Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà

 

Due scenari per l'America di domani

Le presidenziali del 2 novembre, snodo cruciale: lo scoglio della guerra in Iraq e dell’alleanza euro-asiatica

di Paolo Raimondi

Siamo ormai a poche ore dal voto del 2 novembre. Mentre i sondaggi continuano ad arrivare a raffica, spesso contraddittori e fuorvianti, le campagne elettorali sono state fatte e non resta che aspettare il risultato finale. Proponiamo una sintetica valutazione politica e strategica delle due alternative.
Una riconferma di George Bush comporterebbe un’immediata recrudescenza in tutti i settori di politica interna e internazionale, degli aspetti più duri e pericolosi delle politiche dei neoconservatori che dominano l’attuale Amministrazione. Per l’Iraq, l’ordine sarà di aumentare subito la capacità di fuoco per imporre un pugno di ferro militare che dia l’illusione di una vittoria pressoché immediata. Nel contempo saranno resi più operativi i piani di allargamento delle crisi militari nella regione soprattutto nei confronti della Siria, dell’Iran e dell’Arabia Saudita, bersagli da tempo già definiti. L’esplosione peggiore potrebbe avvenire nel conflitto tra Israele e Palestinesi giacché i neoconservatori hanno sempre manifestato chiaramente le loro tendenze fondamentaliste religiose che li portano a simpatizzare e a sostenere le controparti più fondamentaliste in Israele. Questo porterebbe in tempi brevi ad un possibile ritorno al potere di Beniamin Netanyahu e al rinvigorimento delle politiche ispirate al sostenitore di Mussolini, Vladimir Jabotinski, del “muro di ferro” e di guerra con il mondo arabo. In altre parole avremmo un approfondimento e un allargamento del fronte di scontro di civiltà e di guerre preventive. Una nuova crisi petrolifera sarebbe ben vista da queste forze, che mancano di una concezione di economia reale, in quanto diventerebbe un’arma di ricatto, un guinzaglio corto per influire sulle altre economie industrializzate del mondo
L’Europa ritornerà ad essere uno dei bersagli preferiti dei neoconservatori di Washington. Gli ideologi di questa politica hanno, dalle prime pagine dei loro giornali come il “The Weekly Standard”, sempre identificato l’Unione Europea e quell’Europa del dialogo pacifico, in prima fila Francia e Germania, come il “nemico”. Mentre l’intervento militare diretto sarà concentrato nella regione mediorientale, il vero bersaglio geopolitico sarà l’alleanza eurasiatica di cooperazione che lentamente si sta formando con l’Europa, la Russia, l’Iran, l’India e la Cina, rinvigorendo le moderne Vie della Seta di grande sviluppo infrastrutturale. In politica interna si avrebbe un consolidamento del potere strategico nelle mani di Cheney e co. vogliosi di rivincita e di vendetta contro chi li ha messi sotto attacco. Avremmo un indurimento della “Homeland Security”, della politica di sicurezza interna con un giro di vite sui diritti civili. Sul fronte economico Bush diventerebbe inevitabilmente il nuovo Herbert Hoover, il presidente americano della Grande Depressione del 1929-32 con un’esplosione del debito, con crolli nei settori dell’economia reale e nell’occupazione e con politiche d’austerità contro la previdenza sociale. Recentemente il Wall Street Journal ha dato la linea di governo: aprire le porte ad un liberismo totale nel campo della sanità e delle pensioni con lo slogan “la salute non è un diritto ma un costo e una scelta personale, come un paio di scarpe.”
Bush e Cheney avrebbero in ogni modo tre grandi problemi da affrontare: una popolazione, anche repubblicana, stanca di bugie; un crac finanziario internazionale e nazionale non più differibile e una crescente resistenza in ampi settori militari e dell’intelligence tradizionali. Se vincesse John Kerry sarebbe una svolta epocale che potrebbe ribaltare la cosiddetta “rivoluzione conservatrice”. Lo scontro interno si farebbe molto, molto duro in quanto certi settori della grande finanza, come lo speculatore George Soros e il banchiere Felix Rohatyn della Lazard Freres, che hanno grande voce in capitolo nel partito democratico, si farebbero avanti per bloccare ogni vera iniziativa di cambiamento, come avevano già fatto scandalizzando e ingessando Bill Clinton in passato.
Kerry dovrà lanciare una campagna culturale di educazione e di mobilitazione per far riscoprire lo spirito e le radici della Rivoluzione Americana e della sua Costituzione e per ritrovare i veri principi di libertà e giustizia che hanno fatto grande l’America.
Kerry dovrà riprendere il lavoro di Franklin Delano Roosevelt, il presidente che portò la nazione fuori dalla Grande Depressione con una riforma del sistema finanziario nazionale e con la politica di grandi infrastrutture e di lavoro produttivo del New Deal. Su questo potrà contare su Bill Clinton che ha più volte indicato durante la sua presidenza una volontà in questa direzione, su dei ministri economici come Bob Rubin che conosce la gravità della crisi finanziaria globale e su economisti come Lyndon LaRouche, fautore a livello internazionale di una grande riforma del sistema economico e finanziario conosciuta come “Nuova Bretton Woods” per un nuovo ordine economico mondiale più giusto. Nelle ultime settimane di campagna elettorale Kerry è finalmente tornato ad ispirarsi a Roosevelt, soprattutto nella difesa del diritto alla previdenza sociale per tutti e a JF Kennedy nello spirito di frontiera per la ricerca scientifica e tecnologica e per le sfide future.
Kerry troverà la forza di lavorare per il bene comune solo riscoprendo e difendendo i diritti del “forgotten man” di Roosevelt, la maggioranza della popolazione americana impoverita dal liberismo selvaggio, dei 46 milioni di cittadini senza assistenza sociale, delle minoranze e dei giovani e naturalmente di quel vasto mondo repubblicano e conservatore che ancora si rifà alle idee del grande presidente repubblicano Abramo Lincoln.
Sul fronte strategico e internazionale Kerry vorrà trovare una soluzione pacifica al conflitto in Iraq e portare avanti un disimpegno militare che non potrà essere immediato per non scontrarsi con quei militari che, pur non condividendo le pazzie utopiche dei Wolfowitz, non possono né vogliono presentare al mondo un’America sconfitta. Kerry svilupperà una strategia di disimpegno coinvolgendo veramente l’ONU e l’Europa ma soprattutto coinvolgendo alcune nazioni della regione come l’Egitto, la Turchia, la Siria e l’Iran che dovranno avere un ruolo di stabilità e di aiuto per permettere alle forze nazionali irachene di trovare una via di pacificazione e di sviluppo. Dovrà presentare non solamente un piano di stabilità politica ma anche e soprattutto un progetto di cooperazione economica dell’interna regione, dentro il quale potrà trovare anche una soluzione il conflitto israeliano-palestinese. In questo progetto di nuovo dialogo l’Europa e l’Italia saranno chiamate a svolgere un ruolo di primo piano.


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