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Riconvertire l’industria dell'auto per costruire nuove centrali nucleari

di Marsha Freeman

La svolta iniziata a dicembre nei vertici del Partito Democratico USA, tesa a rivalutare l'approccio economico di Franklin D. Roosevelt e di John F. Kennedy, pone la seguente domanda: per ricostruire l'economia fisica, a quali progetti infrastrutturali occorre dare la priorità? La precedenza va ovviamente data in primo luogo alla ricostruzione della devastata costa del Golfo. Oltre a ciò, quelle grandi opere che andranno a colmare il deficit di infrastrutture, che è nell'ordine di grandezza delle migliaia di miliardi di dollari: ponti e strade sicure, sistemi moderni di trasporto delle merci e di gestione delle risorse idriche.
Tuttavia, nell'intraprendere la mobilitazione per riportare le infrastrutture al livello necessario alla rivitalizzazione dell'economia nazionale, si va subito incontro - per così dire - ad un collo di bottiglia: la scarsità di potenza elettrica. La crescita dei consumi di elettricità raggiunse, negli anni '60, il 7% annuo, allorché il programma di conquista della luna del presidente Kennedy esercitava dall'alto l'effetto di incrementare la produttività dell'intera economia; invece, nei due decenni successivi, la stessa crescita si è attestata ai livelli "anemici" del 1-2% annuo. Questa pur magra misura è stata principalmente dovuta all'espansione delle attività "commerciali" (grandi magazzini e ipermercati), mentre i consumi dovuti all'industria hanno continuato a scendere; perché le industrie chiudono i battenti.
Se gli Stati Uniti decidessero di compiere i necessari passi per elettrificare le proprie ferrovie, costruire nuovi sistemi di trasporto pubblico urbano, accedere alla tecnologia delle automobili ibride; in generale, se decidessero di riprendere la produzione industriale domestica di materie prime e beni di consumo, allora si scoprirebbero privi della necessaria potenza di produzione dell'energia elettrica. In alcune parti della nazione, come il nordest e l'ovest, vi sono i segni di possibili ammanchi di potenza, già in queste condizioni di depressione economica.
Gli Stati Uniti al momento hanno in funzione 103 impianti nucleari, che forniscono approssimativamente il 20% della potenza consumata. Prima del sabotaggio dei progetti nucleari degli anni '70, si pensava che entro il 2000 sarebbero entrate in funzione alcune migliaia di centrali atomiche. In queste condizioni, anche per mantenere la quota di contributo del nucleare al consumo energetico della nazione, sarebbe necessario costruire all'incirca altri 100 nuovi reattori entro i prossimi 20 anni. Per ricostruire le infrastrutture e per aumentare la produttività della nazione, oltre a chiudere gli impianti nucleari vecchi e inefficienti, assieme a quelli che bruciano ogni giorno il prezioso - e sempre più caro - gas naturale, saranno necessarie centinaia di altre nuove centrali atomiche.
Le industrie americane dell'automobile e della macchina utensile sono minacciate dalla massima distruzione di capitale fisico e umano che la storia americana abbia mai conosciuto. La strada dell'autodistruzione fu imboccata alla fine degli anni '60, quando la maggioranza dei 400.000 operai specializzati e ingegneri occupati nell'industria aerospaziale persero il lavoro; quando, in altre parole, le spese per la guerra del Vietnam e la politica dei “limiti dello sviluppo" determinarono la chiusura del programma spaziale, nonostante i successi delle missioni Apollo.
Un decennio più tardi, gli Stati Uniti dismisero molti impianti nucleari, capitolando davanti alle isterie del movimento ambientalista finanziato da Wall Street, e al generale pessimismo anti-tecnologico che il Congress for Cultural Freedom aveva coltivato nei decenni precedenti. Oggi, gli Stati Uniti non sono neanche in grado di realizzare tutti i componenti necessari ad un impianto nucleare.
Alla fine degli anni '80, e di nuovo dopo la caduta dell'Unione Sovietica nel 1991, si suppose che alla contrazione delle spese militari e aerospaziali avrebbero corrisposto “i dividendi della pace”, che avrebbero fornito all'economia civile quelle tecnologie di punta fino ad allora frutto delle ricadute dei settori militare e soprattutto aerospaziale. Non è mai accaduto. Soltanto in California, circa 250 mila ingegneri aerospaziali persero il lavoro.
Gli USA sono ormai al capolinea. L'industria automobilistica rappresenta ancora la massima concentrazione di potenza produttiva, la migliore maestranza nell'impiego delle macchine utensili e nelle lavorazioni più sofisticate, e la massima versatilità nella produzione.
I politici di Washington stanno considerando come comportarsi davanti alla crisi del settore dell'auto. Essi devono promuovere un programma di riconversione, per passare da un'eccessiva produzione di automezzi alla necessaria produzione di infrastrutture, cosa che dovrebbe comprendere la realizzazione di componenti per le nuove centrali termonucleari.


NON PENSARE ALLA CENTRALE DEI TEMPI DI PAPA'.

Tanto l'industria nucleare degli Stati Uniti, quanto quella delle nazioni che producono il fissile e altre forniture, non esisterebbero oggi, se a partire dalla metà degli anni '80, in Asia non vi fosse stata una corsa verso questa fonte energetica. Da allora, in Cina sono stati costruiti 9 impianti; in India, 8; in Giappone, 24; in Corea del Sud, 14. Questi progetti hanno permesso all'industria nucleare di mantenere un certo livello di capacità produttiva, altrimenti destinato a scomparire.
La prospettiva di continua crescita della produzione nucleare asiatica, la costruzione di nuovi impianti in Finlandia, e il più recente entusiasmo per un rinascimento nucleare negli Stati Uniti, hanno motivato il generale miglioramento degli impianti stessi, portando ai cosiddetti reattori "Generation 3+".
Gli impianti più recenti realizzano un disegno costruttivo più semplice e standard, hanno la sicurezza del funzionamento passivo, richiedono tempi costruttivi inferiori e minor manutenzione, ed operano con maggior efficienza.
Con il sostegno del Dipartimento dell'Energia (U.S. DoE), sono stati compiuti studi minuziosi intorno ai futuri miglioramenti che potranno essere apportati. I risultati sono impressionanti. Ad esempio, si raccomanda di sottoporre il disegno costruttivo ad uno standard e alla filosofia della modularizzazione, in modo da permettere la produzione non di una o due, bensì di dozzine di unità di potenza. Questo cambiamento offre ai settori dell'auto e delle macchine utensili la possibilità di tramutarsi in una grande fabbrica di centrali nucleari.
Le centrali operanti negli Stati Uniti furono costruite come singoli prototipi, impiegando una media dei tempi di costruzione che si aggira intorno ai 66 mesi (5 anni e mezzo), tra tutte quelle completate entro il 1979. Questi tempi sono analoghi a quelli tipici giapponesi, per esempio.
Ma il 1979 fu uno spartiacque per il settore, poiché l'incidente di Three Mile Island fu sfruttato per condurre un'offensiva contro la tecnologia nucleare. Agli ideologi anti-nucleari fu permesso di soffocare questa industria, cioè gli impianti di produzione di energia elettrica e quelli facenti uso di altre tecnologie nucleari, con una legislazione onerosa, gran parte della quale è oggi riconosciuta come frutto di una "reazione eccessiva" all'incidente. Quei regolamenti, associati alla paralisi dei progetti dovuta ai vari processi in tribunale, e i tassi di interesse a due cifre fissati dall'allora presidente della Federal Reserve, Paul Volcker, portarono all'allungamento dei tempi di costruzione, fino a dieci anni, poi alla cessazione della costruzione di nuovi impianti. In Giappone, invece, le costanti migliorie hanno ridotto i tempi a 40 mesi: ora questo è il tempo standard. (vedi Figura 1)

Nel 2004, il DoE rilasciò un rapporto su "L'Applicazione di Tecnologie Costruttive Avanzate ai Nuovi Impianti Nucleari" (24 settembre 2004, MPR-2610). Le tecnologie ivi analizzate sono quelle sviluppate a partire dall'ultima costruzione sul suolo americano, cioè nel decennio precedente. Alcune lezioni da imparare si trovano nei progetti più recenti, in Cina, in Corea del Sud e in Giappone.
Sono state considerate tredici tecnologie; di queste, nove sono state dichiarate "sufficientemente mature" per essere impiegate, e fornire benefici economici immediati.
Vi sono: la tecnologia della saldatura robotizzata, già in uso in Giappone, in Cina e in Francia (che non richiede ulteriori ricerche); l'applicazione del sistema GPS (sistema di posizionamento globale satellitare) alla preparazione del sito, già usato in supporto alla costruzione di grandi infrastrutture; la scansione tramite il laser per i controlli di processo; gli esplosivi di precisione in sostituzione dei lenti metodi di escavazione meccanica, già usati nella costruzione della centrale Millstone Unit 3.
Una delle tre tecnologie ritenute ancora non sufficientemente mature potrebbe avere un grande impatto sui tempi di costruzione: il montaggio di parti prefabbricate, preassemblate e la modularizzazione dei componenti costruttivi. Essa è adatta alla conversione dell'industria automobilistica. Questo approccio è già impiegato in Giappone e in Cina, e - negli Stati Uniti - nella costruzione di centrali termoelettriche, di aerei alimentati a fissile e di analoghi sottomarini.
La prefabbricazione, il preassemblaggio e la realizzazione di moduli formati da più parti assemblate, sono i passi tipici della produzione in serie di autovetture, che possono essere riconvertiti per essere applicati agli impianti nucleari poiché ogni impianto richiede tutta una serie di componenti modulari. (vedi Tabella 1).

La modularizzazione trasformerà anche la geografia dei distretti industriali, disperdendo le fabbriche da un unico luogo ad alta densità di singole attività, in una regione più ampia, che richiederà la costruzione di nuovi edifici. L'applicazione delle tecniche di trasporto di grossi volumi di merci significherà che diversi segmenti di produzione potranno essere condotti parallelamente, riducendo i tempi di produzione dovuti anche alle condizioni climatiche. Si stima, infatti, che si possano risparmiare almeno 5 mesi, passando alla costruzione modulare degli impianti nucleari.
Gli impianti della nuova generazione estenderanno il concetto modulare in maniera più profonda. L'esperienza costruttiva di General Electric, con i Reattori Avanzati ad Acqua Bollente (ABWR) in Giappone e in Corea del Sud, porterà alla prossima generazione di "Reattori Economici Semplificati ad Acqua Bollente" (ESBWR). General Electric ha identificato 15 modalità di costruzione modulare.
In maniera analoga, Westinghouse ha progettato due reattori, AP600 e AP1000, proprio considerando i moduli quale parte integrale della concezione costruttiva. Vi sono circa 600 moduli in progettazione, alcuni dei quali riguardano le parti dell'impianto di circolazione dei fluidi, le parti elettriche, le parti strutturali (scale prefabbricate, piattaforme, pavimenti, ecc.)
Il rapporto, a tal merito, avverte che le fabbriche "potrebbero non riuscire a costruire i moduli alla velocità richiesta”. A questo potrebbero sopperire, dopo l'opportuna riconversione, gli impianti dell'auto inutilizzati.

IL CASO DELLA "TVA"

Nell'agosto 2005, la Tennessee Valley Authority, la giapponese Toshiba Corporation, General Electric, la U.S. Enrichment Corporation, la Bechtel Power Corporation, e la Global Nuclear Fuel-America hanno completato uno studio congiunto, svolto per determinare in che misura le più avanzate tecnologie potessero essere applicate ad un progetto specifico: la costruzione di due unità aggiuntive nel sito di Bellefonte in Alabama (“ABWR Cost/Schedule/COL Project at TVA's Bellefonte Site,” August 2005, DE-AI07-04ID14620). E' stato scelto il progetto di ABWR della General Electric, perché alcune unità sono già in funzione in Giappone e in Taiwan, ed ha ricevuto la necessaria certificazione per gli stessi Stati Uniti.
Durante lo studio, Toshiba e GE hanno identificato ben 66 miglioramenti che potrebbero essere apportati nelle tecniche di progettazione e di costruzione, molti dei quali riflettono le raccomandazioni dello studio del DoE dell'anno precedente. Tali miglioramenti porterebbero alla riduzione dei tempi di costruzione di ciascun impianto aggiuntivo di Bellefonte, a 40 mesi. Uno dei fattori motivanti è l'adozione della logica della costruzione modulare. Il rapporto indica anche che questa tecnica è particolarmente adatta al sito in questione, poiché esso è lungo una corso d'acqua navigabile. Una delle sfide della produzione modulare, infatti, è proprio data dal trasporto dei moduli fino al sito prescelto, viste le condizioni disastrose del sistema dei trasporti nazionale.
Il rapporto, inoltre, sottolinea che i miglioramenti aggiuntivi potrebbero ridurre ulteriormente i tempi di costruzione di una centrale. Lo studio prevede la fornitura da parte della Toshiba in Giappone del nucleo a pressione e le componenti interne, poiché negli Stati Uniti s'è persa la capacità di produrne: questa situazione, però, deve essere corretta.
Non soltanto i settori dell'auto e delle macchine utensili potranno beneficiare della rinascita del settore nucleare. Lo studio della TVA conclude che, al trentesimo mese di costruzione, si raggiungerebbe un picco di 4500 persone occupate sul sito. Tra di esse, sarebbero compresi 1800 posatori di tubazioni e 1000 elettricisti, per ogni impianto. Durante il corso del progetto sarebbero spesi 938 milioni di dollari per i costi del lavoro, con stipendi compresi tra i 29,58 e i 41,38 dollari all'ora.
Uno studio precedente, condotto dal Laboratorio Nazionale Ingegneristico e Ambientale dell'Idaho (“U.S. Job Creation Due to Nuclear Power Resurgence in the United States,” November 2004, INEEL/EXT-04-02384) aveva considerato la potenzialità nella creazione di nuovi posti di lavoro, insita nella costruzione di circa 40 nuovi impianti nucleari. Esso aveva assunto 5 anni di tempo medio costruttivo, e stimato il periodo di costruzione dal 2009 al 2020.
Nonostante i tempi previsti siano irreali, i dati forniti costituiscono un utile confronto. Un progetto più aggressivo, contemplante la simultanea costruzione di un numero maggiore di impianti, richiederebbe ancor più manodopera.
Il rapporto esamina vari tipi di lavori creati. Tra di essi, quelli che tornerebbero ad essere svolti negli USA: impieghi nella costruzione diretta degli impianti; impieghi nel mantenere in esercizio le centrali; impieghi indiretti intorno a servizi e beni esterni (fissile, servizi di manutenzione, gestione e consulenza); impieghi nella produzione di macchine, tubi, valvole e altri accessori; impieghi nella ricerca scientifica e nel collaudo; ecc.
Troviamo, poi, nuovi lavori di tipo non specifico, indotti dalle suddette categorie. Per esempio, si trova citata la disanima dell'impatto del reattore di Indian Point nello Stato di New York, che creò 918 lavori addizionali, come quelli degli insegnanti per le nuove scuole, o quelli del settore di edilizia privata; 1132 nuovi impieghi nella burocrazia di quello Stato; 5125 nel resto degli Stati Uniti.
Il rapporto dell'INEEL stima che, con la costruzione di 40 o più reattori, sarebbero rimpatriati i 38000 lavoratori persi a causa della delocalizzazione oppure a causa della contrazione dell'industria. Ma questi non reggerebbero il confronto con i 79000 nuovi impieghi nelle operazioni di costruzione, edificazione e attivazione, oltre ad altri nuovi 38000 impieghi nell'industria. Altri 250.000 posti sarebbero creati in maniera indiretta, “a cascata nell'economia degli Stati Uniti", e a svilupparne altri 242.000. In sostanza, si creerebbero 61000 nuovi posti perlopiù qualificati, da aggiungere all'economia. (vedi Figura 2)

Crescono le lamentele di coloro che puntano il dito alla dipendenza di questa nazione dalle forniture straniere, e alla possibile sottomissione a ricatti. Abbiamo bisogno di elettrificare la maggior parte dei sistemi di trasporto che ora bruciano derivati del petrolio. Dobbiamo elettrificare le ferrovie, rimpiazzare i costosi viaggi aerei su breve distanza con i treni a sospensione magnetica, o con treni elettrici ad alta velocità; rimpiazzare il traffico automobilistico con un efficiente sistema di trasporti pubblici urbani; sviluppare quella nuova generazione di tecnologie nucleari ad altra temperatura, che renderanno economica l'estrazione dell'idrogeno dall'acqua.


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