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Un'iniziativa istituzionale contro Rumsfeld

La ribellione che serpeggia nelle istituzioni USA contro l'amministrazione Bush è evidenziata dalla decisione di due ufficiali in congedo di aderire alla querela, sporta il 1 marzo 2005, da due organizzazioni – American Civil Liberties Union (ACLU) e Human Rights First – contro il Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld. L'azione legale è stata intrapresa a favore di otto ex prigionieri, quattro afghani e quattro iracheni, che sono stati torturati dai soldati americani.
E' importante notare che, al di fuori dell'EIR, nessun mezzo d'informazione ha riferito che tra i promotori dell'azione legale ci sono due ufficiali, ex avvocati in divisa, e la procedura è stata semplicemente presentata come una "iniziativa della sinistra".
I crimini gravissimi contestati, vere e proprie torture, risalgono al periodo 2003 e 2004, ovvero dopo che a Rumsfeld e ai vertici militari americani furono consegnati rapporti e denunce sugli abusi perpetrati nelle prigioni americane. Il più famoso di questi rapporti riguardava gli abusi a Guantanamo e fu consegnato a Rumsfeld dal personale della FBI nel dicembre 2002. Le 77 pagine della querela pongono in rilievo dettagliatamente la catena di comando attraverso cui Rumsfeld ha diretto e controllato la politica della tortura, che in molti casi ha affidato al suo vice Stephen Cambone e, sotto di lui, al gen. Geoffrey Miller, il comandante di Guantanamo poi spedito in Iraq nell'autunno 2003 affinché introducesse gli stessi metodi di abuso dei prigionieri. La querela riferisce inoltre che Miller impartiva ordini e direttive al comandante in capo in Iraq, gen. Ricardo Sanchez, e ai due comandanti di Abu Grahib, gen. James Karpinksi e col. Thomas Pappas.
I portavoce dell'ACLU hanno voluto sottolineare che l'azione non è rivolta contro il Dipartimento della Difesa o contro le truppe in Iraq o in Afghanistan, ma chiama in causa esclusivamente il vertice della struttura di comando che è responsabile della condotta delle truppe che ha agli ordini.
I due ex avvocati in divisa sono il contrammiraglio John D. Hutson, ex giudice difensore della Marina, e il generale James Cullen, ex giudice capo della Corte d'appello militare dell'esercito. Tra gli altri iniziatori dell'azione legale c'è anche Bill Lann Lee, direttore della Divisione diritti civili del Dipartimento di Giustizia dell'amministrazione Clinton.
Hutson spiega, in una dichiarazione scritta, che attraverso la catena di comando non transitano soltanto ordini, ma tutto un atteggiamento o predisposizione: "Nel trattamento dei prigionieri, l'atteggiamento del vertice era quello di considerarli tutti terroristi, spregevoli e fuorilegge, che possono quindi essere trattati in maniera disumana. ... Andava bene perdere l'anima pur di ottenere le informazioni, a prescindere dalla loro attendibilità". "Quest'atteggiamento si è diffuso a macchia d'olio nell'intera struttura di comando, e di conseguenza c'è stato Abu Ghraib e le sue sequele. ... La nostra reputazione ne esce macchiata per generazioni e alla fine le mancanze e le malefatte di Rumsfeld costituiscono un rischio per la guerra e per le truppe".

Il gen. Cullen ritiene Rumsfeld responsabile

Rispondendo al corrispondente dell'EIR, il gen. James Cullen ha così motivato la sua partecipazione all'iniziativa legale: "La decisione di iniziare l'azione contro Mr. Rumsfeld è stata presa a motivo di un profondo senso di frustrazione. La sua politica mina i principi di fondo dei valori e dell'addestramento dei militari; essa liquida decenni di esperienza militare nel trattamento e interrogatorio dei prigionieri ed inoltre ci ha fatto ignorare le regole della Convenzione di Ginevra ... Le tecniche autorizzate da Mr. Rumsfeld hanno portato alle gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra. Ma queste convenzioni hanno protetto i militari americani nelle guerre convenzionali e nella guerriglia. Giustamente le abbiamo invocate persino quando i nostri avversari erano guerriglieri di un governo non in carica. La leadership miope ed arrogante di Rumsfeld ha messo in forse queste difese su cui hanno fatto conto i nostri soldati caduti prigionieri e i civili capitati nelle zone di guerra.
"Abbiamo richiesto la costituzione di una commissione indipendente, al di fuori del Dipartimento della Difesa, che indagasse sulle torture, sui trattamenti disumani e su altri abusi nei centri sotto il controllo di Mr. Rumsfeld. Le similarità degli abusi sono tante e tali da eliminare il dubbio della semplice coincidenza.
"Non c'è stata nessuna iniziativa per fare luce indipendentemente, cioè al di fuori del controllo di Rumsfeld, su tali abusi. Azioni legali precedenti hanno portato alla luce i promemoria di Rumsfeld che autorizzavano tecniche di interrogatorio precedentemente vietate. Lui ha negato il rispetto di alcuni diritti essenziali dei prigionieri fino a quando la Corte Suprema non ha riconosciuto che le sue concezioni di potere esecutivo, nella fattispecie quella della detenzione a tempo indeterminato, rappresentano una violazione dei principi fondamentali della Costituzione."
"Un leader non può semplicemente dire 'non sapevo del crimine' o 'non l'ho ordinato personalmente' ... Un leader è chiaramente responsabile delle misure che debbono essere prese per impedire violazioni gravi della legge internazionale..." Cullen spiega poi che il generale giapponese Yamashita fu condannato all'impiccaggione anche se non fu possibile stabilire se gli ordini delle atrocità commesse dalle sue truppe provenissero da lui, ma "il tribunale concluse che lui non aveva preso le misure necessarie per impedire che le sue truppe non violassero tanto gravemente la legge internazionale". "La Commissione d'inchiesta ribadì questa lezione dopo il massacro di My Lai", compiuto dai soldati americani in Vietnam nel 1968. "Tra le lezioni apprese in questo caso c'era quella del clima dovuto alla politica del segretario alla Difesa Robert McNamara, di misurare il successo della guerra col conteggio dei cadaveri", quando alla televisione si ripeteva ogni sera che erano morti "x" (molti) vietcong e "y" (pochi) americani. "Questa sindrome del 'body count', che concentrò l'attenzione sul 'successo' quantitativo, ebbe un ruolo significativo nelle circostanze che condussero a My Lai." "Siamo convinti che l'onore dei militari stia correndo un rischio e ci sentiamo obbligati nei loro confronti a iniziare questa procedura affinché essi possano servire la patria onorevolmente."


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