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"Il più grande disastro strategico della storia USA"

10 ottobre 2005 (EIRNA) – Il colonnello in congedo Tim Collins è un noto e rispettato ufficiale britannico, noto anche per un discorso che tenne nel marzo 2003 alla vigilia della guerra, che fu descritto dai mezzi d'informazione inglese come "uno dei più grandi della storia militare britannica". Oggi Collins lancia l'allarme più chiaro e forte levatosi tra i militari per la situazione disastrosa determinatasi in Iraq.
Il col. Collins ha deprecato l'"incompetenza e mancanza di una direzione" da parte della leadership politica nella situazione in Iraq, che ha determinato una situazione in cui "c'è il pericolo di una nostra sconfitta sul campo. Rischiamo di essere sopraffatti. L'esercito inglese potrebbe essere ricacciato oltre il confine iraniano". Gli è stato chiesto che cosa pensasse di una umiliazione del genere per l'Inghilterra ed ha risposto che si tratterebbe di una umiliazione "storica". Parlando alla televisione, Collins ha chiesto al Primo ministro Tony Blair di fare harakiri.
Malcom Rifkind, esponente di spicco dei conservatori inglesi ed ex ministro degli Esteri, ha detto al congresso di partito: "Ritengo che l'esperimento di Bush di portare la democrazia nel Medio Oriente, visto nelle sue conseguenze a breve e medio termine, è stato quello di trasformare il grande problema dell'Iraq in un'enorme crisi. E' il maggior disastro di politica estera dall'epoca di Suez". Il riferimento è alla crisi del Canale di Suez del 1956 quando Inghilterra, Francia e Israele aggredirono l'Egitto ma furono costretti alla ritirata dal presidente americano Dwight D. Eisenhower.
Negli USA l'EIR ha raccolto informazioni direttamente da ufficiali appena rientrati dall'Iraq, secondo i quali la situazione "è peggio del Vietnam o della guerra d'Algeria dei francesi". Hanno fatto notare che le due principali vie d'uscita, l'una verso la Giordania e l'altra verso il Kuwait, stanno per finire in mano dagli insorti iracheni. Resta solo da chiedersi, ha spiegato un ufficiale delle Forze Speciali, se gli USA ce la faranno ad uscire dall'Iraq indisturbati oppure se debbono aprirsi un varco sparando. Sulla costituzione irachena su cui si vota questa settimana, un ufficiale dell'esercito USA specialista dell'Iraq ha spiegato all'EIR che la formula è troppo divisiva e penalizza gravemente i sunniti, per cui alimenta soltanto la guerra civile.
Il 3 ottobre il generale in congedo William Odom, ex capo della National Security Agency, ha scritto un articolo intitolato "Che c'è di male nel fare le valige in fretta e furia?". Odom scrive: "Se fossi un giornalista farei la lista dei motivi che vengono addotti contro un ritiro delle truppe USA dall'Iraq e poi chiederi: non è comunque già così? Una ritirata peggiorerebbe davvero la situazione? Forse la migliorerebbe". Odom smonta quindi tutti i motivi per cui gli USA dovrebbero restare in Iraq dove la guerra civile c'è comunque. "Gli iracheni stanno già combattendo gli iracheni. Gli insorti hanno ucciso più iracheni degli americani. Questa è la guerra civile. E noi l'abbiamo creata quando abbiamo invaso. Adesso non impediamo la guerra civile restando lì... per coloro che davvero si preoccupano per la destabilizzazione della regione la cosa migliore da fare non è restare in Iraq, ma effettuare una rapida ritirata, ricostruire dei buoni rapporti con i nostri alleati in Europa, dimostrare la fiducia verso il Consiglio di Sicurezza dell'ONU e cercare di cucire insieme una vasta coalizione che comprenda i grandi stati europei, Giappone, Corea del Sud, Cina e India a sostegno di una strategia di stabilizzazione dell'area che va dal Mediterraneo orientale all'Afghanistan al Pakistan. Fino a quando gli Stati Uniti non si ritireranno dall'Iraq e non ammetteranno l'errore strategico, una coalizione del genere non può essere costituita... Chi ha paura di lasciarsi dietro una situazione caotica non fa altro che peggiorare la situazione ..."

LaRouche: "Sbarazzarsi dell'attuale presidenza"
Intervistato da una stazione radiofonica della Florida, il 5 ottobre, Lyndon LaRouche ha parlato della situazione politica dopo l'incriminazione del capogruppo repubblicano Tom DeLay:
"Dobbiamo sbarazzarci dell'attuale presidenza. E dobbiamo anche fare pulizia nella Camera dei Rappresentanti, sgombrandola di tutto ciò che ha a che fare con DeLay. Si può infatti contare su di un gruppo bipartitico composto di repubblicani e democratici mentalmente sani. Lo abbiamo visto, in particolare dallo scorso 23 marzo, quando fu sconfitta la cosiddetta 'opzione nucleare' di Dick Cheney: c'è un'intesa possibile tra molti repubblicani e democratici, in Senato. Potrebbe essere così anche alla Camera, eliminando ciò che rappresenta DeLay al servizio di Cheney. Il quale sarà forse costretto ad andarsene.
"Ora occorre pensare alla guerra in Iraq, non nei termini in cui se ne sente parlare, ma in maniera molto più seria: stiamo ormai arrivando al punto in cui le truppe USA non possono più restare, rischiano di doversi aprire un varco sparando, come l'unico modo che resta loro per uscirne fuori. Le cose si stanno mettendo male, va tutto in frantumi.
"Se lasciamo che le cose rimangano davvero così, un'umiliazione del genere degli Sati Uniti metterebbe in moto una reazione a catena di conseguenze incalcolabili. Ma non possiamo tirarci fuori da quella situazione se prima non cacciamo Cheney dalla vice presidenza. E ritengo che questo sia possibile, perché finché Cheney resta, con noi non vorrà trattare più nessuno. Nessuno si fida più di noi, mentre occorre una buona dose di fiducia per poter ritirare le nostre truppe dall'Iraq. Non possiamo tenerle lì, occorre ritirarle perché la situazione si aggrava, ormai è una causa persa.
"L'evacuazione stessa delle truppe dall'Iraq comporta dei pericoli. C'è il gen. William Odom, un militare statunitense con una carriera di tutto rispetto, che lo ha spiegato bene pubblicamente. Poi c'è il colonnello inglese Tim Collins che ha affermato le stesse cose dalle pagine del Daily Telegraph. L'allarme che questi militari stanno lanciando - ed ho effettuato le dovute verifiche al proposito - è appropriato: stiamo per essere cacciati dall'Iraq - se siamo fortunati.
"Questo è il tema che determinerà la politica nel prossimo futuro. Se riusciremo a cambiare politica, ripristineremo un indirizzo rooseveltiano, in una maniera che sarebbe ben accolta dai repubblicani seri. Si, perché lo sappiamo che non sono tutti matti come DeLay. ..."
Successivamente, rispondendo ad una domanda, LaRouche ha aggiunto:
"Con la questione di DeLay, nella Camera dei Rappresentanti è finito sotto gli occhi di tutti ciò che gente come DeLay e Gingrich hanno dietro di loro, e quando quelle cose finiscono alla luce del sole, nelle procedure penali e altrove, nella Camera dei Rappresentanti si verificherà un cambiamento improvviso. Con la questione irachena, con i suoi sviluppi molto rapidi e con il modo in cui la gente qui percepirà quella nuova realtà, si determinerà un clima nuovo nella Camera dei Rappresentanti, un clima favorevole ad un impeachment. Questo non significa che sul conto di Cheney si debba necessariamente aprire una procedura formale di impeachment, ma forse basterà che qualcuno che conta, probabilmente l'ex presidente Bush senior, vada da Cheney per dirgli: 'Il presidente desidera le sue dimissioni', e Cheney se ne andrà come se ne andò Nixon."
"E' la cosa migliore che ci può capitare ora".
L'intervistatore, Henry Raines, ha allora chiesto: "Che cosa potrebbe indurre l'ex presidente Bush senior a fare un passo del genere?"
LaRouche ha risposto: "Lui non è una delle menti più acute, però c'è di mezzo la famiglia, c'è il problema di come padre e figlio hanno funzionato. ... Bush senior contava su diversi consiglieri che avevano una certa competenza e ancora oggi continua ad vere rapporti questa stessa gente. Egli avrebbe voluto che suo figlio, una volta diventato presidente, prestasse ascolto a questi stessi suoi consiglieri. Il figlio invece non è stato nemmeno capace di dare ascolto a suo padre.
"Siamo ormai in una situazione quasi disperata. Se Cheney se ne va, con lui viene meno il sistema di controllo sul presidente Bush, il quale si renderà conto della sconfitta, sarà costretto a cambiare registro e di conseguenza finirà sotto l'influenza di suo padre, degli ambienti di suo padre, piuttosto che quelli che lo hanno controllato fin ora".

Il Senato sfida Cheney e approva la legge contro le torture
Il 6 ottobre 90 senatori, 46 dei quali repubblicani, hanno votato per confermare la legge che vieta la tortura e per definire un codice del trattamento dei prigionieri nella guerra al terrorismo. Con una maggioranza di 90 contro 9, il voto esclude la possibilità di un veto presidenziale che era stato minacciato personalmente dal vice presidente Dick Cheney, secondo il quale un esercizio dell'autorità del Congresso in questa materia avrebbe "interferito" con i poteri esercitati dal presidente nella condotta della guerra.
Il disegno di legge è stato presentato dal sen. McCain il quale ha letto una lettera dell'ex segretario di Stato ed ex presidente dei capi di stato maggiore riuniti Colin Powell che sottolineava come al Senato competa la responsabilità costituzionale di regolamentare il trattamento dei prigionieri di guerra. "Credo inoltre che il mondo noterà la posizione netta che l'America prende a proposito del comportamento futuro dei nostri soldati", ha scritto Powell, aggiungendo che un passo del genere avrà un effetto salutare "nella terribile crisi diplomatica creata da Abu Ghraib".
Tra i cofirmatari del disegno di legge figurano quattro repubblicani oltre allo stesso McCain. La proposta di McCain ha riscosso il sostegno di 25 alti ufficiali in congedo, espresso in una lettera rivolta a lui ed al presidente della Commissione Difesa John Warner. Tra gli ex alti ufficiali figurano il gen. Joseph Hoar, ex comandante del Comando Centrale e l'ex presidente dei Capi di stato maggiore riuniti John Shalikashvili. Insieme ad essi hanno firmato tre ex prigionieri della guerra del Vietnam.
La legge di McCain si articola in due punti: esige che tutti i militari rispettino il manuale che regola gli interrogatori e che gli USA respingano qualsiasi "trattamento crudele, disumano e degradante" (la formula della Convenzione di Ginevra).

Cheney dovrebbe leggere il discorso di addio di Nixon

Secondo Lyndon LaRouche per indurre Cheney a fare le valigie occorre una minaccia credibile, e cioè che egli non può più contare sul Congresso.
Quando l'8 agosto 1974 Nixon lasciò la presidenza, era ormai fin troppo chiaro che la guerra in Vietnam era un fiasco e che la decisione del 15 agosto 1971 di abolire il sistema di Bretton Woods stava spingendo il paese verso la depressione, per questo i repubblicani moderati del Congresso si unirono ai democratici nella manovra di impeachment. Allora Nixon disse: "... mi rendo chiaramente conto di non avere più una base politica abbastanza forte nel Congresso per tentare ancora di restare in carica."
"Dalle discussioni avute con parlamentari ed altre personalità ho dovuto concludere che a motivo delle questioni del Watergate non potrei godere del sostegno del Congresso, che ritengo necessario per sostenere decisioni difficili e attendere ai doveri di questo incarico nella maniera più consona agli interessi della nazione".
"Non sono mai stato un rinunciatario ... ma come presidente debbo mettere al primo posto gli interessi dell'America. L'America ha bisogno di un presidente e di un congresso a tempo pieno, particolarmente in un momento in cui affrontiamo problemi interni e all'estero.
"Continuare a battermi nei prossimi mesi per la mia difesa personale assorbirebbe completamente il tempo e l'attenzione del Presidente e del Congresso ... Pertanto rassegno le mie dimissioni, con effetto da mezzogiorno di domani".


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