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Un colpo decisivo contro Cheney

31 ottobre 2005 – Nell'apprendere l'incriminazione di Lewis Libby (vedi oltre), il fondatore dell'EIR Lyndon LaRouche ha affermato che "si tratta di un momento decisivo", punto di svolta di un processo a cui egli ed il suo movimento hanno contribuito direttamente, e che condurrà inesorabilmente all'uscita di scena del vice presidente USA. Il primo appello in cui LaRouche chiese le "dimissioni immediate" di Cheney risale al 22 settembre 2002. Ad esso hanno fatto seguito tre anni di campagne continue volte a smascherare e rovesciare il principale autore della guerra in Iraq e di tutta la strategia della guerra preventiva e guerra permanente.
"L'aspetto centrale del reato commesso nel rivelare l'identità dell'agente segreto della CIA Valerie Plame Wilson sta nella sua funzionalità a coprire le menzogne e le complicità instauratesi tra il vice presidente e altri, nello sforzo di creare un falso pretesto per giustificare la guerra in Iraq", ha detto LaRouche.
L'ufficio del vice presidente Cheney e i suoi collaboratori neo-cons sono impegnati dal 2001 ad ordire pretesti fraudolenti e a soffocare ogni opposizione alle loro menzogne. Mentre l'intera struttura neocon-imperiale attorno a Cheney comincia a crollare, l'obiettivo ora è quello di raccogliere i democratici e i repubblicani rispettabili attorno alla leadership di LaRouche, prima che l'inazione politica produca a nuovi disastri. Prendere iniziative bipartitiche significa non soltanto allontanare Cheney dal governo, ma preoccuparsi del problema più generale costituito dalla crisi da tracollo che interessa il sistema finanziario e l'economia mondiale.
Il 16 novembre LaRouche terrà una conferenza trasmessa su internet affrontando il tema "Il compito da assolvere nell'era post-Cheney".

Inizia l'era del dopo Cheney
Il 28 ottobre il gran giurì ha incriminato Lewis Libby, capo di gabinetto del vice presidente Dick Cheney. I cinque capi d'accusa riguardano il tentativo di insabbiare il fatto di aver appreso da Cheney e da John Bolton che Valerie Plame era un agente segreto della CIA e di averlo fatto rivelare alla stampa. Libby aveva in precedenza affermato di aver appreso il fatto dai giornalisti.
Nelle 22 pagine dell'incriminazione si spiega che dopo la pubblicazione di un articolo del New York Times del 6 maggio 2003, che contestava le "sedici parole" del discorso di Bush secondo cui Saddam Hussein stava cercando di ottenere uranio dall'Africa, riferendo che un ex ambasciatore (solo successivamente identificato come Joe Wilson) era stato incaricato di controllare l'informazione direttamente nel Niger, nel 2002 Libby si rivolse ad un sottosegretario di Stato (John Bolton) chiedendo ragguagli sul viaggio dell'ambasciatore. L'11 o 12 giugno Bolton disse a Libby che la moglie di Wilson lavorava alla CIA. Successivamente la stessa informazione fu ottenta da Libby dalla CIA e infine Dick Cheney disse a Libby che la moglie di Wilson lavorava alla Divisione Controproliferazione della CIA.
Il 23 giugno Libby incontrò Judith Miller, del New York Times, "e la informò che la moglie di Wilson lavorava presso un ufficio della CIA".
Il 6 luglio Robert Novak pubblicò un articolo in cui veniva rivelata l'identità della Plame e il giorno dopo Libby incontrò l'addetto stampa della Casa Bianca (Ari Fleischer) confermandogli la notizia. Il 12 luglio Libby parlò con Matt Cooper della rivista Time confermandogli che la moglie di Wilson era addentro alla decisione di mandare il marito in Africa. Lo stesso giorno Libby parlò di nuovo con Judith Miller del fatto che la Plame lavorava alla CIA.
Nelle deposizioni diverse, rilasciate alla FBI e al gran giurì, Libby non fece menzione delle discussioni avute con Cheney ed altri sul conto della Plame, ma sostenne il falso dicendo di aver saputo che la Plame lavorava alla CIA da una domanda rivoltagli da Tim Russert della NBC il 10 luglio. Disse di averlo sentito anche da altre voci ma di non sapere se fosse vero, e negò inoltre di aver parlato della Plame con Judith Miller.
Dall'incriminazione risulta che, prima di quel 10 luglio, Libby aveva trattato il tema della Plame almeno in sette colloqui. Ora Libby deve rispondere della accuse di ostruzione della giustizia e di aver dichiarato il falso sotto giuramento. Le pene massime previste sono 30 anni di reclusione e una multa di 1,25 milioni di dollari.

Libby è solo il primo

Nel dare l'annuncio dell'incriminazione, il magistrato che dirige l'inchiesta Patrick Fitzgerald ha reso noto che le indagini sul caso Plame continuano. Ha fatto notare che mentre Libby aveva in precedenza sostenuto di aver appreso della Plame dal giornalista Russert, ha poi dichiarato al gran giurì "di aver appreso dal vice presidente, all'inizio del giugno 2003, le informazioni sulla moglie di Wilson, ma di averle dimenticate, e quando gli sono poi state riferite da Russert ... le avrebbe accolte come una novità". Mentre in realtà Libby è stato "il primo funzionario a diffondere l'informazione al di fuori del governo, ad un giornalista. E poi ha mentito al proposito, sotto giuramento e più volte".
Fitzgerald ha affermato: "Non è finita qui".
Sebbene il gran giurì che ha incriminato Libby abbia esaurito il suo compito, ha detto Fitzgerald, "esso non concluderà l'inchiesta sino a quando non sarà in grado di dire a testa alta che abbiamo compiuto il nostro dovere". Ha aggiunto che "nelle lunghe inchieste è normale che si convochi un nuovo gran giurì se la sua autorità è necessaria".
Il corrispondente dell'EIR Bill Jones ha chiesto a Fitzgerald: "Se nel corso del processo emergeranno informazioni sul conto di altri responsabili di fughe di notizie ... o altri che hanno pubblicamente rivelato l'identità della Plame, il caso sarebbe di nuovo affidato a lei, visto che se ne è occupato in prima persona?"
Esortando a non eccedere nelle interpretazioni della sua risposta, Fitzgerald ha spiegato che "ogni nuova informazione che emerge mentre l'inchiesta è ancora aperta sarebbe analizzata dalla squadra dei nostri inquirenti". "Se dunque si presenta qualcosa che non sapevamo, che ha del merito, noi ce ne occuperemo", ha detto Fitzgerald.

Ritter mette in guardia dalla reazione di Cheney al gran giurì

In una intervista del 25 ottobre a Uruknet, intitolata "Ex ispettore USA per gli armamenti non esclude il terrorismo inscenato dal governo", Scott Ritter ha sostenuto che l'amministrazione Bush sta ormai cadendo in preda ad una disperazione simile a quella dell'amministrazione Nixon, all'epoca del Watergate, quando si giunse a considerare il ricorso all'arsenale nucleare americano per creare un diversivo al disastro sul fronte della politica interna.
"Non c'è niente che quest'amministrazione sia disposta a fare che potrebbe sorprendermi. In questo momento sono dei disperati. Se si studiano le fasi più drammatiche del Watergate, si vede come Nixon stesse considerando il ricorso alle armi nucleari contro i sovietici in Medio Oriente, follie del genere".


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