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Ghizzoni:
No alla Glass-Steagall, ma Unicredit farà solo la banca commerciale (*)

(*) Permesse le attività di market maker, derivati sui tassi, derivati sui cambi, CDS…

Intervista di Andrew Spannaus a Federico Ghizzoni, Amministratore Delegato di Unicredit

22 ottobre 2014 (MoviSol) - È dagli anni Novanta che la separazione tra le banche ordinarie e le banche speculative è stata eliminata attraverso le riforme propedeutiche all'Euro. Il Testo Unico Bancario del '93 stabilì il modello della banca universale, in cui le attività che per quasi 60 anni erano state separate in base al regime della specializzazione vennero a trovarsi tutte sotto lo stesso tetto. Negli Stati Uniti il superamento del Glass-Steagall Act passò per una serie di misure iniziate con la deregulation negli anni Ottanta, fino all'atto formale di abrogazione nel 1999.
Per molti ci è voluto lo scoppio della grande crisi del 2007-2008 per capire che la commistione tra banche d'affari e banche commerciali avrebbe portato a socializzare le perdite della speculazione finanziaria. Ma la separazione non è stata ripristinata e oggi i regolatori si concentrano sull'inasprimento dei livelli richiesti di capitale e altre misure simili, piuttosto che sul ripristino del regime precedente.
La scorsa settimana, al 31mo piano del nuovo grattacielo Unicredit di Milano, Andrew Spannaus dell’EIR ha chiesto all'Amministratore Delegato Federico Ghizzoni che cosa ne pensa delle proposte di tornare al "vecchio".

Spannaus: Volevo chiederle del rapporto Liikanen, cioè della struttura futura dei gruppi bancari. In molti hanno criticato le 'riforme strutturali' degli anni Novanta, da Paul Volcker a Sandy Weill – proprio quello che promosse la campagna per l'abrogazione della legge Glass-Steagall. Lei che cosa ne pensa? Pensa che il modello della banca universale di oggi sia quello per sempre, o che debba essere cambiato?

Ghizzoni: "Io credo che la proposta Liikanen sia eccessiva. Non penso che in Europa ci sia una necessità particolare per separare le banche d'investimento dalle banche commerciali. Io credo che il modello di banca universale in Europa sia ancora valido. Lo dico anche se Unicredit di per sé forse sarebbe toccata da Liikanen solo marginalmente, quindi se anche arrivasse Liikanen mi farebbe un piacere nel senso che non avrei problemi ma alcune altre banche sì. Quindi lo dico contro il mio interesse.
Ma in generale – so che il dibattito si è riaperto - penso che il modello di banca universale in Europa sia ancora molto valido perche il sistema bancario europeo non può essere paragonato a modelli come quello americano. Basta ricordare che il credito bancario fornisce il 70% in Europa delle risorse finanziarie alle imprese; negli Stati Uniti è il 30%. Quindi non si possono applicare gli stessi modelli quando i mercati sono completamente diversi.
Per di più Liikanen è ancora più stretto del modello proposto negli Stati Uniti, quindi è ancora più questionable come proposta. È una cosa su cui riflettere, ma non credo che sia necessario andare in questa direzione. Con Unicredit, poi ripeto, non siamo toccati, e se lo fossimo sarebbe solo marginalmente. Ma nel complesso non vedo perché si debba andare in questa direzione, non capisco qual è il plus di andare in questa direzione. […]
Se facciamo il mestiere che noi vorremmo fare a Unicredit, ossia di finanziare l'economia reale, che siano i privati che siano le aziende, le banche hanno diritto di essere considerate aziende utili per le comunità in cui lavorano. Se le aziende non sono legate all'economia reale c'è il diritto di criticare.

Noi abbiamo detto pubblicamente e credo che siamo stati una delle prime banche a farlo, abbiamo detto che facciamo solo banca commerciale – adesso lo dicono tutti – l'abbiamo detto alcuni anni fa e finché sarò CEO io si fa solo banca commerciale. […]
Il 'prop trading' dentro il gruppo è proibito. Poi i derivati li devo fare perché se un'azienda mi chiede un finanziamento poi serve la copertura su rischio tassi".

Dunque per Ghizzoni l'importante è servire l'economia reale. Meno male, ma è chiaro che il concetto attuale di "economia reale" è molto ampio: comprende tutte quelle attività finanziarie che negli ultimi decenni sono state create nominalmente per assistere le attività produttive, ma che man mano hanno acquisito vita propria, fino al punto di dominare l'economia stessa.
Ghizzoni identifica le attività problematiche con il proprietary trading, cioè la negoziazione in conto proprio. Mentre questa è sicuramente un'attività che aumenta fortemente i rischi per la stabilità di una banca, i recenti tentativi di limitarla non hanno avuto un grande effetto sui meccanismi della speculazione internazionale. Il Volcker Rule negli Stati Uniti ne è l'esempio: l'ex governatore della Fed (dal 1979 al 1987) pensava di aver convinto il presidente Obama a battersi per una regola molto restrittiva, ma la norma fu ben presto annacquata. A Wall Street non è piaciuta comunque, ma alla fine le banche sono riuscite ad aggirare il divieto con tecnicismi e esenzioni.
Il ruolo di market maker, in cui i grossi istituti vendono e comprano titoli per garantire un certo livello di liquidità nel mercato, è indicativo della debolezza dell'approccio adottato. Nel sistema attuale diventa molto difficile distinguere tra attività di market making – esenti dalle nuove regole contro il prop trading - e attività speculative. In fondo si tratta di un giudizio sull'intento dell'operatore. In questa ottica anche i meccanismi della copertura del rischio non sono cambiati, si è cercato solo di temperarne gli abusi.
Non sarà colpa di Ghizzoni se esiste un florido mercato dei derivati sui titoli di stato in grado di mettere in ginocchio uno stato nel giro di pochi giorni, ma la sua banca ne fa parte, contribuendo ad un sistema in cui la finanza prevale sulla politica. E non si può nemmeno ignorare l’annunciata vendita della UCCMB – la banca di Unicredit che gestisce i crediti in sofferenza –per cui si sono fatti avanti alcuni degli stessi fondi avvoltoio che hanno acquistato titoli argentini per pochi spiccioli, per poi tentare di ottenere guadagni stratosferici attraverso dubbie azioni legali. Visti gli effetti di questi meccanismi sul benessere dell’Italia e di altri paesi sarebbe forse il caso di chiedersi cosa occorre fare per modificare il sistema attuale.

"L'Europa ha bisogno di più investimenti"

Interpellato invece sull'inefficacia delle misure della BCE per rilanciare l'economia, Ghizzoni ha puntato il dito sulla mancanza di investimenti in Europa, anche se ha ribadito la linea istituzionale contraria ad un aumento dell'intervento pubblico, dicendo che occorre rimodulare la spesa statale piuttosto che rischiare di sforare i parametri di bilancio.

"Le misure della BCE, le ultime, sono molto importanti, ma non possono essere le sole. Sono molto importanti ma gli effetti non sono immediati, gli effetti di un LTRO si vedranno eventualmente nel giro di qualche mese. Però non si può pensare che solo con le misure della BCE si possa attivare una crescita efficace e continuativa.
Occorrono due cose: in Europa occorrono investimenti. L'Europa sta invecchiando, anche dal punto di vista degli investimenti. La vita media degli investimenti europei continua ad allungarsi. E occorrono riforme – sappiamo quali – in paesi come l'Italia dove non sono più rimandabili. Quindi lavoro, fisco, pubblica amministrazione, giustizia.
Altri paesi devono invece secondo me investire di più, perché la crescita non si genera senza investimenti".

"Gli investimenti li fa l'Europa nel suo complesso. Il Piano Juncker per me è molto importante. Questo vuol dire che all'interno del piano tutti i paesi avranno la loro quota da finanziare. Poi il nord generalmente, e in particolare la Germania ecc., ha più spazio per fare investimenti; il Sud deve fare invece le riforme, che il nord ha già fatto.
Quindi le responsabilità vanno in qualche modo equamente divise. Ma gli investimenti non sono per gli altri, sono per i paesi stessi che li fanno. Gli investimenti europei per esempio in infrastrutture sono scarsi e vecchi. E anche nel settore privato occorre fare di più perché gli investimenti privati, in termini di età media si stanno allungando troppo.
Negli anni precedenti alla crisi un macchinario medio aveva un'età massima attorno agli 8-9 anni. Oggi ci sono macchinari che viaggiano tra i 15 e 20 anni. Quindi sono più vecchi rispetto ad allora. In Italia ma anche in Europea l'età media si sta allungando. Gli investimenti sono scesi ovunque. Vuol dire che la gente anziché sostituire una macchina dopo 5 anni lo fa dopo 7-8 anni o 10 anni".




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