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Una breve analisi sulla domanda energetica italiana

di Andrea Pomozzi

3 settembre 2012 (MoviSol)

Lo scenario globale

L'agenzia Internazionale per l'Energia (AIE), nell'ultimo rapporto annuale[1] prevede un consistente incremento della domanda energetica mondiale, quantificabile in un aumento del 40% calcolato sul periodo che va dal 2009 al 2035. La parte predominante dell'energia nei prossimi venticinque anni sarà comunque prodotta mediante combustibili fossili, come petrolio, carbone e gas naturale, con quest'ultimo in continua ascesa. Nelle previsioni dell'AIE queste tre materie prime produrranno per i decenni a venire più di 3/4 dell'energia totale necessaria a livello mondiale. La figura 1 rappresenta in maniera sintetica questo scenario.


Figura 1 - Percentuali di energia prodotta dalle diverse fonti rispetto al fabbisogno globale (ordinata) negli anni (ascissa). Dati acquisiti (linea continua) e previsioni (linea tratteggiata). Fonte: International Energy Agency, World Energy Outlook 2011.

A livello mondiale i due fattori chiave più rilevanti saranno: un aumento consistente nell'utilizzo del gas naturale e l'incremento di domanda per "l'elettricità", rispetto agli altri tipi di energia fornita. La necessità di maggiore elettricità deriva in estrema sintesi dall'automatizzazione di molti processi industriali e dall'implementazione di politiche ambientali che tendono alla sostituzione o quantomeno alla minimizzazione delle fonti "termiche" di energia (si pensi solo per semplicità al trasporto). Per poter soddisfare questo crescente bisogno di energia da qui al 2035, l'AIE stima un ammontare complessivo di investimenti richiesti, a livello globale, pari a 38000 miliardi di dollari: più di 1500 miliardi di dollari all'anno per i prossimi 25 anni circa. Il 45% di questi investimenti sarà destinato solamente alla generazione dell'energia, mentre il restante è suddiviso tra attività di estrazione, raffinamento, trasporto e distribuzione. In quest'ottica è interessante conoscere, non solo da un punto di vista economico ma anche geopolitico, che il fatturato annuale della Russia, proveniente dalle attività legate alla vendita di combustibili fossili, si aggira oggi attorno ai 250 miliardi di dollari e salirà a circa 420 miliardi di dollari nel 2035. Il fattore determinante di questa crescita sono gli accordi con la Cina, che dovrebbe assorbire in futuro circa il 20% delle risorse russe, mentre l'Europa che oggi rappresenta circa il 77% del mercato per la Russia, dovrebbe lentamente scendere ad un 63% (fonte: OECD/IEA 2011).

Nel bilancio economico relativo alla produzione energetica globale, allo stato attuale le fonti fossili nel mondo godono di sovvenzioni governative per un ammontare complessivo di 409 miliardi di dollari, ma producono l'81% dell'energia. Le coiddette fonti rinnovabili godono in totale di incentivi pari a 66 miliardi di dollari ma producono solo il 10% dell'energia totale. Una percentuale quest'ultima raggiungibile unicamente se all'interno della categoria "energie rinnovabili" è contenuta la produzione di energia mediante combustione delle biomasse e dei rifiuti (fonte: OECD/IEA su dati 2010). A conti fatti[2], i sussidi alle energie rinnovabili si evidenziano come inefficienti rispetto alla quantità e alla qualità (continuità) dell'energia prodotta.

Analisi a parte meriterebbe la produzione di energia elettrica da fissione nucleare, che vedrà nei prossimi anni una crescita della potenza installata di circa il 70%, sviluppo guidato principalmente, ma non unicamente, da Cina, India e Corea del Sud.

La situazione italiana

L'Italia deve fare i conti con uno scenario globale in forte mutamento, ancor più che gli altri Paesi europei, a causa della scarsità di materie prime sul territorio nazionale. Nel 2005 (anno pre-crisi) il consumo di energia elettrica in Italia si attestava attorno ai 340,2 TWh, per ridursi a 332,3 TWh nel 2011 a causa della attuale crisi economica[3], che ha portato a molteplici fallimenti di aziende e numerose chiusure di industrie manifatturiere.

L'83,6% di questa energia consumata in Italia proviene dalla produzione nazionale, per il restante 13,7% viene importata dalla Svizzera (7.4%), Francia (4.1%), Slovenia (1.4%) e il rimanente 0,4% dalla Grecia e dall'Austria. Importazione diretta di energia elettrica che per l'anno 2011 ha comportato un aggravio sulla bilancia commerciale pari a circa 3,5 miliardi di euro[4]. L'Italia ha sempre importato una parte consistente dell'energia che consuma, in modo particolare il deficit import-export per l'energia elettrica è esploso a partire dai primi anni ottanta (figura 2).


Figura 2 - Importazione – in nero – ed esportazione – in verde – di energia elettrica per l'Italia, dal 1963 al 2011. Il bilancio netto è riportato in rosso. Source: TERNA).

Dei 332,3 Twh consumati nel 2011 circa il 65,4% è stato prodotto mediante centrali termoelettriche (gas naturale, petrolio, carbone,…). Il mix energetico italiano per il 2011 è ben rappresentato dalla figura 3: l'energia prodotta mediante centrali termoelettriche lo scorso anno è stata 217,4 TWh, pari al 65,4% del totale; la componente derivante dall'idroelettrico ha contato per 47,7 TWh, il 14,3%; le importazioni hanno toccato i 47,7 TWh, un altro 14,3% sul totale; mentre le fonti come fotovoltaico, geotermia e eolico hanno generato 24,1 TWh, ovvero il 7,3% dei consumi totali. Nel 2011 la più grande compagnia energetica italiana, parzialmente posseduta dallo Stato con il 31,2% delle quote azionarie, ha speso circa 8 miliardi di euro per l'acquisto di combustibili necessari per la produzione di energia elettrica[5].


Figura 3 - Mix energetico italiano per la produzione di energia elettrica nel 2011. Tra parentesi i valori per l'anno 2010. Tutti i valori sono in TWh. Fonte: Terna.

Lo scenario energetico tracciato dall'ENEA per l'Italia prevede un incremento costante della domanda di energia, per giungere a circa 418 TWh nel 2030 (all'incirca un +23% rispetto ai livelli di consumo pre-crisi del 2005). Di questo fabbisogno energetico meno del 9% verrà coperto dalle rinnovabili come fotovoltaico ed eolico con una produzione annuale stimata attorno ai 35 Twh[6]. Come conseguenza delle caratteristiche intrinseche del suolo italiano e della particolare morfologia del territorio nazionale, le fonti energetiche come idroelettrico e geotermico non hanno possibilità di crescita significativa (come si evince anche dalle serie storiche nazionali), per cui l'energia necessaria da qui al 2030 dovrà necessariamente essere prodotta mediante centrali termoelettriche (combustione) nella misura di circa 292 TWh, ovvero +32% rispetto alla quota termoelettrica nel 2010. Questo ha come semplice e diretta conseguenza maggiori costi di importazione dei combustibili fossili e maggiore quota di elettricità importata direttamente. Il tutto a detrimento ancora della bilancia commerciale nazionale e…della qualità dell'aria!

Nell'ambito di un piano di programmazione energetica su scala nazionale, oltre alla quantità di energia, un'analisi attenta dovrebbe essere effettuata anche sulla "qualità" dell'approvvigionamento energetico. Un fattore fondamentale è ad esempio la continuità dell'approvvigionamento e la versatilità nella produzione, al fine di far fronte a picchi di richiesta improvvisi e non programmabili oppure davanti alla necessità di sopperire a momentanei guasti tecnici. Il costo di produzione dell'energia elettrica (€/MWh) dovrebbe essere banalmente un altro fattore fondamentale ai fini della "qualità" dell'approvvigionamento energetico. Le cosiddette fonti rinnovabili presentano sotto questo profilo i risultati più scarsi e svantaggiosi dal punto di vista economico. Oltre alla impossibilità di una coerente pianificazione della produzione energetica, per fonti come eolico e fotovoltaico, queste risorse soffrono di alti costi di generazione. Costi che inevitabilmente si ripercuotono sugli utenti finali, tramite bollette più salate per aziende[7],[8] e famiglie[9]. Proprio in questi giorni, uno studio[10] della Confartigianato Imprese ha riportato che nell'ultimo anno i prezzi dell'energia per le aziende italiane sono saliti dell'11,0%, quasi il doppio rispetto al 5,9% europeo; al contempo è cresciuto il gap del costo dell'energia elettrica pagato dalle imprese italiane rispetto ai competitor UE, portandosi ad un +35,6%. La Confartigianato Imprese ha stimato per gli imprenditori italiani maggiori costi pari a circa 10 miliardi di euro rispetto alla media europea. "Il costo dell'energia elettrica per uso industriale è una delle tante zavorre che frenano la corsa delle imprese italiane" ha sottolineato il Presidente di Confartigianato Giorgio Guerrini a commento dello studio.

Già a fine 2010, il Centro di Ricerche per le Politiche Energetiche ed Ambientali del MIT, elaborò un dettagliato studio[11], dove si dimostra che un confronto tra fonti energetiche intermittenti (solare, eolico,…) e continue (gas, carbone, nucleare,…) basato sul metodo dei costi normalizzati per MWh è sostanzialmente errato e fuorviante. Tale tipologia di confronto, normalmente riportato anche sui comuni mezzi di informazione, secondo il MIT porta a sottostimare i costi delle fonti intermittenti. Nonostante i valori sottostimati, in un confronto tra le differenti tecnologie di produzione dell'energia elettrica, le cosiddette fonti rinnovabili hanno valori di generazione notevolmente più alti, così come previsto da uno studio dello scorso anno del Dipartimento Americano per l'Energia[12].

A riprova dei costi nascosti e di solito non valutati delle rinnovabili, è significativo sottolineare come molti gruppi industriali tedeschi recentemente stiano sperimentando enormi difficoltà e costi aggiuntivi a causa della instabilità della rete elettrica tedesca, dovuta alle fluttuazioni nella produzione energetica delle fonti come eolico e fotovoltaico. Molte industrie hanno avuto rilevanti danni alla produzione come conseguenza di micro interruzioni o minime oscillazioni della tensione e sono corse ai ripari auto-producendo l'energia ove possibile o acquistando costosi e complessi sistemi di stabilizzazione della tensione. Alcune aziende tedesche di fronte all'incremento dei costi dell'energia elettrica principalmente dovuti agli incentivi per le fonti rinnovabili e di fronte al degradarsi della qualità del servizio energetico hanno minacciato di delocalizzare le attività produttive[13].

Domanda energetica, crescita economica e PIL

Al contrario di quello che potrebbe apparire, lo scenario energetico elaborato dall'ENEA per il futuro dell'Italia è molto vicino a quello di una stagnazione industriale: i previsti 418 TWh annui, necessari nel 2030 secondo uno scenario di riferimento, considerano una domanda energetica da parte dell'industria italiana praticamente identica a quella del 2005. A crescere maggiormente sarà la domanda di energia da parte del settore terziario e del settore civile. Analogamente del resto a quanto accaduto negli ultimi cinque anni, con le conseguenze sul piano economico e sociale che si possono oggigiorno facilmente riscontrare.

È evidente che anche nell'ipotesi di una crescita moderata, il fabbisogno energetico nazionale aumenti considerevolmente, rendendo il valore previsto dall'ENEA per il 2030 significativamente sottostimato. Se volessimo supporre una crescita del PIL del 2%, alla data del 2030 sarebbero necessari, come vedremo tra breve, circa 450 TWh. Ovvero 110 TWh/anno aggiuntivi rispetto ai consumi pre-crisi.

Se si osservano le serie storiche che confrontano il PIL italiano e la richiesta nazionale di energia elettrica, si può notare come quest'ultima sia cresciuta più rapidamente del PIL con una forbice che si è allargata negli anni: i due andamenti sono riportati in figura 4.


Figura 4 - Confronto tra il fabbisogno energetico nazionale (in blu) ed il PIL (in rosso), per l'Italia 1980 ed il 2010. Fonte: TERNA.

Dal grafico è possibile osservare come il fabbisogno energetico italiano dagli anni 80 in poi sia cresciuto al ritmo circa del 3% annuo, superando il rapporto medio di crescita del PIL (circa 2% annuo). Il dato importante quindi è che per sostenere oggigiorno la crescita del Paese ad un ritmo del 2% di variazione del PIL (crescita moderata), il fabbisogno energetico dovrebbe aumentare almeno di un 3% annuo. Partendo ora anche dagli attuali consumi (332,3 TWh nel 2011) ad un ritmo di aumento del 3% annuo arriveremmo a stimare grossolanamente un fabbisogno energetico per il 2030, approssimativamente di 500 TWh.

Dall'allargamento della forbice nel grafico si può estrarre anche un'altra interessante informazione: negli ultimi venti anni circa, per incrementare il prodotto interno lordo della stessa quantità rispetto agli anni precedenti, l'Italia ha avuto necessità di maggiore energia. Negli stessi anni vi è stato un altrettanto impetuoso sviluppo del terziario (i cosiddetti servizi): possiamo concludere che l'economia italiana negli ultimi venti anni abbia intrapreso una strada verso settori economici inefficienti e a bassa produttività?

Estendendo l'analisi del fabbisogno energetico italiano agli ultimi 50 anni, il consumo storico annuale mostra un incremento di circa 6 TWh/anno, come si può stimare approssimativamente dalla figura 5 (escludendo gli anni della crisi economica dal 2007 al 2010).


Figura 5 - Fabbisogno nazionale di energia elettrica in TWh, per l'Italia dal 1960 al 2010. Fonte: TERNA.

Applicando questo andamento di crescita, ricavato dalla serie storica di lungo termine della figura 5, alle previsioni per il 2030 se ne ricava un valore di circa 450 TWh/anno, ancora significativamente superiore alle stime dell'ENEA. Anche all'interno di uno scenario ottimistico in cui il 10% di tale consumo annuale è prodotta mediante energie rinnovabili, rispetto alla situazione pre-crisi (2005), da qui al 2030 sono necessari 110 TWh/anno aggiuntivi. A conferma di ciò, un recente rapporto[14] di TERNA stima per il 2021 un consumo nazionale di circa 400 TWh/anno, facendo riferimento ad una prospettiva di crescita moderata con un incremento annuale medio del PIL dell'1,8%. Praticamente un aumento della domanda di energia elettrica pari a 6,5 TWh/anno (in perfetto accordo con il dato storico), che conduce nuovamente ad un fabbisogno stimato per il 2030 di circa 450 TWh.

Accanto al fabbisogno energetico annuale (espresso in TWh), un altro fattore di fondamentale importanza per il sistema elettrico nazionale è la massima potenza richiesta in condizioni particolari (estati torride o inverni gelidi) a talune ore del giorno. La potenza di picco disponibile è un parametro decisivo per evitare blackout generalizzati e frequenti. Una dimostrazione di quanto delicata sia la gestione della rete elettrica, relativamente alla potenza richiesta è riportata in questo breve e simpatico video:

La gestione della rete elettrica

Nel 2010 la massima potenza assorbita dalla rete elettrica nazionale è stata di 56 GW[15] , al di sotto della massima potenza disponibile sul territorio italiano, attualmente intorno ai 66 GW. Per il 2021, TERNA prevede una potenza massima necessaria di 90-100 GW, all'incirca 30 GW in più della disponibilità attuale: ovvero è necessaria la costruzione di nuove centrali di generazione. In figura 6 è riportato il fabbisogno di potenza storico ed in previsione fino al 2021, così come stimato da TERNA.


Figura 6 - Domanda di potenza di picco negli anni 1990-2020 per l'Italia, dati consuntivi e previsione. Fonte: TERNA.

La domanda tanto banale, quanto importante, che potrebbe sorgere a questo punto è: ma abbiamo davvero necessità di tutta questa energia (e potenza)? Abbiamo già osservato sopra lo stretto legame tra crescita del PIL e fabbisogno energetico. Il passo ulteriore è legare la variazione del PIL al tasso di disoccupazione nazionale. Questi dati non possono che essere empirici: stime basate su modellizzazioni specifiche per ogni singola economia e ciascun mercato del lavoro, che tengono in considerazione anche le serie storiche. Il grafico in figura 7 mostra questo legame approssimativo.


Figura 7 - Variazioni % cumulative del tasso di crescita dell'occupazione rispetto al rapporto di crescita del PIL, per differenti Paesi (mercati del lavoro). Fonte: Source: CNEL - Rapporto sul mercato del lavoro 2010 – 2011.

D'altro canto la legge di Okun, a cui gli economisti attribuiscono ancora una buona validità[16], [17], prevede che per poter cominciare ad apprezzare una diminuzione del tasso di disoccupazione, il PIL nazionale dovrebbe crescere ad un tasso minimo del 2-3%. Il livello di disoccupazione attuale in Italia, secondo stime ufficiali Eurostat, si attesta attorno al 10,8%, equivalente a circa 2 milioni e 800 mila disoccupati[18]. l dato medio aggregato presenta ovviamente forti differenze su base geografica, per cui a fine 2011 si andava da un tasso di disoccupazione dl 3,9% per il Trentino Alto Adige al 15,5% della Campania (dati ISTAT). Per ridurre questo drammatico livello di disoccupazione che affligge la vita di intere generazioni (in particolare le giovani generazioni al Mezzogiorno) e può seriamente compromettere il futuro del Paese, l'Italia ha necessità di crescere ad un tasso annuale di almeno 2-3%, per i prossimi decenni a venire.

Visto il legame tra crescita del PIL e fabbisogno energetico: dove trovare l'energia sufficiente per sostenere la crescita del PIL e sconfiggere così la disoccupazione? Abbiamo visto in precedenza che in circa venti anni sarà necessario aumentare la produzione di energia di circa un 30% rispetto ai valori attuali. Costruire nuove centrali termoelettriche equivale ad aggravare il deficit con l'estero per l'acquisto di combustibili fossili e comporta un alto impatto ambientale. Le rinnovabili potranno dare al massimo un contributo del 10%, con annessi costi molto alti e problemi di approvvigionamento, come spiegato in precedenza. L'acquisto dell'elettricità dall'estero di nuovo porrebbe un aggravio insostenibile sulla bilancia commerciale e di riflesso sui costi aziendali: dunque scarsa competitività e bassa produttività. Riguardo ad altre fantomatiche fonti di energia abbiamo già scritto in passato: "Tra fusione, fissione e leggende". Per quanto concerne infine i concetti, oggi molto in voga, di efficienza energetica e risparmio energetico sono necessarie alcune considerazioni a parte.

Aumentare l'efficienza energetica di un sistema equivale a dire che è possibile ottenere lo stesso risultato finale (luce da una lampadina, lavoro meccanico, calore, ecc…) con minore consumo di energia: in questo modo è possibile ottenere un risparmio energetico. Sottolineiamo "stesso risultato", in quanto diminuire la produzione industriale o ridurre le attività di qualunque genere e tipo comporta sicuramente un minor consumo energetico, ma non ha nulla a che vedere con i concetti di efficienza o risparmio energetico. Casomai con i concetti di decrescita e sottosviluppo. Per questo lasciano abbastanza interdetti alcuni rapporti sull'efficienza energetica che, specialmente in questi ultimi anni di crisi economica, si limitano a valutare la diminuzione dei consumi e registrare un successo sul piano del "risparmio e dell'aumento dell'efficienza energetica". Il Piano d'Azione per l'Efficienza Energetica per il 2011, ad esempio riporta: "In tale contesto, l'intensità energetica del PIL nell'ultimo quadriennio si è ulteriormente ridotta dopo la stabilità degli anni 1990-2006. A tale riduzione hanno concorso sia l'effettivo miglioramento dell'efficienza, sia una progressiva dematerializzazione dell'economia italiana, con la continua crescita del settore dei servizi meno energivori a scapito dell'industria. […] Complessivamente gli usi finali di energia sono aumentati dell'8,7 per cento nel periodo 2000-2005 e sono diminuiti del 9,2 per cento negli anni 2005-2009."[19]

È facile comprendere come per raggiungere maggiore efficienza e maggiore risparmio energetico siano necessari investimenti: nel migliore dei casi bisogna sostituire qualche componente con prodotti a più alta efficienza energetica (es: lampadina), nel peggiore dei casi è necessario ripensare un intero processo produttivo o sostituire completamente macchinari e linee di produzione.

Il risparmio energetico può derivare da una maggiore efficienza energetica ed in parte da comportamenti più virtuosi, tesi ad eliminare gli sprechi. La Direttiva 2006/32/CE stabilisce che gli Stati Membri devono redigere un Piano d'Azione per l'Efficienza Energetica che mira a conseguire un obiettivo nazionale indicativo globale di risparmio energetico al 2016, che dovrebbe raggiungere il 9 % per il nono anno di applicazione, da conseguire tramite servizi energetici e altre misure di miglioramento dell'efficienza energetica. Sul fronte del risparmio il settore residenziale è quello che fornisce il maggiore contributo: nel 2010 circa il 66% di tutto il risparmio a livello nazionale derivava da questo settore [20]Tuttavia a causa degli alti costi per i lavori necessari, agli oggettivi limiti di intervento per numerosissimi edifici storici e alla inevitabile saturazione del mercato queste misure di miglioramento nel settore residenziale sono destinate a raggiungere presto un limite. In uno scenario di bassa crescita e alta disoccupazione è altamente improbabile che le famiglie investano nel campo dell'efficienza energetica. Moltissime misure di risparmio inoltre sono applicabili unicamente agli edifici di nuova costruzione (oggi largamente invenduti a causa della crisi economica…). Infine a sorpresa c'è da aggiungere che: "L'Italia è tradizionalmente uno dei Paesi dell'area OCSE a più elevata efficienza energetica: il consumo finale di energia per abitante, pari a 2,4 tonnellate equivalenti di petrolio/capita è, infatti, uno dei più bassi tra quelli dei Paesi a simile sviluppo industriale (2,7 tep/capita media UE)"[21].

Tutte queste considerazioni fanno pensare che non ci sarà molto spazio in futuro per un contributo rilevante al bilancio energetico nazionale, da parte di processi di efficientamento e di risparmio energetico.

Una ultima considerazione va formulata per l'energia elettrica. Se si separano le voci di consumo dell'energia elettrica dalle altre fonti energetiche, si possono stimare in circa 12 TWh l'energia elettrica risparmiata nel 2010, come conseguenza di processi di efficienza energetica e comportamenti virtuosi volti al risparmio[22]. Ovvero meno del 25% di tutta l'energia risparmiata e solo il 3,6% circa del fabbisogno di energia elettrica del Paese. Ora prospettiamo il migliore degli scenari possibili per il risparmio energetico, stimando un punto percentuale di miglioramento all'anno, così come la Direttiva 2006/32/CE auspicherebbe, da qui fino al 2030: in totale avremmo un 18% di risparmio energetico calcolato sull'ammontare medio annuo del consumo. Mantenendo le proporzioni per i consumi di energia elettrica questo corrisponde ad un 4,5%. Pur calcolando tale percentuale sul massimo consumo (del 2030) abbiamo un risparmio di circa 20 Twh annui. Ovvero rispetto agli stimati 450 TWh ci fermeremmo ad un fabbisogno di 430TWh/anno. Mancano ancora 90 TWh annui rispetto alla produzione di energia attuale.

La proposta di Prometeo

Unica possibile soluzione, allo stato attuale della conoscenza, è un ritorno all'energia da fissione nucleare, come da sempre sostiene l'economista e statista americano Lyndon LaRouche, il quale ha sempre definito il "fuoco nucleare" come il nuovo fuoco di Prometeo. Del resto questa è la politica adottata oramai da anni in gran parte del mondo, ovunque vi sia una richiesta di energia per lo sviluppo: allo stato attuale sono operativi 435 reattori nucleari su scala mondiale, 63 sono in fase di realizzazione[23], mentre ne sono stati pianificati 160 e altri 329 proposti per la realizzazione[24]. Il Canada dopo 30 anni ha di recente rilasciato una nuova autorizzazione per realizzare quattro nuovi reattori nucleari[25].

Per quanto riguarda la costruzione di una centrale nucleare i tempi di realizzazione si sono notevolmente ridotti: nel 2011 la Cina ha collegato alla rete elettrica 3 nuovi reattori, con un tempo medio di costruzione di 60 mesi[26]. Inoltre vi è disponibilità di combustibile fissile su larga scala per un lungo periodo temporale[27] e d'altro canto l'energia nucleare è quella che subisce minime variazioni di costo del KWh per variazioni anche significative di prezzo del combustibile[28]. Le nuove tecniche di riprocessamento del combustibile nucleare utilizzato garantiscono un residuo di scorie minimo, mentre i reattori di nuova generazione a spegnimento automatico garantiscono un livello di sicurezza a prova di guasto o di errata manovra (sicurezza intrinseca).

Consideriamo solo a titolo indicativo un reattore nucleare di terza generazione, capace di generare una potenza di picco di 1,7 GW con un fattore di carico di 0,8[29]. L'energia prodotta in un anno da tale impianto sarà di 12 TWh. Mediante 8 di questi reattori nucleari l'Italia potrebbe completamente soddisfare il suo fabbisogno energetico da qui ai prossimi venti anni, nella prospettiva di scenario di crescita sopra riportato.

Alternativamente, mediante l'energia prodotta solamente da quattro dei reattori nucleari ipotizzati sopra, l'Italia potrebbe arrestare l'importazione di energia elettrica dall'estero, con un risparmio di 3,5 miliardi di euro all'anno. Sempre mediante l'energia prodotta da solo quattro di questi reattori nucleari, l'Italia potrebbe tagliare del 25% l'energia elettrica prodotta da centrali termoelettriche, con un risparmio solo per i combustibili fossili, pari a circa 2 miliardi di euro all'anno[30] (e ovvie riduzione di emissioni). Da aggiungere ai vantaggi di natura finanziaria ci sono, ancor più importanti, la generazione di migliaia di posti di lavoro di alto profilo professionale (e molto ben retribuiti![31]) e gli enormi benefici per l'indotto: l'industria italiana potrebbe acquisire commesse, specializzarsi, accrescere notevolmente il suo know-how, migliorare processi produttivi e standard di qualità per adeguarsi ai stringenti protocolli del settore nucleare.

Da uno studio molto dettagliato dell'Università di Pisa si evince che il costo totale dell'energia prodotta mediante energia da fissione per un reattore di terza generazione è 0,03€/KWh[32]. Un recente studio americano[33], valutando differenti scenari di costo per materie prime e regolamentazioni ambientali, ha stimato il costo di produzione di energia nucleare tra i 0,06€/KWh e i 0,08€/KWh. Stessi valori furono ottenuti qualche anno prima dal MIT[34] e lo scorso anno dall'istituto di ricerche californiano EPRI[35]. Ancora il Dipartimento Americano per l'Energia prevede per il nucleare, per i prossimi decenni, costi di produzione stabili attorno i 0,08€/KWh[36]. Dunque il costo complessivo per gli 8 reattori nelle ipotesi sopra riportate è compreso all'interno della forchetta 3-8 miliardi di euro annui, a fronte di una produzione di 96 TWh/anno. Considerando che il costo di produzione dell'energia elettrica si aggira attorno ai 65 €/MWh, il risparmio netto annuo per uno scenario di costo medio per l'utilizzo di energia da fissione nucleare sarebbe di circa 3 miliardi di euro all'anno. Risorse che potrebbero essere utilizzate innanzitutto per ridurre i costi dell'energia per imprese e famiglie e ridurre il carico fiscale per aziende e lavoratori, a tutto vantaggio della competitività e della produttività dell'economia italiana. È necessario innescare questo circolo virtuoso per far crescere il Paese ed uscire da questa impasse.

Di fronte ai tagli ingenti che il governo sta imponendo alle amministrazioni locali; ai servizi per i cittadini; alla sanità; al sistema sociale; alla scuola; alla cultura; agli investimenti sulle infrastrutture; alla protezione del territorio; ecc... siete davvero sicuri che non sapreste come utilizzare 29 miliardi di euro all'anno?

Noi avremmo qualche idea. Continuate a leggerci.

[5 settembre 2012]
L'autore ringrazia sentitamente
il prof. Giorgio Ragazzi, per la consulenza
sui costi di produzione dell'energia elettrica
e la preziosa revisione dello scritto.

 

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Note:

[1] - World Energy Outlook 2011 - OECD/IEA.

[2] - Banalmente: 409/81=5 miliardi di dollari di incentivi per l'1% di energia prodotta (per le fonti fossili), mentre 66/10=6,6 miliardi di dollari per l'1% di energia prodotta (per le fonti rinnovabili).

[3] - Analisi dati di ENEA, basata su dati statistici di TERNA. TERNA è l'operatore nazionale di reti per la trasmissione di energia. 1TWh = 1 miliardo di kWh.

[4] - Consolidated balance sheet 2011. ENEL SPA.

[5] - Ved. Nota [3].

[6] - Fonte: Il Compendio del Rapporto Energia e Ambiente 2009-2010 – ENEA.

[7] - Lecco: indagine dell'Api sul costo dell'energia - 2 Luglio 2012

[8] - "FOTOVOLTAICO: FINITA LA FESTA RIMANE IL CONTO DA PAGARE" di Giorgio Ragazzi, 11 Giugno 2012

[9] - Autorità per l'energia elettrica e il gas: COMUNICATO - 27 Aprile 2012

[10] - Caro-bollette per le aziende italiane: 10 miliardi in più rispetto alla media Ue, il record di Milano, Corriere della Sera, 25 Agosto 2012

[11] - Comparing the Costs of Intermittent and Dispatchable Electricity Generating Technologies, Joskow, Paul L. - MIT Center for Energy and Environmental Policy Research - September 2010

[12] - Levelized Cost of New Generation Resources in the Annual Energy Outlook 2012, U.S. Energy Information Administration

[13] - "Grid Instability Has Industry Scrambling for Solutions", 16 Agosto 2012, Der Spiegel

[14] - Previsioni della domanda elettrica in Italia e del fabbisogno di potenza necessario anni 2011 – 2021. Fonte: TERNA

[15] - 1 GW (giga watt) corrisponde ad 1 miliardo di Watt.

[16] - In particolare per tassi di disoccupazione elevati la legge di Okun ("La legge di Okun: asimmetrie e differenziali territoriali in Italia") sembra prevedere con precisione i dati reali, mentre alcuni scostamenti si riscontrano per valori di disoccupazione molto bassi.

[17] - Economic Research Global Data Watch November 18, 2011 – "Euro area: Okun's Law points to an 11% unemployment rate" – JPMorgan Chase Bank, London

[18] - "Disoccupazione in Italia, quello che i dati ufficiali non dicono", Yahoo Finanza.

[19] - Piano d'Azione Efficienza Energetica Nazionale (PAEE) 2011

[20] - cit. nota [18]

[21] - "Stato e prospettive dell'efficienza energetica in Italia", ENEA, Energia Ambiente e Innovazione, n. 1 Gennaio-Febbraio 2012

[22] - cit. nota [18]

[23] - Fonte: Power Reactor Information System della AIEA/IAEA.

[24] - "Nucleare verso il raddoppio - Il mondo punta a 1000 centrali", La Stampa, 22 agosto 2012.

[25] - "Federal government grants licence for new nuclear reactors for first time in 30 years" - Ottawa Citizen, 22 Agosto 2012

[26] - Nuclear Power Reactors in the World - REFERENCE DATA SERIES No. 2, 2012 Edition - IAEA

[27] - "Uranium 2011: Resources, Production and Demand", A Joint Report by the OECD Nuclear Energy Agency and the International Atomic Energy Agency, Paris, 2012

[28] - The Economics of Nuclear Power, H-Holger Rogner - Head, Planning & Economic Studies Section (PESS) - Department of Nuclear Energy- IAEA, March 2012.

[29] - Il fattore di carico è la "percentuale delle ore equivalenti a piena potenza sulle ore totali in un periodo di tempo prefissato" (Carlo Lombardi, Impianti nucleari, CUSL, VI ed., 2004). In realtà gli impianti nucleari americani funzionano attualmente con un fattore di carico di 0,9: cioè per il 90% del tempo a disposizione.

[30] - Consolidated balance sheet 2011. ENEL SPA.

[31] - Nuclear Energy Careers Pay Well - Nuclear Energy Institute, Aug. 22, 2012

[32] - Il costo complessivo comprende anche la costruzione e lo smantellamento dell'impianto, la gestione del combustibile radioattivo esausto (scorie), oltre a tutti i costi per combustibile, manutenzione e gestione dell'impianto. Fonte: "I Veri Costi dell'Energia Nucleare", V. Romanello, G. Lomonaco e N. Cerullo - DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA MECCANICA NUCLEARE E DELLA PRODUZIONE, Università di Pisa (2006).

[33] - Final Report March 2012: A Review of the Costs of Nuclear Power Generation, by Michael T. Hogue - Bureau of Economic and Business Research (BEBR), David Eccles School of Business, University of Utah.

[34] - Massachusetts Institute of Technology, "Update on the Cost of Nuclear Power," May 2009.

[35] - Program on Technology Innovation: Integrated Generation Technology Options -Technical Update, June 2011 - ELECTRIC POWER RESEARCH INSTITUTE

[36] - Ved. Nota [10].

 

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