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Non c’è nessuna penuria di petrolio. I rincari sono dovuti ai “barili di petrolio di carta”

EIR, 13 settembre 2005 – Prima che l’uragano Katrina colpisse, le imprese petrolifere avevano completato l’evacuazione dei 30 mila addetti delle piattaforme off-shore ed avevano preso le misure necessarie alla salvaguardia di tali strutture. Il 6 settembre quasi la metà della capacità estrattiva del golfo era già stata ripristinata.
Il 2 settembre, le 26 nazioni che compongono l’International Energy Agency (IEA) hanno concordato di mettere a disposizione degli Stati Uniti 2 milioni di barili di petrolio al giorno. Dall’Europa i carburanti sono arrivati negli USA la settimana successiva. Inoltre, sotto la coordinazione dell’IEA, dalle riserve USA si sta erogando un milione di barili di petrolio al giorno.
Dopo la tragedia gli USA nuotano quindi nel petrolio e il sen. Byron Dorgan ha presentato il 7 settembre una proposta di legge per una tassa straordinaria sul rialzo ingiustificato dei prezzi, giacché, secondo le sue stime, le compagnie petrolifere intascano mensilmente almeno 7 miliardi di profitti in più rispetto a 18 mesi fa. Compagnie come la Mobil acquistano greggio del Golfo Persico con contratti a prezzo fisso: 15 dollari il barile!
Esperti mediorientali che operano a Washington sono convinti che l’amministrazione Bush e le grandi multinazionali contino di sfruttare la catastrofe Katrina per intascare profitti enormi sul petrolio. Anche secondo questi esperti non c’è nessuna penuria, piuttosto, nei giorni che hanno preceduto Katrina, sul mercato c’era fin troppo petrolio. Altrettanto infondata sarebbe la voce secondo cui i problemi sono dovuti ad una scarsa capacità di raffinazione. E’ invece vero che Arabia Saudita e Kuwait dispongono di stoccaggi colossali di prodotti di raffinazione con i quali riuscirebbero facilmente ad abbassare decisamente i prezzi petroliferi. Ma l’amministrazione Bush ha categoricamente respinto l’offerta di sauditi e kuwaitiani di inviare in America petroliere cariche di carburanti raffinati o di aumentare la quantità giornaliera di greggio raffinato per stabilizzare e ridurre i prezzi.
Queste valutazioni degli esperti consultati in merito agli stoccaggi mediorientali e la possibilità di usarli per ridurre i prezzi petroliferi sono state poi confermate all’EIR da fonti del Dipartimento dell’Energia USA.
Il cartello dei petrolieri invece conta di sfruttare la situazione per portare il prezzo del greggio al di sopra dei 70 dollari. Le multinazionali controllano i diversi settori dell’industria petrolifera: (1) l’estrazione interna degli USA (a prescindere dall’import); (2) le raffinerie; (3) la distribuzione; (4) i mercati dei derivati sul petrolio, a livello internazionale. Il profitto che estraggono da un barile di petrolio si può stimare intorno ai 40 dollari!
Le cinque principali compagnie sono: BP, Chevron-Texaco, ConocoPhilips, ExxonMobil, Royal Dutch Shell. Insieme esse controllano il 47,7% della produzione interna USA, il 47,5% della raffinazione e il 61,8 della distribuzione. Il controllo che queste compagnie esercitano sul mercato USA dal 2001 avrebbe fruttato loro 175 miliardi di dollari di profitti.
Questo stesso cartello petrolifero controlla le due istituzioni che determinano i prezzi petroliferi: la International Petroleum Exchange (IPE) di Londra e il New York Mercatile Exchange (NYMEX).
Le società che trattano derivati sul petrolio investono scommettendo sul rialzo dei prezzi (long positions) o compiono altre manovre rialziste sul mercato a termine, dove, come è noto, si determina il prezzo del greggio: in sostanza, se il volume delle operazioni rialziste sui future del petrolio raggiunge la “massa critica”, effettivamente i prezzi lieviteranno. Ed è proprio questa “massa critica” che le grandi società del settore sono sicure di controllare con la complicità delle grandi banche. Il grosso dei contratti petroliferi in Europa si basano sul prezzo del Brent determinato dall’IPE. Gli speculatori acquistano futures sull’IPE e sul NYMEX, dove ogni contratto è una scommessa su 1000 o più barili di petrolio. Sull’IPE si stipulano ogni anno 570 contratti derivati sul greggio Brent per ciascun barile di petrolio fisico reale prodotto nel mare del Nord, questi sono i famosi “barili di petrolio di carta”.
L’IPE, che fu creato nel 1980, è gestito da sir Robert Reid, Cavaliere dell’Impero Britannico ed ex funzionario della Royal Dutch Shell. Nel CdA di IPE figurano lord Fraser of Carmyllie, e i rappresentati di Goldman Sachs, Morgan Stanley, BNP Paribas, Credit Lyonnais e della Total. Nelle holding che controlla la IPE c’è Richard Sandor del Chicago Board of Trade e Jean Marc Fornieri che in passato fu partner della Demachy Worms & Cie., la storica Banca Worms dei sinarchisti. A trattare il grosso dei derivati petroliferi alla IPE sono la Barclay Capital, la Bear Sterns International, la J.P Morgan Securities, la Deutsche Futures London, BP Oil International, Shell International Trading, e pochi altri elementi del cartello oligarchico mondiale. Alla NYMEX dominano gli stessi potentati.
Nei due anni che hanno preceduto il disastro Katrina gli speculatori hanno imposto negli USA un rialzo della benzina dell’83% e il raddoppio del greggio. Ma adesso contano di rastrellare ancora più liquidità, tutta quella che ritengono necessaria per sostenere il sistema finanziario in bancarotta.


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