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La speculazione sul petrolio

6 agosto – Lo sceicco Ahmed Zaki Yamani, che fu ministro del petrolio dell'Arabia Saudita all'epoca della crisi petrolifera del 1973, ha spiegato nel corso di una intervista alla CNN il 5 agosto che l'attuale impennata dei prezzi del petrolio è dovuta alla speculazione degli hedge funds.
Secondo Yamani gli hedge funds vedono nei mercati del petrolio l'opportunità migliore di fare grossi profitti subito. Le conseguenze, molto negative, sono pagate dall'economia mondiale. Yamani ha anche detto che l'OPEC e i sauditi sono decisi a ridurre i prezzi e ad aumentare la produzione, ma occorre tener conto che ci sono "fattori politici" che alimentano "il panico che gli speculatori sanno sfruttare..."
Tra i "fattori politici" ha menzionato la vicenda della Yukos oil, come la più evidente, che ha spinto il dollaro olte la barriera dei 44 dollari al barile.
La tesi della "manipolazione del panico" di Yamani è sostenuta dal fatto che il petrolio della Yukos è meno del 2% del totale mondiale. Sul consumo totale di petrolio degli USA, le importazioni dalla Russia e dal CIS incidono meno dell'1,8%. Ma c'è chi ha interesse a diffondere la linea, come fa l'Observer di Londra, che "Le tasse della Yukos saranno un fardello per tutti noi?". In quell'articolo del 1 agosto il quotiano londinese riferiva anche l'"opinione" di lord Browne, presidente della BP, secondo il quale i prezzi del petrolio rimarranno elevati, per motivi diversi dalla vicenda della Yukos.
Sul tema della speculazione petrolifera la newsletter «Strategic Alert dell'EIR» ha pubblicato questo breve articolo nell'edizione del 10 giugno 2004.

Il petrolio vero e il "petrolio di carta"
Il 1 giugno il prezzo del petrolio più pregiato, il light crude, ha raggiunto i 42,38 dollari il barile sul mercato a termine di New York (NIMEX). Il Brent ha raggiunto lo stesso giorno i 39,12, il massimo in 13 anni. Come lo Strategic Alert ha spiegato in precedenza, la tendenza al rialzo dei prezzi petroliferi nel contesto di alti e bassi vertiginosi dei mercati non è dovuta ai meccanismi di domanda ed offerta, ma alla speculazione che imperversa sui mercati a termine che sono il NIMEX e l'International Petroleum Exchange di Londra (IPE).
Questi mercati non trattano petrolio reale, ma solo "petrolio di carta". Nel 99,9% di tutti i contratti a termine stipulati al NIMEX, nessuna delle due controparti consegna o riceve petrolio reale. Queste transazioni, però, influiscono enormemente sull'andamento dei mercati.
La IPE ha reso noto da poco che i contratti derivati sul Brent Crude quest'anno hanno raggiunto un volume che non ha precedenti: il 14 maggio i contratti derivati aperti riguardavano un volume di 3375 milioni di barili. Questo equivale a cinque volte il totale dell'estrazione petrolifera giornaliera mondiale. Per l'IPE sono disponibili solo le cifre del 12 febbraio, da cui risulta che i future sul brent crude avevano raggiunto i 179 milioni di barili, più del doppio del totale mondiale.
Un aspetto curioso della questione è che mentre il "brent di carta" raggiunge volumi sempre maggiori, le consegne effettive di brent reale sono in netta diminuzione. All'inizio degli anni Novanta, la produzione giornaliera di brent ammontava a 700 mila barili al giorno, ma nel 2003 era scesa a 327 mila. Se presumiamo che il brent oggi effettivamente estratto sia di circa 300 mila barili al giorno, il "brent di carta" annunciato il 14 maggio supera quello realmente prodotto di 1250 volte.
Sebbene il vero Brent rappresenti meno dello 0,4% della produzione mondiale, il suo prezzo determina quello del 60% di tutta la produzione petrolifera mondiale. Si tratta di una di quelle situazioni tipiche in cui un'oligarchia finanziaria ha le redini in mano per controllare e manipolare i prezzi energetici.

Fissare i prezzi del petrolio
Il 27 maggio Lyndon LaRouche ha proposto di fissare il prezzo del petrolio intorno ai 25 dollari il barile, per incastrare gli speculatori che spingono il prezzo sopra la soglia dei 40 dollari. Lo statista americano ha ribadito che prezzi tanto sfacciati non hanno nulla a che vedere con la domanda e l'offerta, ma sono semplicemente il risultato della speculazione in una situazione di sfascio finanziario del sistema.
LaRouche ha anche sottolineato la "componente strategica" nella febbre del petrolio. Il 28 maggio un esperto petrolifero italiano che è anche biografo del fondatore dell'ENI Enrico Mattei ha detto all'EIR che il governo degli Stati Uniti sta gonfiando le sue riserve strategiche in vista di un possibile crollo della regione mediorientale nel caos. Ha fatto notare che dagli 11-12 milioni di barili al giorno dell'anno scorso, gli USA sono passati ad importare oggi dai 14 ai 16 milioni di barili. L'esperto ha spiegato di ritenere davvero poco credibile la storia secondo cui tale aumento sia dovuto ad una fantomatica "ripresa" economica USA. Pare piuttosto che gran parte del petrolio in più importato finisca nei depositi strategici. A conferma di ciò ha anche citato una dichiarazione del rappresentante iraniano all'OPEC secondo cui dietro l'aumento dei prezzi non vi sono ragioni economiche ma solo ragioni "politiche".

Bush fa orecchie da mercante
Il termine "riserve strategiche" non è riferito ai giacimenti ancora non sfruttati del sottosuolo degli Stati Uniti, che potrebbero soddisfare l'attuale consumo per un periodo di decenni. Il termine riguarda piuttosto il petrolio acquistato, stoccato e tenuto pronto per l'uso immediato nel caso di emergenze.
Dopo i fatti dell'11 settembre 2001, l'amministrazione Bush decise di portare da 540 a 700 milioni di barile le riserve strategiche (SPR), e questo significa il massimo che può essere contenuto nelle apposite caverne sotterranee lungo la costa nel Golfo del Messico. Nel 2003 sono stati aggiunti alle SPR 40 milioni di barili, e nella prima parte del 2004 altri 20 milioni. Le SPR dovrebbero ammontare ora a 660 milioni di barili. A ciò vanno aggiunti gli stoccaggi commerciali. Nel gennaio 2004 queste riserve di magazzino avevano raggiunto il minimo in trent'anni, ma poi sono state gradualmente rimpiguate per raggiungere i 1,15 milioni di barili. Gli stoccaggi complessivi, riserve commerciali più SPR, ammontano a circa 180 giorni di importazioni. A ciò si aggiungano i ricchi giacimenti nel sottosuolo degli Stati Uniti.
A maggio, alcuni senatori democratici hanno chiesto al governo di sospendere gli acquisti per le SPR, in modo da frenare la corsa dei prezzi, ma l'amministrazione Bush ha fatto orecchi da mercante. L'on. Scott McClellan ha ricordato il 19 maggio che le riserve servono solo per le emergenze, come quella di un attacco agli USA, ma lo stesso giorno Bush ha caricato a testa bassa: "L'idea di svuotare le SPR esporrebbe gli USA al pericolo nella guerra al terrorismo." Ovviamente nessuno ha proposto di svuotare niente.