ECONOMIA

Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà

ECONOMIA

 



[Solidarietà, anno IV n.2, maggio 1996]


Soros, re della droga libera

 


Un dossier dell'EIR illustra la strategia dei liberisti per i quali una delle fonti di profitto sicuro è il mercato degli stupefacenti.La guerra di Clinton al riciclaggio dei narcodollari ha messo in seria difficoltà le banche inglesi


LA CAMPAGNA del Movimento Solidarietà contro lo speculatore George Soros ha raggiunto una nuova dimensione a metà marzo, quando il procuratore di Milano Francesco Greco ha aperto un'inchiesta che si aggiunge a quelle già aperte dai colleghi di Napoli e Roma, tutte sulla base dell'esposto presentato dal Presidente del Movimento Solidarietà Paolo Raimondi (cfr. Solidarietà  dell'ottobre 1995 e del febbraio 1996).
Vari organi di stampa nazionali, tra cui l'Espresso  ed il Foglio, notavano allora che il mega speculatore è impegnato ad acquistare le imprese "privatizzate" dal governo Dini. Ovvero, dopo che la lira è stata svalutata di oltre il 30% a seguito dell'assalto speculativo di Soros del 1992, ed a seguito di un ben orchestrato fallimento nel piazzare i titoli di imprese privatizzate sul mercato nazionale, Soros ci fa la carità, ci offre benigno una miseria per i gioielli di famiglia, dalla Dalmine all'ENI alla STET, mentre è pronto a monopolizzare le informazioni facendo la parte del leone nel progetto Hermes.

La lobby della liberizzazione

L'aspetto nuovo più importante sulle malefatte di Soros è stata segnalato dalla rivista americana EIR, che ha dedicato il numero del 22 marzo a dimostrare che Soros, oltre ad essere uno speculatore, è anche il re della droga libera: è impegnato nella più grande campagna internazionale per la legalizzazione che è partita dall'inizio dell'anno per contrastare un imponente programma di guerra alla droga varato da Clinton.
L'EIR spiega che Soros cominciò la carriera sotto gli auspici dei Rothschild, che ancora oggi sono tra i finanziatori noti delle sue attività disponendo di due consiglieri nell'amministrazione del Quantum Fund NV, la finanziaria di Soros registrata nelle Antille Olandesi.
Il capitale iniziale fu dato a Soros da George Karlweis, il quale, sempre coi soldi dei Rothschild, finanziò, alla fine degli anni Sessanta, il famoso truffatore internazionale Robert Vesco. Vesco ottenne altri soldi dagli ambienti della Anti Defamation League, soprattutto da Michael Milken, e lanciò la famosa truffa internazionale dell'Investors Overseas Services (IOS), un fondo comune d'investimento con il quale riciclò i soldi della droga anche il grande capo della mafia Meyer Lansky. La truffa fruttò 260 milioni di dollari. Entrato nella clandestinità, Vesco divenne braccio destro di Carlos Lehder Rivas del Cartello di Medellín in Colombia e poi tuttofare di Fidel Castro per le faccende sporche: dal narco-terrorismo allo spionaggio industriale.
In Italia l'IOS di Vesco realizzò le sue truffe attraverso il fondo di diritto lussemburghese Fonditalia di cui era consigliere Beniamino Andreatta. Nel giugno 1992 Andreatta partecipò al vertice segreto sul panfilo "Britannia" in cui fu ordito il crollo della lira dell'ottobre 1992 nell'interesse di Soros. Allievo di Andreatta è Romano Prodi che ha lavorato direttamente per Soros, insieme a Jeffrey Sachs (vedi oltre), e poi si è interessato perché il suo "ex" datore di lavoro ricevesse la laurea ad honorem a Bologna. In questo contesto ricordiamo che l'ex ministro Antonio Martino, insieme all'esponente della famiglia guelfa Max von Thurn und Taxis, è sin dall'inizio degli anni Ottanta uno dei massimi esperti dell'arci-liberista Società Mont Pelerin in materia di "economia sommersa", un'eufemismo per l'economia della droga.
Le principali attività di Soros sul fronte della droga negli ultimi anni possono essere così schematizzate:
Ha elargito più di 10 milioni di dollari alla Drug Policy Foundation (DPF), la principale lobby americana per la legalizzazione.
Ha aperto un proprio centro allo stesso scopo, il Lindesmith Center, affidandolo al dirigente del DPF Ethan Nadelman.
Ha elargito altri milioni di dollari a fondazioni che si battono per la legalizzazione. Tra queste la più importante è la Drug Strategies, diretta da Malthea Falco, fondatrice della NORML (altra importante lobby per la legalizzazione della marijuana) e sposata ad un dirigente della Council on Foreign Relations.
Ha promosso conferenze. Nell'ottobre 1995, mentre a Bologna davano la laurea a Soros, in America il suo centro Lindesmith ha iniziato la vendita delle videoregistrazioni della conferenza "Approcci nuovi alla politica per la droga, legalizzazione e regolamentazione", sponsorizzata dall'associazione degli avvocati di New York tra il 10 ed il 12 ottobre. La stragrande maggioranza dei relatori proveniva dai pensatoi di Soros: il Lindesmith, il DPF, il Drug Strategies e Partnership for Responsible Drug Information.
Un'altra conferenza si è tenuta in autunno allo Hoover Institute di Palo Alto in California (una succursale di fatto della Società Mont Pelerin) a cui hanno partecipato 38 esperti di polizia e magistratura. A tessere le lodi della legalizzazione è intervenuto l'ex segretario di Stato George Shultz, che da tempo si è dedicato alla causa della DPF, e Kurt Schmoke, un direttore del DPF e sindaco di Baltimora. Quest'ultimo ricevette tempo fa un assegno di 100 mila dollari dal DPF per le sue attività a favore delle legalizzazione.
Ha promosso la carriera dell'"economista" Jeffrey Sachs che dalla fine degli anni Ottanta ha propagandato la "terapia d'urto" nei paesi dell'ex Patto di Varsavia. Attualmente Sachs è un dipendente di Soros, il quale gli mise gli occhi addosso quando il professorino di Harward si andava vantando di essere l'architetto del "miracolo finanziario boliviano", che nei fatti fu la vendita di un intero paese, la Bolivia, a una mafia di trafficanti di cocaina. Sachs propone apertamente e esplicitamente la "liberizzazione finanziaria dei dollari della droga".
Attraverso le sue fondazioni Open Society, Soros investe annualmente circa 500 milioni di dollari esentasse in cosiddetti progetti culturali. Si tratta di operazioni che si estendono a 24 paesi, tra cui soprattutto quelli dell'Est europeo, il Sud Africa ed Haiti. Al centro di questa rete "caritativa" c'è l'Open Society Institute (OSI) di New York presieduto da Aryeh Neier. Costui vanta dodici anni di esperienza alla testa del Human Rights Watch, un ente, sempre finanziato da Soros, che agisce negli ambienti britannici e dell'ONU nel mondo, soprattutto dove Soros ha deciso di investire.
Da quando Neier dirige l'OSI, dai conti dell'ente risulta che la principale attività "caritativa" di cui si occupa è la legalizzazione della droga.
L'8 luglio 1994 Soros annunciò che nel corso di tre anni l'OSI avrebbe donato 10,5 milioni di dollari alla DPF.
Nel maggio 1994 la Banca Mondiale convocò Nadelman, del centro Lindesmith, per tenere un resoconto sulla situazione mondiale della droga. Quando l'amministrazione Clinton mostrò di non gradire che il resoconto fosse fatto da un aperto fautore della liberizzazione, la Banca Mondiale preferì annullare l'intera seduta piuttosto che rinunciare al portavoce di Soros.

 


[Solidarietà, anno IV n.3, luglio 1996]


George Soros finanzia la liberizzazione degli stupefacenti in Europa orientale

 


Droga, eutanasia e cultura liberista-decostruzionista
sono le strategie globali del noto speculatore
indagato da tre procure italiane per il crac della lira
del 1992. Alcuni effetti della sua politica in Polonia

 

Nel numero precedente, Solidarietà ha pubblicato, riprendendolo dalla rivista EIR, un dossier sulla strategia del megaspeculatore George Soros per la droga libera, ed ha tracciato un primo organigramma dei principali individui e istituzioni impegnati in questo sordido progetto.
In questo numero vediamo come l'"Open Society Institute" (OSI) di New York, il principale canale con cui Soros finanzia la campagna per la liberizzazione, sta allargando le iniziative agli ex paesi comunisti, cercando di coinvolgere i governi di quella parte del mondo nel tentativo di ostacolare la guerra alla droga dell'amministrazione Clinton.
L'ultimo numero della rivista trimestrale Open Society News  dell'OSI, contiene un articolo intitolato "Alternative di Politica sulla Droga", il cui occhiello recita: "L'OSI incoraggia esperti dell'Europa orientale a trovare alternative all'approccio da guerra alla droga» per contrastare il consumo di stupefacenti nella regione." L'articolo è firmato da Jean-Paul Grund, direttore del "Programma Internazionale di Riduzione dei Danni" dell'OSI. Grund sostiene che la "riduzione dei danni" sia oggi la politica preferita, nel momento in cui il consumo di stupefacenti aumenta sensibilmente in tutto il settore comunista. Il vantaggio, egli afferma, è che esso "limita il danno alla società e ai tossicodipendenti" invece di "cercare di eliminarlo". Grund sostiene che la nozione di "riduzione dei danni... sta entrando a far parte del dibattito pubblico nei paesi dell'Europa centrale e orientale... ora è il momento di applicare programmi come la distribuzione di metadone, l'istruzione e l'uso di siringhe pulite... Anche se il pensiero dominante è più tradizionale che progressista, le linee di battaglia non sono ancora state tracciate. Nella maggior parte dei paesi, ci sono interessi occulti che sostengono l'approccio proibizionistico e della guerra alla droga». La maggior parte della gente è aperta a idee ragionevoli (sic)".
Grund va poi al nocciolo della questione: "Benché convinti del bisogno di politiche di riduzione dei danni, molti simpatizzanti vedono grandi ostacoli alla sua realizzazione. I sostenitori devono manovrare con attenzione, spiegando costantemente i loro piani e programmi ai politici e alle forze dell'ordine, la cui cooperazione è essenziale per il successo di progetti nuovi e vulnerabili. Il compito di educare il pubblico e la stampa è enorme. L'opinione pubblica influenza le posizioni che i politici sono disposti a difendere, ed è più facile fare i duri sulla droga, piuttosto che spiegare la logica sottile ma evidente della riduzione dei danni. I sostenitori si trovano a spendere un sacco di tempo a educare i potenziali e gli attuali critici. In aggiunta, essi devono contrastare gli sforzi del governo USA e delle Nazioni Unite che reclutano gli ex paesi comunisti alla guerra mondiale contro la droga ".

L'OSI ha finora finanziato programmi nella Repubblica Ceca, in Bulgaria, Croazia, Lettonia, Macedonia e Polonia. Di fronte a questi investimenti colossali assume una luce molto sinistra la dichiarazione fatta da Soros a Bologna, che, rispondendo alle accuse dell'EIR di essere uno speculatore, affermò che lui agisce nell'ambito della legalità. Dalla sua strategia degli investimenti traspare un corollario di tale affermazione: i soldi sono prima diretti a costringere i governi a legalizzare attività illecite e poi nelle attività così "legalizzate".

La macchina culturale

Per la sua manovra liberizzatrice, Soros conta su una vasta infrastruttura "intellettuale" che sta costruendo nei paesi dell'Est sin dal 1991. Principalmente si tratta della CEU, la Central European University, che ha centri dirigenziali a Budapest, Praga e Varsavia. Dal materiale propagandistico della CEU per l'anno 1996-1997 risulta alquanto evidente che l'università condivide scopi e soldi con gli altri satelliti del sistema Soros: l'OSI, l'Open Media Research Institute e altri.
Per iscriversi alla CEU lo studente deve fare domanda presso gli uffici della Fondazione Soros nel proprio paese. Per ora l'Università ha uno riconoscimento "provvisorio" e dentro l'anno prossimo conta di ottenere il pieno riconoscimento dai "reggenti" dell'Università dello stato di New York.
Il Consiglio dei garanti è presieduto da Soros in persona a cui fanno da contorno Colin Campbell della Rockefeller Broth. Fund; lord Dahrendorf del St. Antony's College di Oxford; Bornislaw Geremek dell'Accademia delle Scienze polacca e William Newton-Smith, uno dei rettori dell'Università di Oxford. Il personale accademico proviene da Oxford e da altre istituzioni britanniche come la London School of Economics, dove lo stesso Soros si laureò sotto sir Karl Popper. Gli scritti inediti di questo "luminare aristotelico" vengono oggi pubblicati dalla CEU.
La CEU ripropone nell'era "post-comunista" tutta l'eredità positivista e decostruzionista, che fu prodotta dall'impero austro ungarico nella sua fase crepuscolare e che fu allora utilizzata dagli inglesi per creare la Scuola di Francoforte, come base culturale per sostenere l'ideologia comunista. A tale scopo vengono invitati a tenere lezioni alla CEU di Praga professori come Jacques Derrida, il teorico del decostruzionismo, "delfino" di sinistra dell'ideologo nazista Heidegger (Cfr. Solidarietà, anno III n. 2, maggio 1995 pag. 22).
Lo scopo della CEU è ripiantare nelle élite intellettuali dell'Europa centrale, sotto l'occhiuta supervisione britannica, quegli stessi semi che all'inizio del secolo produssero comunismo e nazismo.
In quest'ottica di Heidegger, Adorno e Hanna Arendt, il nemico numero uno è sempre lo stato nazionale. Nel 1993 la CEU patrocinò diverse conferenze sul tema "L'individuo contro lo stato", e ancora corsi di studio in cui si insegna che le "tradizioni caratteristiche dell'Occidente" sarebbero quelle "hegeliane, positiviste, fenomenologiche e durkheimiane". Un altro corso è intitolato "Filosofia politica moderna: Hobbes, Locke, Rousseau, Kant ed Hegel". A Varsavia si danno corsi che si ispirano alle dottrine dell'Istituto Tavistock di Londra, come quello sul tema "Dalle tribù alle nazioni e ritorno" oppure, "Avventure post-moderne del corpo" ecc.

Conseguenze in Polonia

Il risultato di questo lavaggio del cervello è che non solo i giovani più promettenti di intere nazioni non saranno in grado di ribellarsi alla nuova schiavitù, ma contribuiranno per primi ad imporla al loro paese. La nuova schiavitù è più che evidente dallo sfascio economico subito dalla Polonia sottoposta ai programmi degli economisti di Soros: primi fra tutti il massone Geremek e l'ex ministro delle Finanze Balcerowitz.
Per la prima volta dopo la guerra, in Polonia il numero dei decessi ha superato quello delle nascite, con una diminuzione dei matrimoni di oltre un terzo nell'ultimo decennio. Il 60% delle coppie di giovani sposati non può permettersi un proprio tetto e deve convivere con i genitori.
I settori dell'industria più gravemente colpiti sono quelli che tiravano di più: cantieristica navale, acciaio, carbone, macchine utensili (che erano esportate persino negli USA).
Sulla rivista del Partito dei Contadini, Ludwik Staszynski ha denunciato un piano cosciente volto a destabilizzare il paese imponendo "esperimenti" e "riforme", e ne ha attribuito le responsabilità al fautore della terapia shock, Leszek Balcerowicz.

Cavalli diversi per la stessa strategia

Oggi, sebbene la cordata dei "neo-liberali" sia stata bocciata alle elezioni, la politica che essi hanno applicato per conto di Soros viene fedelmente continuata dai loro successori "comunisti".
Negli ambienti politici polacchi è evidente che la situazione ha superato da tempo il livello di guardia della tollerabilità. Il problema principale riguarda però la definizione di un'alternativa: non c'è nessuno che si faccia avanti con un programma di sviluppo. E forse questo ci dà la misura più esatta delle operazioni "culturali" di Soros. Un esponente dell'opposizione fa giustamente osservare: "Come reagirebbe il governo americano se la Polonia sfidasse le condizioni del Fondo Monetario Internazionale?".
Domanda alquanto retorica, almeno per il momento, visto che l'Ambasciata USA a Varsavia finanzia la Fondazione Stefan Batory, uno degli istituti di George Soros. È uno scandalo grave, anche se i 13 mila dollari non sono una cifra colossale, perché dice tutto su chi controlla i rapporti tra i due paesi. La fondazione Batory raccoglie la maggior parte degli artefici della "Terapia d'urto" che ha devastato il paese, e adesso si occupa di acquistare personalità politiche di tutte le colorature e varietà con cui gestire le successive fasi della "decostruzione" del paese.

Eutanasia

Il numero di maggio della rivista statunitense The Chronicle of Philantropy  ha dedicato un ampio servizio sulle fondazioni impegnate a promuovere gli ospizi per la morte come alternativa alle cure ospedaliere. Si tratta insomma dell'eutanasia nazista in formula nuova, non più imposta dai decreti di Adolf Hitler, ma "richiesta come diritto" che, stando ai miliardi investiti nella propaganda, risulterebbe di gran lunga più importante del diritto alla vita.
Alla testa dell'iniziativa figura il &laqno;Project on Death in America» che ha sin ora sborsato 25 milioni di dollari a vari organismi predicatori di morte. L'ente fu costituito due anni fa da George Soros, il quale ha detto al Chronicle  che "da troppo tempo la gente cerca di negare la morte" e "questo è un aspetto sfortunato della civiltà perché produce molta sofferenza che si potrebbe evitare". Gli "ospices" americani, che erano 500 nel 1985, sono diventati 2500 lo scorso anno. Non si tratta delle case di riposo per anziani, ma di cliniche in cui si assiste e affretta la morte, senza cure e terapie oltre al semplice alleviamento del dolore. "Una volta erano considerati un elemento trascurabile dall'establishment medico per via del rifiuto delle cure ospedaliere, gli ospices stanno diventando la scelta preferita di numerosi pazienti", soprattutto i numerosi malati di AIDS, dicono orgogliosi quelli del Chronicle.
Inutile aggiungere che è soprattutto la scelta preferita delle compagnie di assicurazione che vedono enormi profitti in questa "scelta" degli assicurati. Sul loro condizionamento, affinché finiscano col firmare "liberamente e nel pieno delle proprie facoltà" la propria condanna a morte, si potrebbero scrivere libri.
Le assicurazioni finanziano la Robert Wood Johnson Foundation che ha speso 28 milioni di dollari per studiare la "qualità della morte" tra i degenti in ospedale e giungere alla conclusione che "più di un terzo dei malati terminali muoiono nel dolore, trascorrendo le ultime ore isolati dai propri familiari, con i medici che ignorano le loro richieste di staccare la spina". La fondazione ha stanziato un primo assegno di 1,2 milioni di dollari per diffondere il nuovo verbo su come morire senza soffrire e, soprattutto, senza far soffrire il cartello assicurativo.

 



[Solidarietà, anno VI n.4, settembre 1998]
 

Il "future" a più alto rendimento
di George Soros è la droga libera


Referendum truffa negli USA e bande di narcoterroristi secessionisti in America Latina. È la puntata più rischiosa del "filantropo" speculatore


Le autorità elettorali di Washington hanno annunciato il 5 agosto che il referendum sulla legalizzazione della marijuana "a scopo terapeutico", come dicono i referendari che lo hanno promosso, non avrà luogo perché i promotori non sono riusciti a raccogliere le firme necessarie a sostegno dell'iniziativa.

Il gen. Barry McCaffrey, direttore dell' ufficio speciale anti-droga della Casa Bianca, si è congratulato con i cittadini che non si sono lasciati abbindolare con un comunicato diffuso il 13 agosto in cui afferma che l'iniziativa permissionista, è "un altro tentativo ben orchestrato di minare un'attenta politica di controllo della droga per proteggere i nostri giovani. Iniziative del genere sono lesive nei confronti di un sistema medico sano ed efficiente d'impostazione scientifica (...) Non è il momento di ricorrere a trucchi elettorali per rendere la droga più facile. È invece il momento di prendere nella dovuta considerazione le informazioni scientifiche, che sono da tempo disponibili, sulle conseguenze del consumo di marijuana. I cittadini hanno fatto una scelta saggia nel respingere una politica pericolosa e la confusione retorica di quest'iniziativa referendaria".

Come è stato riferito da Solidarietà in passato, dal 1994 George Soros investe decine di milioni di dollari nella campagna referendaria per la droga libera. Dopo aver ottenuto i primi successi in California e Arizona nel 1996 Soros ha promosso un ambizioso programma referendario in altri venticinque stati americani.

I finanziamenti ufficiali di Soros passano attraverso la Drug Policy Foundation, la principale lobby per la liberizzazione, e attraverso il suo centro studi/propaganda, il Lindesmith Center, diretto da Ethan Nadelmann, che dirige anche la Drug Policy Foundation e vanta notevoli appoggi presso la Banca Mondiale. Nel sistema permissivistico sorosiano negli USA figurano inoltre la Drug Strategies, la NORML, la Partnership for Responsible Drug Information.

Oltre ai finanziamenti diretti ci sono poi i grossi sostegni indiretti e quelli "culturali" provenienti dalla rete "filantropica" della Open Society Institute di Soros e dai principali santuari del liberismo: il Council on Foreign Relations e la Mont Pelerin Society.

La strategia andina

Gran parte di questa struttura di legalizzatori della droga sulla busta paga di Soros si è data convegno l'11 giugno scorso alla George Washington University, sotto gli auspici del Dipartimento di Antropologia (progetto Ande), per incontrare le delegazioni di coltivatori di coca provenienti da Perù, Bolivia e Colombia.

Il titolo dell'incontro è stato: "Guerra alla droga: dipendenza dal fallimento". I cerimonieri provenivano dal Washington Office on Latin America (WOLA), ente finanziato ufficialmente da Soros, dall'Institute for Policy Studies (IPS) e dalla succursale di questo ad Amsterdam, il Transnational Institute. Quest'ultimo ospita nei suoi uffici "Coca 90s" organismo che fa capo all'antropologo britannico Anthony Hennan, fondatore della Lega anti-proibizionista internazionale di Soros, consulente dell'Organizzazione mondiale della Sanità e del Parlamento Europeo. Ovviamente è legatissimo a Ethan Nadelmann. I progetti di Coca 90, sono stati promossi dal European NGOCouncil on Drugs and Development (ENCOD)per studiare le scuse terapeutico-culturali da opporre alla eradicazione delle colture di coca portate avanti dai governi di Bolivia e Perù.

In 5 anni il governo Fujimori ha eliminato il 40% delle piantagioni. Il boliviano Hugo Banzer, presidente dal 1997, conta di eliminare la coltura della coca entro il suo mandato quinquennale.

Ospiti d'onore all'incontro di Washington sono gli stati sei esponenti dell'associazione andina dei coltivatori di coca (CAPHC). Il boliviano Evo Morales, che dirige i cocaleros del CAPHC non ha potuto partecipare perché non ha ottenuto il visto.

Dalle discussioni si è capito che qualcosa di grosso sta per colpire la regione andina, probabilmente una riedizione su scala globale dell'insurrezione dei produttori che si verificò nella Colombia meridionale tra il luglio e l'agosto del 1996. In tale occasione l'organizzazione narco-terrorista FARC indusse, armi alla mano, interi villaggi a ribellarsi contro le forze armate.

Héctor Orozco Orozco, il sindaco di Forencia, uno dei villaggi colpiti da quell'insurrezione, disse allora all'EIR: "Le marce avvenivano sotto il controllo dei guerriglieri e dei coltivatori di coca (...) erano state organizzate sei mesi prima. Per sei mesi sono andati casa per casa, nella regione di Caquetá, minacciando le persone, raccogliendo soldi, viveri, tutto". E quando cominciò l'insurrezione "le donne volevano andar via, piangevano, ma non le lasciarono andare; i contadini avevano marciato per 8, 10, 15 giorni (...) non erano marce, fu un rapimento collettivo di 25 mila persone".

La linea sostenuta dai sei del CAPHC è che bisogna combattere per impedire e contrastare ogni forma di distruzione delle colture che non sia "negoziata" con loro, ovviamente in nome del "controllo locale" e della "democrazia". Nessuno ha chiesto sussidi ed investimenti per sostituire le piantagioni di coca, incentivi allo sviluppo economico andino. Hanno chiesto soltanto di riconoscere al CAPHC il "potere" sulle aree che controlla, cioè che i cocaleros si sostituiscano allo stato.

Coletta Youngers, portavoce del WOLA di Soros, ha criticato la sessione speciale dell'ONU sulla droga che si concludeva quei giorni come "il raduno più esagitato del mondo per la guerra alla droga". Per l'8 giugno, giorno di apertura dei lavori dell'ONU, il centro Lindesmith di Soros ha pubblicato una pagina piena di firme dei fautori della droga libera sul New York Times.

Originariamente l'incontro era stato indetto per rendere pubblico, alla vigilia dei lavori dell'ONU, un rapporto in cui si screditasse "Interdizione dei ponti aerei andini", il programma congiunto USA-Perù che sta riuscendo egregiamente ad impedire che tra i paesi andini la mafia della droga possa impunemente trasferire i carichi di droga. Il successo dimostra che è possibile arginare il dilagare dei traffici illeciti e pertanto viene a crollare il dogma secondo cui "la guerra fallisce sempre" che è l'assioma su cui si regge tutta l'impalcatura ideologica della liberizzazione delle droga. Dato questo successo, e l'incapacità di trovare in sei mesi una linea di critica o di diffamazione credibile, l'incontro è stato ridefinito in chiave insurrezionale.