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La minaccia contro la Siria è la “exit strategy” di Bush dall'Iraq?

1 ottobre 2005 (EIRNA) – La minaccia contro la Siria è la “exit strategy” di Bush dall'Iraq? Questo è l'interrogativo sollevato da Lyndon LaRouche nell'analizzare la situazione mediorientale. In primo luogo elementi molto ben informati negli USA confermano che la “giunta” di Cheney alla Casa Bianca esige che si proceda con attacchi militari limitati contro i villaggi siriani lungo il confine con l'Iraq, o con interventi dei commandos delle Forze Speciali lungo il confine oppure con bombardamenti aerei. Questo viene presentato come risultato delle pressioni continue dei neo-conservatori che vogliono il “cambio di regime” a Damasco e della frustrazione crescente degli alti ufficiali americani in Iraq alle prese con insurrezioni sempre più forti e carenze croniche di truppe per garantire il confine siro-iracheno.
In secondo luogo il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld ha fatto una scenata psicotica al Pentagono, il 28 settembre, dopo che il comandante in Iraq gen. George Casey aveva detto al Congresso che i battaglioni iracheni pronti per il combattimento non sono tre come si diceva ma uno solo. Rumsfeld ha cercato di costringere Casey a ritrattare e poi si è esibito di persona a spiegare che tutto va a gonfie vele.
Terzo, fonti militari inglesi e americane ritengono ormai che gli USA in Iraq vadano incontro ad una sconfitta, sia politica che militare. Per questo motivo gli USA possono già trovarsi nella necessità di “aprirsi un varco sparando per allontanarsi dall'Iraq”.
Secondo fonti militari USA l'unica via d'uscita sicura dall'Iraq passa per il Kuwait. La rotta ad Ovest, verso la Giordania, non è sicura. Intervistato dal Sunday Telegraph del 2 ottobre, lo storico militare inglese col. Tim Collins sostiene che le forze inglesi siano state sconfitte in maniera decisiva nel sud dell'Iraq e che presto potrebbero essere costrette a lasciare il paese. Secondo Collins, “l'incompetenza e la mancanza di un indirizzo” della leadership politica inglese hanno creato una situazione in cui “c'è il pericolo di subire una sconfitta sul campo. Poremmo essere sopraffatti. L'esercito potrebbe essere respinto oltre il confine, in Iran”. A proposito dell'entità di una tale umiliazione, Collins ha detto che “sarebbe storica”.
Le valutazioni di Collins sono in sintonia con quelle di fonti militari americane altrettanto autorevoli, secondo cui “gli inglesi ci hanno deluso nel sud, ed hanno abbandonato Bassora in blocco”. Il fallimento inglese nella pacificazione del sud sciita in Iraq rende ancora più precarie le condizioni degli Stati Uniti. Sempre secondo le stesse fonti, le unità militari e di polizia addestrate dagli USA non sono fedeli all'attuale governo che mostra già segni di disintegrazione. Si tratta quasi esclusivamente di esponenti dei milizie curde e sciite che restano fedeli alle proprie fazioni e signori della guerra.
In questo contesto LaRouche pone un quesito: il fatto che l'amministrazione Bush improvvisamente si mette a parlare di un attacco militare contro la Siria è parte di una “exit strategy” disperata?

I parlamentari USA che vogliono il ritiro dall'Iraq

Mentre la spirale di violenze che scuote l'Iraq ha raggiunto livelli senza precedenti, a Washington si levano voci sempre più insistenti affinché si definisca un piano per il ritiro delle truppe americane. Parlando alle audizioni sull'Iraq della Commissione difesa del Senato, il 29 settembre, il comandante delle operazioni in Iraq gen. George Casey ha spiegato di ritenere che la nuova costituzione sulla quale si voterà in Iraq il 15 ottobre potrebbe avere un effetto ancor più divisivo giacché si può prevedere che molti sunniti la respingeranno. In risposta ad una domanda del sen. Mc Cain, Casey ha spiegato che c'è un solo battaglione dell'esercito iracheno in buono stato. Tre mesi fa il Pentagono aveva asserito che ce n'erano tre. La sen. Susan Collins ha commentato che questo fatto riduce notevolmente la fiducia del pubblico sull'efficacia dell'intervento americano.
Il sen. Carl Levin ha parlato della necessità di arrivare a definire una tabella di marcia per il ritiro delle truppe se entro la fine dell'anno gli iracheni non raggiungono una soluzione politica (accettare cioè la costituzione proposta).
In un discorso all'Hudson Institute il 30 settembre, il generale in congedo William Odom ha duramente criticato la condotta della guerra: “Credo che l'invasione dell'Iraq sia stato il più grande disastro strategico della storia degli Stati Uniti”, ed ha aggiunto che non c'è alternativa ad un disimpegno tempestivo.
Il fermento cresce tra le file repubblicane, tanto che l'on. Walter Jones, promotore di una prima risoluzione che chiede il ritiro, ha detto che sono almeno 7-8 i colleghi repubblicani che hanno chiesto copia della sua mozione. Lo stesso parlamentare ha diffuso anche una vecchia dichiarazione del 1999 di George Bush, allora governatore del Texas, che criticava Clinton perché l'occupazione della NATO in Kosovo era una missione senza chiari obiettivi e senza una exit strategy. Nella documentazione ha inoltre allegato l'intervista di Colin Powell a Barbara Walters in cui l'ex segretario di Stato riconosce che il discorso all'ONU del febbraio 2003, decisivo per la guerra, fu basato su informazioni d'intelligence non attendibili.
La risoluzione ha intanto raccolto sei firmatari oltre allo stesso Jones, tra cui quattro repubblicani.


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