro Paese.

Jacques Attali, uno dei padri dell'Euro, disse di persona all’economista Alain Parguez: "Non è colpa nostra se la plebaglia europea era convinta che l'Unione Monetaria fosse fatta per la loro felicità". Non credo occorrano commenti.

Ma è tutto così determinato? È finita veramente la storia?

L'Argentina, fino al 2001 aveva adottato alla lettera le ricette del fondo monetario internazionale, quindi: privatizzazioni delle aziende di Stato, liberalizzazione dei servizi, apertura ai capitali stranieri. Risultato: disoccupazione di massa, crollo della produzione e della produttività, aumento della povertà e della criminalità, inflazione etc.

Alla fine del 2001 l'Argentina dichiarò bancarotta sul debito (non un debito sovrano, ma un debito contratto con banche straniere attraverso il FMI), perché disse il governo: "O moriamo di fame, o paghiamo i debiti". Molti si arrabbiarono, soprattutto le banche straniere, ma anche i risparmiatori cui molte banche avevano rifilato i famosi tango bond, fidando sul fatto che ormai l'ortodossia monetarista non potesse essere sfidata. Invece l’Argentina, grazie al governo di Nestor Kirchner, ha invertito completamente rotta, ha detto addio al FMI e applicato politiche di dirigismo economico, la dottrina economica ideata, non dai soviet, ma dagli Stati Uniti d’America di George Washington e, a distanza di anni, si è rimessa in carreggiata: la produzione è aumentata, la disoccupazione è fortemente diminuita, i capitali stranieri, una volta fuggiti, sono tornati ad investire.

Forse è ora di svegliarsi dal torpore e prendere coraggio per scelte difficili, ma sempre più urgenti. Arrivano momenti in cui ciò che poco prima sembrava impossibile diventa urgente e realizzabile. Il 10 settembre 2001 il mondo era una cosa, il giorno dopo eravamo in un altro paradigma. Il sistema dell'Euro è già spacciato, sono troppi gli squilibri che lo minacciano. O si va verso un piano B con una fuoriuscita ordinata o ci aspetta solo il caos simile al Nord Africa di questi mesi. A nulla servono le ventilate nuove liberalizzazioni, i programmi dei vari Montezemolo, Draghi e compagnia brutta o addirittura il tanto decantato federalismo: basta con i pannicelli caldi se non perniciosi.

Cominciamo a prendere in considerazione l'idea di uscire dall'Euro, come primo passo verso uno sviluppo dell'economia. Non è populismo, anche l'economista ed ex ministro Paolo Savona ha sollevato la questione: tutti ci dicono che uscire dall’Euro ci costerebbe troppo; non è che per caso il rimanervi ci costi di più?

D'altronde prima dell'Euro non andava poi così male: senza Euro siamo diventati uno dei 5 paesi più industrializzati del mondo e nel 1963 avevamo raggiunto quasi la piena occupazione. E con l'Euro? Lo sviluppo medio annuo del PIL italiano è risultato la metà di quello del quindicennio precedente, un quarto di quello del periodo dal 1945 al 1980. Nei trentacinque anni a partire dalla fine della ricostruzione, l'Italia era in testa ai paesi occidentali quanto a tasso di sviluppo; nei quindici anni prima di Maastricht eravamo secondi dopo la Germania; oggi siamo gli ultimi [3].

Non dico che l'uscita dall'Euro possa essere semplice: sicuramente sarà traumatica all’inizio, ma è lo scotto da pagare per decenni di imbecillità politica. Altre misure occorrono: avvio della cooperazione internazionale affinché venga ribaltato il paradigma della globalizzazione che punta al ribasso, separazione delle attività speculative da quelle bancarie ordinarie, avvio di un massiccio programma di sviluppo infrastrutturale.

Allora concludiamo dicendo: non è la Cina, non il cambiamento climatico, non è l'egoismo degli imprenditori, non la stupidità di questo o di quel politico, non è l'immigrazione o il terrorismo la causa dei nostri problemi. Questi sono tutti fantasmi che ci vengono agitati affinché non prendiamo veramente coscienza di quello che ci sta accadendo: la sottrazione della sovranità da parte di una élite sovranazionale che fa capo ai centri finanziari internazionali come la City di Londra: sono questi ad aver deciso i morti per il maltempo.

Riaffermiamo la nostra sovranità, proprio nel 150° anniversario dell'unità d'Italia, imprenditori, dipendenti privati e pubblici, disoccupati, studenti, anziani, uniti alziamo la voce, non verso i fantasmi, primo fra tutti quello del debito pubblico, ma contro coloro che si sono impadroniti del nostro futuro.

Aureliano Ferri.
Movimento Internazionale per i Diritti Civili - Solidarietà


Note:

[1] - Vedi "Maltempo, nella regione danni stimati per un miliardo di euro".

[2] - Variazioni nella frequenza e nell'intensità delle precipitazioni giornaliere in Italia negli ultimi 120 anni. Fonte: CNR.

[3] - Giuseppe Guarino, “Ratificare Lisbona?”, Passigli Editore.


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