ECONOMIA

Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà

ECONOMIA

 


    [Executive Intelligence Review, 23 settembre 2005]


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    Cheney rilancia la folle “guerra permanente” di Parvus

    La rivoluzione o guerra permanente come “instrumentum regni” al quale l’oligarchia ricorre per impedire che si affermino le sovranità nazionali dedite al bene comune, in particolare quando essa si trova a dover “risolvere con altri mezzi” crisi monetarie e finanziarie terminali come quella attuale.

    È arcinoto che le file dei neo-conservatori di Washington sono piene di trotskisti della prima e seconda generazione. Un esempio per tutti: Irving Kristol, in passato infatuato dall’economista di Hitler Hjalmar Schacht oltre che del rivoluzionario bolscevico Leon Trotsky, oggi si presenta come “il padrino” dell’intera accolita neocon; suo figlio William Kristol ne gestisce già l’eredità con la rivista Weekly Standard. Ciò che non si è ancora capito, invece, è il fatto che, sotto il comando del vice presidente Dick Cheney, l’intera accolita persegue ancora fanaticamente il disegno della “rivoluzione permanente”, secondo la dottrina che ha reso famoso Leon Trotsky. Questo è il vero nome della strategia della guerra permanente che Cheney ha scatenato in Iraq e che conta di allargare, ricorrendo anche alle armi nucleari, all’Iran, e poi alla Siria, e di portare anche in America Latina e altrove.
    In questo si colloca la difficoltà che molti incontrano nel mettere a fuoco la vera natura della minaccia rappresentata dall’attuale politica guerrafondaia di Cheney, che in effetti rappresenta una nuova fase della vecchia dottrina di Trotsky, al quale questa dottrina fu dettata da un agente dei servizi segreti britannici di origine russa, Alexander Helphand, più noto con lo pseudonimo di Parvus.

    Da sinistra: Parvus, Trotsky e Deutch nel 1906.

    Parvus mise a punto la dottrina che rappresenta il tratto distintivo del trotskismo nel contesto delle sue operazioni volte a rovesciare lo zar di Russia, nella rivoluzione del 1905. Ciò che Parvus fece scrivere a Trotzsky, sotto dettatura, è la famosa dottrina della “rivoluzione permanente/guerra permanente” per la quale Trotsky fece attivamente propaganda fino a quando non fu assassinato da un sicario sovietico in Messico, nel 1940. E proprio questa è la politica oggi di nuovo perseguita da Cheney e dalla sua cordata di trotskisti riciclatisi neoconservatori. Questa è la politica che essi hanno rifilato al Congresso ed alle altre istituzioni USA con le menzogne, riuscendo a gettare l’intera regione mediorientale in un disastro senza prospettive di pacificazione. Questa è la politica su cui l’oligarchia conta come “alternativa” allo sfascio del sistema finanziario globale ormai inarrestabile.
    Chi crede che i neoconservatori abbiano semplicemente “fallito” in Iraq sbaglia perché non ha afferrato quali siano davvero gli scopi della politica perseguita da Cheney & Co.
    Il “successo” della politica di guerra non sta certo nella situazione disastrosa delle truppe ormai allo sbando, sia quelle inglesi che quelle americane, ma, per la cordata di Cheney, sta piuttosto nell’aver fatto precipitare l’Iraq in uno stato di guerra permanente tra Sunniti e Sciiti, tra Kurdi e Turchi: una guerra civile che potrebbe protrarsi per intere generazioni a venire e che minaccia di diffondersi a macchia d’olio nei paesi circonvicini.
    Chi capisce davvero qualcosa di strategia non è affatto sorpreso di questo risultato della politica guerrafondaia seguita dall’amministrazione Bush: il fiasco militare oggi evidente era stato previsto chiaramente da esperti militari e diplomatici — il gen. Anthony Zinni e l’ambasciatore Chas Freeman, per fare solo due nomi — molto prima che le truppe americane mettessero piede sul suolo iracheno.
    Il disegno neo-trotskista seguito da Cheney e dai suoi neocons non era semplicemente l’occupazione imperiale americana dell’Iraq, assicurarsi il controllo dei campi petroliferi, e ricattare altri stati, come Cina, di lasciarli senza forniture petrolifere se non filano dritto, così come sostengono tanti critici miopi del regime Bush/Cheney. L’intenzione della banda di Cheney non è mai stata quella di imporre una Pax Americana, ma quella di mettere in moto una serie di “guerre permanenti”, in modo da paralizzare l’intera regione del Golfo Persico, ed estendere poi queste guerre alle regioni dell’Asia Sudoccidentale e Centrale, inaugurando decenni all’insegna del caos e del crollo a catena degli “stati falliti”, provocando devastazioni economiche e politiche globali, tutto a vantaggio di un’oligarchia finanziaria che opera dalla City di Londra o dalle succursali off-shore, dai Caraibi alle isole Cayman.
    La guerra civile già innescata in Iraq, alimentata da ogni iniziativa dell’amministrazione Bush, riflette le vere intenzioni dei veri istigatori della guerra: la cabala neocon che fa riferimento all’ufficio del vice presidente e a centri studi neo-trotskisti come l’American Enterprise Institute e l’Hudson Institute.
    Il presidente George W. Bush è così sciocco da aver creduto alla propaganda che prometteva una “guerricciola facile facile”, una vittoria garantita, il fiorire della democrazia in Iraq e tanto petrolio per parenti ed amici. Con le sue balorde convinzioni religiose, il Presidente è la persona ideale per ricoprire il ruolo del politico previsto dalle teorie del guru neocon Leo Strauss: uno sciocco abilmente gestito dai “filosofi”, capace di credere entuasisticamente alle menzogne che essi gli rifilano come se fossero la “parola rivelata”, tanto da farci credere anche le masse. [https://archive.movisol.org/strauss.htm]
    Diversi anni prima della guerra in Iraq, l’intenzione di innescare una rivoluzione permanente e una guerra permanente, secondo le dottrine di Parvus, in tutta la regione dell’Asia Sudoccidentale, era stata chiaramente annunciata in un documento del 1996, intitolato “A Clean Break”, che fu allora presentato al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu [https://archive.movisol.org/cleanbreak.htm]. Gli autori principali: Richard Perle, Douglas Feith, David Wurmser, Meyrav Wurmser, Charles Fairbanks. (Negli anni universitari quest’ultimo fu compagno di stanza di Paul Wolfowitz per il quale poi si è prestato spesso come surrogato). Nel documento si prospettava una guerra che dall’Iraq passasse a coinvolgere la Siria, il Libano, l’Iran, fino all’Arabia Saudita ed infine l’Egitto. Secondo qualche esperto, l’essenza del piano consisteva nel far saltare la “Cintura Sunnita della stabilità”, che ha i suoi caposaldi nell’Arabia Saudita e nell’Egitto, alla quale si dovette la relativa stabilità della regione negli anni della Guerra Fredda, e che ha garantito al mondo le forniture di petrolio dalla regione del Golfo Persico.
    Le conseguenze dei passi premeditati compiuti dai neocon nella stanza dei bottoni dell’amministrazione Bush-Cheney, che hanno condotto l’Iraq occupato sull’orlo del caos e della disintegrazione, non possono in alcun modo essere ascritte all’incapacità di giudizio, all’avidità, o all’avventatezza tipica degli utopisti. Questo è ad esempio evidente nel fatto che Douglas Feith, co-autore del “Clean Break”, in qualità di sottosegretario alla Difesa respinse tutti i piani messi a punto da esperti del Dipartimetno di Stato per l’occupazione e la ricostruzione dell’Iraq dopo il conflitto. Lo stesso vale per lo smantellamento premeditato dell’intera infrastruttura dell’esercito iracheno e del partito Ba’at su ordine di Wolfowitz. Ed è altrattanto evidente nell’istigazione del conflitto tra Sciiti e Sunniti, un fenomeno che la prof. Phebe Marr ha recentemente caratterizzato come la “libanizzazione dell’Iraq”.

    Poi tocca a Damasco e Teheran

    Il 14 settembre 2005 il Washington Post riferiva che Robert Joseph, primo responsabile dei negoziati sugli armamenti dell’amministrazione Bush, ha radunato un gruppo di diplomatici di una quindicina di paesi pretendendo di dimostrare loro che l’Iran è impegnato in un programma per costruire la bomba nucleare e che occorre dunque affrontarlo. Ha mostrato loro una presentazione in powerpoint intitolata “Una storia di camuffamenti e imbrogli”, che altro non era che una riedizione delle lezioni che furono tenute dall’Office of Special Plans del Pentagono sui presunti arsenali di Saddam Hussein, prima dell’invasione anglo-americana del marzo 2003. Joseph è un protetto di Richard Perle ed è subentrato a John Bolton dopo che questi è stato promosso ambasciatore all’ONU. Proviene dal National Security Council di Condoleezza Rice ed è l’autore delle famigerate “sedici parole”, nel discorso di Bush sullo Stato dell’Unione, nel gennaio 2003, che accusavano Saddam Hussein di acquistare uranio dall’Africa per costruire bombe nucleari. La menzogna “Saddam ha la bomba” è stata cruciale per costringere il Congresso ad avallare la guerra preventiva contro l’Iraq.
    Intanto, notizie fatte trapelare ad arte, come un articolo di prima pagina sul Washington Post dell’11 settembre 2005, confermano che il vice presidente Cheney e il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld stanno facendo in modo che le “mini-nukes”, le bombe nucleari ad effetto limitato, entrino negli arsenali convenzionali in dotazione alle forze armate USA. Già dallo scorso luglio l’EIR denuncia il fatto che Cheney promuove apertamente un attacco nucleare preventivo contro alcuni specifici bersagli in Iran che possono essere spacciati per laboratori supersegreti del programma nucleare iraniano. Incursioni statunitensi o israeliane di questo tipo in Iran innescherebbero una guerra asimmetrica incontrollabile che finirebbe presto per coinvolgere l’intero pianeta, e farebbe degli Stati Uniti il nemico numero uno di oltre 1,6 miliardi di musulmani per diverse generazioni. Si tratterebbe dell’inaugurazione di una “Nuova epoca buia” planetaria, con il petrolio che arriverebbe subito a prezzi tra i 150 ed i 200 dollari il barile.
    Il 14 settembre 2005 Zalmay Khalizad, ambasciatore USA in Iraq, ha indetto i tutta fretta una conferenza stampa a Washington per denunciare la Siria come istigatrice delle insurrezioni continue in Iraq. Parlando a nome dell’amministrazione Bush ha concluso che “nessuna opzione”, e cioè neanche l’aggressione militare, può essere considerata esclusa, se la Siria continua a sostenere i ribelli iracheni.
    Rimostranze da fare nei confronti di Teheran e di Damasco ci saranno sicuramente, ma la furia bellicosa che agita Cheney e compagnia contro l’Iran e la Siria non si colloca di certo nel repertorio di una diplomazia che mira a pacificare della regione.
    Per comprendere meglio come funziona il livello superiore, quello dei personaggi che controllano Cheney e la sua cordata — come George Shultz, con il suo pedigree che ci riconduce al Trust anglo-sovietico [https://archive.movisol.org/shultz.htm]— è necessario qualche approfondimento sulla dottrina della guerra permanente/rivoluzione permanente, e quindi riconsiderare gli sviluppi degli ultimi cinque anni dell’amministrazione Bush-Cheney alla luce di questa visione più ampia.

    Imperialismo permanente

    Impartendo gli indirizzi di ricerca ai suoi collaboratori in un promemoria del 14 settembre 2005 Lyndon LaRouche spiegava: “Rivoluzione permanente e guerra permanente, usati come termini tra loro interscambiabili, sono solo delle etichette alternative per un termine più chiaro — “imperialismo” — ... La ‘rivoluzione permanente’ è un termine coniato da un neo-Partito Veneziano anglo-olandese, che descrive carattere e scopi dell’imperialismo britannico che vede la garanzia della dominazione del sistema oligarchico finanziario nella distruzione di ogni sfida che possa emergere contro l’impero impiegando politiche di ‘cambio di regime permanente’ (‘rivoluzione permanente’) e di ‘guerra permanente’.”
    LaRouche continua: “La decisione dei liberal anglo-olandesi, e dei loro rivali e partner del mondo oligarchico finanziario, di conferire meno importanza alle colonie della corona per passare ad una forma di tirannia oligarchico-finanziaria globale, è ben riflessa dalla maggiore importanza da essi conferita alle caratteristiche essenziali dell’imperialismo (come ‘cambio di regime permanente’ e ‘guerra permanente’) e dal peso minore riconosciuto ad aspetti propri del colonialismo territoriale. In ambedue le varianti, l’enfasi sulle colonie, oppure sulla potenza globalizzata dell’oligarchia finanziaria, lo stato nazionale sovrano è l’avversario che l’imperialismo deve incessantemente cercare di sovvertire e distruggere”.

    Paura del Sistema Americano

    La dottrina della “rivoluzione permanente/guerra permanente” generalmente legata alla figura del rivoluzionario bolscevico Leon Trotsky, emerse in un contesto storico molto specifico, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, un periodo in cui le idee del Sistema Americano di economia politica conquistavano circoli politici e governativi in tutto il mondo eurasiatico. Questo rappresentava una minaccia mortale per la monarchia britannica e per l’impero anglo-olandese che aveva il suo centro nella Compagnia delle Indie Orientali, una cabala che faceva allora capo al “Principe delle Isole”, Edoardo Alberto, che poi salì al trono d’Inghilterra con il nome di Edoardo VII.
    Nel periodo successivo alla Guerra Civile americana (1861-1865), conclusasi con la sconfitta dell’insurrezione della Confederazione sudista istigata dagli inglesi, gli Stati Uniti si affermarono come la principale potenza industriale mondiale, malgrado l’assassinio del presidente Abramo Lincoln, il 14 aprile 1865, istigato dall’Inghilterra. Questo avvenne con l’affermarsi del Sistema Americano di economia politica, creato da personaggi come il ministro del Tesoro Alexander Hamilton e poi da Henry Carey, John Quincy Adams, Henry Clay, E. Peshine Smith, e il tedesco Friedrich List. Questa scuola fondò un sistema di tariffe protettive, di sistemi bancari nazionali, di investimenti infrastrutturali, di promozione della scienza e tecnologia e di altre misure economiche. A quell’epoca era universalmente evidente che il Sistema Americano rappresentava il nemico mortale più temuto dal Sistema Britannico del liberismo, delle banche centrali private, del lavoro schiavistico e della cartellizzazione globale.
    L’industrializzazione negli stati federali, costruita dalla politica hamiltoniana del Sistema Americano, fornì il margine di superiorità economica necessario per sconfiggere l’insurrezione dei confederati sudisti. In questo Lincoln godette di forti sostegni internazionali, grazie ad alleati come lo zar di Russia Alessandro II, che dispiegò tutta la flotta russa lungo le coste dell’America settentrionale per dissuadere Inghilterra e Francia da un intervento militare a fianco della Confederazione.
    Nel 1876 fu celebrato a Filadelfia il centenario della fondazione degli Stati Uniti con una esposizione universale che rappresentò un momento straordinario di diffusione del Sistema Americano nel resto del mondo. In quel periodo i concetti economici alla base di questo sistema si diffusero, soprattutto grazie all’opera di Friedrich List, nella Germania di Bismark, dove si affermarono joint ventures tra grandi figure di industriali americani come Thomas Alva Edison e tedeschi come Walther Rathenau e Werner von Siemens.
    In Russia ingegneri americani e russi collaborarono nella costruzione della Ferrovia Transiberiana, forti della grande esperienza della Ferrovia Transcontinentale degli USA, una grande opera che aveva notevolmente contribuito all’unificazione di una repubblica dilaniata dalla Guerra Civile. Sotto la leadership di Sergei Witte, alla fine del XIX secolo, la Russia divenne la nazione con il più alto tasso di crescita in Eurasia. In Giappone il Sistema Americano fu adottato con la Restaurazione Meiji, tanto che l’Imperatore del Sol Levante prese come primo consigliere economico E. Peshine Smith, cresciuto alla scuola del Carey. Idee simili si diffusero in Francia, grazie all’opera di Gabriel Hanotaux, che si batté per la costruzione di ferrovie in Africa. In Cina allora si affermò Sun Yat-sen, forte dell’istruzione ricevuta da missionari americani che avevano studiato Hamilton e Carey, e con lui il movimento repubblicano cinese mise a punto dei piani ben articolati per l’integrazione e la modernizzazione della Cina. In Italia, la svolta protezionistica del 1887 che diede il via all'ascesa industriale nazionale fu guidata dall'azione del senatore e industriale vicentino Alessandro Rossi, che introdusse nel nostro paese il pensiero di Henry Carey e il "sistema americano". Altri esempi della diffusione del Sistema Americano si estendono dall’America Latina fino all’Australia.

    L’impero al contrattacco

    Questa diffusione del Sistema Americano preoccupò profondamente il principe di Galles, il figlio della regina Vittoria, che poi diventerà Edoardo VII. Il quarantennio a cavallo dei due secoli fu caratterizzato dalla guerra perpetua che fu diffusa a tutta l’Eurasia, fomentata attraverso manipolazioni, la sobillazione di rivalità nazionali, assassinii eccellenti, la diffusione di movimenti politici e ideolgici bacati, ciniche manovre diplomatiche e la promozione dei “cambiamenti di regime” che complessivamente produssero le due guerre mondiali. In ciascun caso gli agenti inglesi, che spesso operavano con la copertura di incarichi diplomatici, strinsero alleanze con le forze feudalistiche più retrive delle nazioni prese di mira, sovente attraverso logge massoniche o società segrete, creando dei fasulli “movimenti di liberazione” e reclutando agenti politici a cui affidare cruciali operazioni speciali.
    Così l’Eurasia, invece di continuare ad essere ispirata dagli ideali repubblicani del Sistema Americano e a realizzare i grandi progetti di sviluppo, piombò in una serie di guerre manipolate dagli inglesi: la guerra Franco-Prussiana, le Guerre Balcaniche, la guerra Sino-Giapponese, e la guerra Russo-Giapponese.
    Le Guerre Balcaniche del 1912-1913 sfociarono, come calcolato, nella Prima Guerra Mondiale. La rivoluzione dei Giovani Turchi, istigata dagli inglesi e dai loro alleati francesi, portò alla frantumazione dell’Impero Ottomano e il vuoto che esso lasciò nella regione mediorientale fu colmato con una serie di protettorati britannici. Per questo lo spionaggio britannico promosse la Fratellanza Musulmana come forza insurrezionale permanente attiva in tutto il mondo islamico. Jamal ad-Deen, l’agente britannico che ispirò la fondazione della Fratellanza Musulmana, fu al tempo stesso un collaboratore del movimento sinarchista francese, l’apparato che produsse il fascismo e che poi ispirò il modello del Trattato di Maastricht e dell’Unione Monetaria Europea.
    La fonte di ispirazione di tutte queste macchinazioni dell’apparato del principe Edoardo Alberto fu la Repubblica di Venezia, il ruolo da lei svolto al centro del mondo oligarchico nella sua lunghissima storia e in particolare a seguito del crollo dell’Impero Bizantino. Quando il baricentro del potere si trasferì dal Mediterraneo all’Europa settentrionale, l’oligarchia veneziana subì una trasmutazione diventando il sistema imperialista liberale anglo-olandese che domina la finanza globale, una metamorfosi che avvenne tra il XV e il XVIII secolo. Quando il principe Edoardo Alberto si affermò come l’erede dei lord Shelburne e Palmerston, Londra era diventata il centro del cosiddetto “Venetian Party”.

    La rivoluzione russa

    Per l’oligarchia inglese la rovina della Russia era di primaria importanza. Dall’epoca di Caterina la Grande, che con la sua Lega della Neutralità Armata ebbe molto peso nel successo della Rivoluzione Americana diretta da Benjamin Franklin e George Washington, le prospettive di una collaborazione Russo-Americana minacciavano direttamente l’impero britannico. Dopo la Guerra Civile, in cui di nuovo la Russia intervenne a sostegno dell’indipendenza americana, la diffusione delle idee del Sistema Americano in Russia procedeva a passi da gigante. Il grande scienziato Dmitri Mendeleyev, che aveva partecipato di persona all’Esposizione del Centennale del 1876 a Filadelfia, collaborava con il ministro Sergei Witte nell’industrializzazione della Russia, che vedeva tra l’altro la continuazione ad Est della Transiberiana. La locomotiva che percorse per la prima volta la completa linea Transiberiana fu realizzata dalla Baldwin Company di Filadelfia.
    In una lettera allo Zar Nicola II, nel 1899, il ministro delle Finanze conte Witte scrive: “Il benessere del Vostro Impero si fonda sulla forza lavoro nazionale. L’aumento della sua produttività e la scoperta di nuovi campi per l’impresa russa servirà sempre come il modo più certo di rendere più prospera l’intera nazione. Dobbiamo sviluppare industrie per la produzione di massa, molto diffuse e differenziate. Dobbiamo conferire al paese una perfezione industriale come quella raggiunta dagli Stati Uniti d’America, la cui prosperità poggia saldamente su due basi, agricoltura e industria”. Lo sviluppo delle regioni orientali siberiane, grazie alla Transiberiana, fu un elemento centrale della modernizzazione della Russia concepita dal Witte. Tra l’altro Witte voleva aprire la colonizzazione della Siberia agli ebrei russi, allora segregati in condizioni umilianti e sottoposti a gravi vessazioni dall’accordo di Pale.
    Purtroppo gli inglesi avevano alleanze e agenti su cui contare in Russia. Lo Zar Alessandro II, che era stato prezioso alleato di Lincoln, e che aveva eliminato la servitù della gleba, fu assassinato nel 1881 dal gruppo terroristico Narodnaya Volya (Volontà di popolo). Quel complotto non solo non fu ostacolato, ma fu persino facilitato dai dirigenti dei servizi di sicurezza dello zar, gente profondamente contraria alla modernizzazione della Russia perché la consideva una minaccia al potere feudale dell’oligarchia terriera. Dopo l’assassinio dello zar questi elmenti costituirono una società segreta, la “Santa Fratellanza”, giustificata con la scusa di fornire una maggiore sicurezza allo zar. Da questa Santa Fratellanza nacque poi la polizia segreta Ocrana che ebbe un ruolo di primo piano nel provocare gli eventi che condussero alla Rivoluzione d’Ottobre.

    Zubatov e il “Socialismo poliziesco"

    Tra i personaggi più importanti messi in campo contro Witte e la modernizzazione della Russia spicca l’agente di polizia Sergei Zubatov, un personaggio che nutriva chiare simpatie anglofile. Sebbene in precedenza fosse finito in prigione per attività terroristiche, nel 1896 Zubatov fu nominato capo della polizia segreta russa, l’Ocrana, nel distretto di Mosca. L’Ocrana era stata fondata dal conte N.P. Ignatiev, comandante dell’esercito russo nella prima Guerra Balcanica, quella del 1875-1878. Il braccio destro di Ignatiev, V.P. Meshchersky, promosse personalmente la carriera di Zubatov e fu lui ad ottenergli il posto ai vertici dell’Ocrana. Meshchersky proteggeva anche letterati e filosofi come Fyodor Dostoevsky, che faceva propaganda per le guerre balcaniche istigate da Londra, e Friedrich Nietzsche, il filosofo del nichilismo. Zubatov assorbì le idee di questi pensatori e le mise in pratica.
    Prima di ottenere l’incarico a Mosca, per oltre un decennio Zubatov si era dedicato ad infiltrare vari gruppi della sinistra che pullulavano allora in Russia. Divorava la letteratura della Società Fabiana britannica e spesso utilizzava gli scritti di Sidney Webb per costruire “cellule rivoluzionarie” sotto il proprio controllo.
    Zubatov spiegò i suoi piani in un promemoria per un collega nel 1898: “Un rivoluzionario che promuove il socialismo puro lo si può sistemare con le sole misure repressive, ma quando per i suoi scopi lui comincia a sfruttare dei limiti presenti nella struttura legittima esistente, le misure repressive da sole non bastano. Diventa necessario toglierli la terra da sotto i piedi”.
    In una Russia in cui i sindacati erano fuorilegge, Zubatov lanciò le proprie “società di mutuo soccorso” che si affermarono come l’unico “movimento di massa” legale. Si trattava di una stuttura per irretire i leader socialisti, arrestarli, sottoporti ad interrogatori e tattiche di lavaggio del cervello, e poi indottrinarli, cosa in cui Zubatov spesso interveniva personalmente. Queste bande fuorono poi usate con successo nel 1902 contro alcuni industriali della fazione di Witte. Zubatov organizzò anche dei sindacati sionisti mentre il suo collega dell’Ocrana di stanza a Parigi, Peter Rachkovsky, stilò il famoso falso dei “Protocolli degli Anziani di Sion” per istigare un nuovo pogrom contro gli ebrei russi, che erano sostenitori entusiasti delle iniziative modernizzatrici del Witte. Zubatov organizzò anche delle squadre segrete di assassini, le “Organizzazioni di battaglia”, usate per eliminare ministri o anche nemici interni nell’apparato dell’Ocrana e della Santa Fratellanza.
    Nell’agosto 1902 Zubatov fu trasferito a San Pietroburgo per occuparsi delle operazioni speciali sotto il capo della polizia Aleksei Lopukhin. Nel giro di due anni i due misero in piedi una struttura di 16.000 (!) agenti provocatori al soldo della polizia, a quanto risulta dagli schedari di polizia analizzati dopo il 1917.
    Uno dei principali agenti di Zubatov fu Georgi Gapon, il pope ortodosso che guidò l’assalto al Palazzo d’Inverno del 9 gennaio 1905, la prima insurrezione contro lo stato russo, nota come “la domenica di sangue”.

    Jabotinsky e Parvus

    Un altro agente provocatore di Zubatov fu Vladimir Jabotinsky, che diventò successivamente il fondatore del Movimento Revisionista, che si proponeva cioè di “rivedere” il Sionismo, e fu un sostenitore appassionato del fascismo di Benito Mussolini. Nella primavera del 1902 Jabotinsky fu arrestato dall’Ocrana e per diverse settimane fu sottoposto agli indottrinamenti di Zubatov. Stando ad un suo biografo, egli poi “operò per diversi anni sotto la supervisione della polizia”, in particolare ad Odessa, che fu il teatro delle insurrezioni operaie più riuscite, sotto la regia di Zubatov, ai danni dell’industria nascente del paese. Le attività di Jabotinsky furono anche finanziate direttamente da Maxim Gorkij, noto agente dell’Ocrana, spesso impegnato a fare da tramite per i pagamenti di Zubatov, e fu anche un importante punto di raccordo di questi ambienti con l’oligarchia internazionale che allora si dava convengno a Capri.
    La carriera di Jabotinsky interseca quella di un altro astro di prima grandezza dell’epoca della rivoluzione bolscevica, Alexander Israel Helphand, più noto con il soprannome di Parvus. I due insieme si occuparono di pubblicare gli scritti del movimento dei Giovani Turchi che fu allora prodotto da reti anglo-veneziane per mettere in moto le Guerre Balcaniche con cui fu liquidato l’Impero Ottomano.
    Come Jabotinsky, Parvus (1867-1924) proveniva da una famiglia di Odessa di mercanti di grano. Nel 1886 Parvus era già attivo negli ambienti socialisti controllati dall’Ocrana, e si recò a fare opera di preselitismo anche in Svizzera. Nell’ultimo decennio del secolo Parvus ebbe un ruolo importante nel far sì che il proselitismo rivoluzionario non avesse più gli strati contadini come obiettivo primario ma quelli industriali, cosa di cui Zubatov aveva bisogno per inscenare la “lotta di classe” contro i modernizzatori della Russia. Nel 1900 Parvus era già entrato nel nucleo centrale dei Bolscevichi, e ospitava V.I Lenin e altri leader nella sua abitazione di Monaco, dove aveva allestito anche una tipografia per il gruppo. Stando a diverse fonti biografiche, Parvus riceveva i finanziamenti dell’Ocrana attraverso Gorkij, che gli concesse inoltre il diritto di stampare le sue opere all’estero.
    Messa in moto la destabilizzazione con la “domenica di sangue” a Pietroburgo, Parvus entrò nel ruolo di principale collaboratore di Leon Trotsky e di altri leader del soviet della città. Parvus e Trotsky acquistarono il giornale liberale Russkaja Gazeta che ben presto raggiunsero una diffusione di mezzo milione di copie. Il giornale fu uno strumento di radicalizzazione che faceva il gioco dell’Ocrana, che si preparava ad una vasta repressione poliziesca di tutte le forze socialdemocratiche.
    Quando l’operazione scattò, nel dicembre 1905, tutto il Soviet di Pietroburgo finì in prigione — compreso Trotsky. Parvus invece sfuggì alla retata. Fu catturato più tardi ma di nuovo riuscì a fuggire grazie all’agente dell’Ocrana Lev Deutch. Riemerse a Costantinopoli, come “giornalista” che scriveva sulla ribellione dei Giovani Turchi contro gli Ottomani, un progetto seguito molto direttamente da Giuseppe Volpi che la Banca Commerciale aveva nominato curatore fallimentare del debito pubblico ottomano per conto dei creditori internazionali, con tanto di diritto di pignoramento.

    I Giovani Turchi

    I Giovani Turchi portarono a termine la loro rivoluzione nel 1908, rovesciando il sultano e assicurandosi il potere sull’impero. Avviarono la pulizia etnica ai danni di Armeni, Greci e Bulgari. Queste brutalità contro le minoranze ebbero un peso decisivo nel precipitare delle Guerre Balcaniche del 1912-1913. I Giovani Turchi stessi riferiscono che la loro rivoluzione si ispirava ad una versione del Pan-Turchismo messa a punto negli anni successivi al 1860 da un consigliere del Sultano, Arminius Vambery, che poi risulta essere stato un agente del ministro degli Esteri britannico lord Palmerston. I Giovani Turchi si fecero promotori di una feroce ideologia anti-russa derivata dalle teorie di Wilfred Blunt, un importante esponente dell’establishment britannico che proponeva di giocare “la carta islamica” contro la Russia, una ideologia che il secolo successivo sarà riproposta dallo studioso britannico Bernard Lewis e dal Consigliere di Sicurezza Nazionale USA Zbigniew Brzezinski.
    In effetti il movimento dei Giovani Turchi è riconducibile al massone italiano Emanuele Carasso, anch’egli commerciante di grano. Di origine ebraiche, Carasso aveva fondato una loggia massonica italiana a Salonicco, Macedonia Risorta. A questa loggia aderivano in pratica tutti i leader dei Giovani Turchi. Essa si collocava sulla scia del tradizione massonica di Giuseppe Mazzini, a sua volta attivo nella galassia di provocatori rivoluzionari creata da lord Palmerston.
    Carasso fu tra i principali finanziatori della rivoluzione dei Giovani Turchi e durante le Guerre Balcaniche e diresse le loro operazioni di intelligence sullo scacchiere balcanico. Ebbe inoltre l’esclusiva sui rifornimenti alimentari dell’Impero Ottomano durante la Prima Guerra Mondiale, un’attività lucrosissima che condivise con Parvus, insieme a quella del traffico di armi.
    Carasso finanziò anche la propaganda dei Giovani Turchi, con il giornale Il giovane turco che fu diretto da Vladimir Jabotinsky. Il suo socio, Parvus, era direttore delle pagine economiche di un’altra testata dei Giovani Turchi, La patria turca.
    A Londra l’operazione dei Giovani Turchi era supervisionata da Aubery Herbert, nipote di uno dei controllori di Mazzini, caduto in Italia durante i moti del 1848. Aubrey Herbert diresse le operazioni dell’intelligence britannico per il Medio Oriente durante la Prima Guerra Mondiale, e fu addirittura Lawrence d’Arabia che additò Herbert come il vero capo della rivoluzione dei Giovani Turchi. La carriera di Herbert ispirò il romanzo storico “Greenmantle” di John Buchan, funzionario dell’intelligence britannico durante la prima guerra mondiale.
    Da parte loro i Giovani Turchi non fecero gran segreto dei loro legami con Londra, dopo la presa del potere. Nel 1909 a capo della Marina Ottomana fu nominato un ammiraglio inglese. Ernst Cassel, banchiere della famiglia reale britannica, fondò e gestì la Banca Nazionale di Turchia e funzionari britannici consigliavano i ministeri delle Finanze, degli Interni e della Giustizia. I Giovani Turchi si batterono con successo contro la costruzione delle grande ferrovia Berlino-Bagdad.
    Carasso fu anche socio di Giuseppe Volpi, che ne protesse le attività. Volpi successivamente fu uno dei massimi artefici del fascismo in Italia, in particolare come ministro delle Finanze, tra il 1925 e il 1928. Volpi, che poi prese il titolo di Conte di Misurata, fu membro del Gran Consiglio, Governatore di Tripolitania, esponente della Banca Commerciale e delle Assicurazioni Generali, e amico intimo di rampolli di famiglie dogali allora ancora al vertice dell’oligarchia della Serenissima, come il conte Piero Foscari e Annina Morosini, animatrice del più potente salotto del fascismo.

    Giuseppe Volpi di Misurata.

    Torniamo a Parvus

    L’intermezzo con i Giovani Turchi fruttò a Parvus una vasta fortuna accumulata con i traffici di grano, di armi e altre operazioni in società con Carasso. Con l’inizio della prima guerra mondiale Parvus tornò ad occuparsi della Russia, pianificando il finanziamento di una rivoluzione affidata a Lenin ed ai Bolscevichi, da quando risulta in un suo promemoria del 9 marzo 1915 al ministero degli Esteri tedesco, in cui spiega che i Bolscevici avrebbero preso il potere nel 1916 e che per questo avevano bisogno di sostegni economici.
    Il governo tedesco era diviso su questa questione: i consiglieri del Kaiser sostenevano che la Germania avrebbe dovuto ricercare una pace separata con lo zar mentre un gruppo dello Stato Maggiore e attorno al ministro degli Esteri Zimmerman voleva la guerra ad oltranza con la Russia ed era convinto che occorresse passare subito all’offensiva, prima che la Russia riuscisse a rafforzarsi. A sostenere il piano di Parvus si schierò soprattutto il conte Bogdan von Hutten-Czapski, esponente della Sezione Politica dello stato maggiore, ben collegato con gli ambienti di Giuseppe Volpi.
    Von Hutten-Czapski riferisce nelle sue memorie che aveva considerato lo scoppio della guerra russo-nipponica come l’opportunità per “schiacciare l’impero zarista”, così com’era convinzione di Parvus.
    Parvus contava inoltre su vasti finanziamenti che erano stati stanziati per il “cambiamento di regime” in Russia da Hugo Stinnes, industriale di tendenze sinarchiste che fu molto vicino a Hjalmar Schacht, poi ministro dell’economia di Hitler. Stinnes, che era il re del cabone in Germania, concesse a Parvus l’esclusiva della vendita e del trasporto del carbone tedesco in Danimarca, un affare che fruttava milioni di marchi d’oro al mese. Stinnes si arricchì sul riarmo tedesco degli anni Venti e continuò a fare affari insieme a Parvus fino alla morte di quest’ultimo. Anche Stinnes era ben collegato alla Banca Commerciale e agli ambienti di Volpi.
    L’erede al trono tedesco Wilhelm, che era contrario alla guerra, all’inizio del 1915 scrisse alla corte zarista dicendosi convinto che fosse “assolutamente necessario concludere una pace con la Russia ... è troppo sciocco finire per farci a pezzi vicendevolmente in modo che l’Inghilterra possa pescare nel torbido”.
    Sull’altro versante, invece, poche settimane dopo aver ricevuto il promemoria di Parvus, il ministero degli Esteri tedesco decise il primo stanziamento di un milione di marchi d’oro affinché Parvus avviasse le sue operazioni. Nel maggio 1915 Parvus incontrò Lenin e Karl Radek in Svizzera, e poi organizzò una serie di gruppi a Stoccolma e a Copenhagen. Nel febbraio 1916 orchestrò una serie di scioperi nei principali cantieri navali, nei quali fervevano i lavori per produrre nuove unità per la marina militare russa. Gli scioperi bastarono a fiaccare la mobilitazione bellica, ma non condussero subito al rivoluzionario “cambiamento di regime” desiderato. Parvus continuò a fare lucrosi affari, raccogliendo capitali che usava con larghezza per rafforzare i suoi legami con la dirigenza bolscevica. I suoi biografi Z. Zeman and W.B. Sharlau (Merchant of Revolution; London: W.&J. Mackay & Co., Ltd, 1965) riassumono così le convinzioni di Parvus alla vigilia della rivoluzione russa del 1917: “Helphand si dimostrò convinto di credere che qualsiasi obiettivo politico potesse essere raggiunto disponendo del denaro che occorre, che le élite dei leader socialisti non potevano resistere al fascino di Mammona più di qualsiasi altro gruppo sociale, che l’amicizia, così come il sostegno politico, dev’essere comperato. Questa convinzione definiva la sua strategia politica ed era l’essenza della sua esperienza politica ed umana”.
    Nell’aprile 1917 Parvus era riuscito a convincere il governo tedesco a garantire l’indennità ai leader bolscevichi che dovevano transitare in Germania per rientrare in Russia. Personalmente, insieme a Radek, Parvus organizzò il viaggio di Lenin e di 40 bolscevichi dalla Svizzera a Stoccolma da dove essi rientrarono a Petrograd. Lui si fermò a Stoccolma, dove mantenne le comunicazioni attraverso la Missione Internazionale bolscevica. In pratica fu quasi l’unico finanziatore dell’intera operazione rivoluzionaria che stava per esplodere.
    Il 16 e 17 luglio esplose la prima insurrezione bolscevica a Petrograd, ma il Governo Provvisorio riuscì a reprimerla. I servizi russi diffusero un rapporto in cui si dimostrava che i bolscevichi erano finanziati dal governo tedesco. Lenin ed i suoi amici abbandonarono la Russia. Nell’agosto successivo gli inglesi sostennero un tentativo di golpe militare contro il governo provvisorio del socialdemocratico Kerensky il quale, per tutta risposta, fece rientrare i bolscevichi e li armò contro il generale Komilov che aveva diretto il tentativo di golpe. Il 25 ottobre 1917 Lenin conquistò il potere.

    Nazi-comunismo e sinarchia

    In meno di due mesi dall’arrivo di Lenin al potere, Parvus allestì nella Russia Sovietica una forte struttura di agenti e mezzi d’informazione anti-bolscevichi. L’inversione totale di rotta di Parvus si vuole spiegare con il rifiuto di Lenin di consentirgli di entrare in Russia, ma si tratta di una storia poco credibile. Parvus si trasferì in Svizzera, da dove continuò a finanziare fazioni interne dei bolscevichi, mentre al tempo stesso diventò un pubblico nemico del nuovo regime sovietico, tanto da dedicare il resto della sua vita a organizzare gli sforzi per abbatterlo.
    Ad aiutare Parvus a sistemarsi in Svizzera fu il suo vecchio amico Adolph Muller, ambasciatore tedesco a Berna e editore di Monaco. James e Suzanne Pool (Who Financed Hitler: The Secret Funding of Hitler's Rise to Power; New York: Dial Press, 1978) scrivono: “L’uomo d’affari da cui il Partito Nazista dipendeva maggiormente non era un grande industriale che finanziava il movimento, ma un tipografo di Monaco, Adolph Muller ... Aveva fatto affari con i nazisti fin da prima del colpo di stato. Uscito di prigione nel 1924, Hitler volle riprendere la pubblicazione del suo giornale di partito, Volkischer Beobachter: Muller anticipò il salario al tipografo e fornì la carta a credito”. Quel giornale fu acquistato da Hitler col denaro ottenuto da Vasili Biskupsky, ex associato dell’Ocrana.
    Parvus espresse la sua ispirazione sinarchista — la tendenza ad un governo mondiale, o anche al “fascismo universale” o “nazicomunismo” — quando alla fine della prima guerra mondiale scrisse a proposito dell’Europa: “Ci sono due possibilità soltanto: o l’unificazione dell’Europa occidentale o il dominio della Russia. Tutto il gioco degli stati cuscinetto finirà con la loro annessione da parte della Russia, a meno che non si uniscano con un’Europa centrale in una comunità economica capace di costituire un contrappeso alla Russia”. In ogni caso Parvus sostiene che l’era degli Stati Nazionali in Europa è finita.
    L’obiettivo di effettuare “cambiamenti di regime” in tutto il continente europeo, per sostituire i governi sovrani con una nuova entità sovrannazionale europea, da contrapporre conflittualmente alla Russia bolscevica, fu perseguito da Parvus in sintonia con il conte Richard Coudenhove-Kalergi, l’ideatore dell’Unione Pan Europea che fu fortemente legato alla sfera di potere anglo-veneziana.
    In questa sua ultima impresa Parvus si avvalse ancora una volta del sostegno del re del carbone tedesco Hugo Stinnes, il quale, forte dell’appoggio di Schacht, accumulò un’enorme fortuna sul tracollo del marco, nel 1923, dandosi ad acquistare a prezzi stracciati miniere ed industrie. Coudenhove-Kalergi, dal canto suo, si appoggiava a Max Warburg, della nota casa bancaria che si fa risalire ai banchieri Del Banco attivi a Venezia. Warburg aveva già largheggiato in sostegni per Parvus e Leon Trotsky alla vigilia della Rivoluzione Bolscevica.
    Secondo Coudenhove-Kalergi la Pan-Europa sarebbe emersa dalla lotta contro il bolscevismo così come “la Giovane Europa emerse dalla lotta contro la Santa Alleanza, e come la Santa Alleanza era emersa dalla lotta contro Napoleone”. Al primo congresso dell’Unione Paneuropea, a Vienna, alle spalle degli oratori c’erano quattro grandi ritratti: Immanuel Kant, Napoleone Bonaparte, Giuseppe Mazzini e Friedrich Nietszsche.
    In uno scritto propagandistico dell’Unione Paneuropea del 1932, Coudenhove-Kalergi scavalcò lo stesso Parvus nel ridefinire le tesi della guerra permanente/rivoluzione permanente: “Questa guerra eterna può finire solo con la creazione di una repubblica mondiale ... l’unica strada che resta per salvare la pace sembra quella della politica della forza pacifica, sul modello dell’Impero Romano, che riuscì a produrre il più lungo periodo di pace in occidente grazie alla supremazia delle sue legioni”.
    Nel 1932, otto anni dopo la morte di Parvus, Hjalmar Schacht era il rappresentante tedesco presso la Banca per i Regolamenti Internazionali, e presto sarebbe diventato ministro dell’Economia di Hitler. Ad un grande raduno dell’Unione Paneuropea che quell’anno si tenne a Berlino, Schacht, che era un astro di quell’organizzazione escalmò: “In tre mesi Hitler sarà al potere ... Hitler creerà la Paneuropea! Solo Hitler può creare la Paneuropa!”.
    Parenteticamente, nella sua autobiografia (Confessions of the Old Wizard - Boston: Houghton Mifflin, 1956), Schacht ricorda i viaggi compiuti nel 1909, sotto gli auspici della sua loggia massonica di Berlino, a Costantinopoli e a Salonicco, dove fu ospitato dalla Loggia Macedonia Risorta ed ebbe modo di fare conoscenza con i vertici dei Giovani Turchi.

    Guerra permanente/rivoluzione permanente: la vera storia

    Il concetto di “rivoluzione permanente” è generalmente attribuito a Leon Trotsky, ma è lui stesso a riconoscere che si tratta di un’idea di Parvus, il suo più stretto alleato all’epoca della rivolta di San Pietroburgo del 1905. In riferimento a quella prima rivoluzione Trotsky scrisse: "Parvus ed io abbiamo difeso in Nachalo [giornale da loro edito nel 1905] l'idea che la rivoluzione russa sia il prologo di un'epoca socialrivoluzionaria nello sviluppo dell'Europa; che la rivoluzione russa non possa essere condotta a buon fine né attraverso l'alleanza del proletariato con la borghesia liberale, né attraverso l'alleanza del proletariato con i contadini rivoluzionari; che la rivoluzione non può trionfare se non come parte della rivoluzione del proletariato europeo".
    Come i neocon di oggi, Parvus sosteneva che i cambiamenti rivoluzionari sono possibili soltato in condizioni di guerra generale. Parvus svolse un ruolo chiave negli intrighi anglo-veneziani di Edoardo VII per istigare le guerre eurasiatiche che sfociarono nella prima guerra mondiale. Dopo questa guerra Parvus si preoccupò di gettare il seme per quella successiva promuovendo il “fascismo universale” che oggi è teorizzato dal neocon Michael Ledeen e che fu allora messo in pratica da Mussolini sotto la sapiente regia di Volpi di Misurata.
    Trotsky espose la teoria di Parvus in due opere: “Rivoluzione permanente” e “Risultati e prospettive”. Nella prima scrive: “La rivoluzione permanente, nel senso che Marx attribuiva a questo concetto, significa una rivoluzione che non fa compromessi con qualsiavoglia forma di dominio di classe, che non si ferma alla fase democratica, che arriva alle misure socialiste ad alla guerra contro la reazione dall’esterno; cioè una rivoluzione in cui ogni fase successiva è radicata in quella precedente e che può fermarsi solo nella liquidazione completa”.
    Ma Parvus stesso l’aveva caratterizzata meglio in un articolo pubblicato alla vigilia della prima guerra mondiale sulla sua rivista Iskra: “La guerra russo-giapponese è l’alba rosso sangue dei grandi eventi che verranno”. In uno scritto intitolato “Guerra di classe del proletariato” (Berlino 1911) Parvus scrisse: “La guerra acuisce tutte le contraddizioni del capitalismo. Una guerra mondiale può essere dunque conclusa solo da una rivoluzione mondiale”.

    Questo articolo di Jeffrey Steinberg, Allen Douglas e Rachel Douglas si basa su ricerche, oltre che degli autori, di Scott Thompson, Marjorie Mazel Hecht e Joseph Brewda.

    [Executive Intelligence Review, 23 settembre 2005]