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Continuano le grandi manovre politiche in Israele


Il terremoto politico che sta avvenendo alla Casa Bianca a seguito delle inchieste sul Cheneygate ha avuto come effetto collaterale quello di creare una situazione di grande incertezza politica in Israele.

Dopo l'elezione di Amir Peretz a capo del Partito Laburista, abbiamo assistito alla contromossa, anche se già da tempo anticipata, della fuoriuscita del Primo Ministro Ariel Sharon dal Partito Likud, per dare corpo una sua propria formazione politica chiamata Kadima (Avanti).

Tale manovra di Arik (come viene chiamato Sharon) è volta in primo luogo a crearsi una nuova verginità, cercando di far passare un'immagine di sé di centrista e cercatore di una pace con i Palestinesi, allo scopo, poco nascosto, di restare capo del governo anche dopo le prossime elezioni. In secondo luogo Sharon cerca di smarcarsi dalla forte concorrenza che viene da Benjamin Netanyahu, attuale ministro delle Finanze, i cui provvedimenti di austerità feroce e tagli di bilancio hanno aggravato al situazione economica del Paese e sono stati aspramente criticati da Peretz.

L'ex leader del Partito Laburista, Shimon Peres, da parte sua non aveva nascosto la possibilità di un accordo con Sharon per una specie di Governo di unità nazionale, che, dietro una bandiera di moderazione portasse avanti l'attuale politica con continuità.

L'elezione di Amir Peretz a capo dei Laburisti deve aver rappresentato un imprevisto.

“Ora che Sharon se ne è andato”, ha commentato il noto storico militare israeliano Meir Pa'il alla rivista americana Executive Intelligence Review, “il Likud si sta disintegrando, rimarranno solo i fascisti”. Pa'il, membro del partito Meretz-Yahad, ha accolto positivamente l'elezione di Peretz, dicendo che ora sarà possibile discutere su “ciò che Israele deve fare per le prossime generazioni”, sottolineando che ciò che occorre è un ritiro dalla West Bank, e un trattato di pace con i Palestinesi.

“Con i resti del Likud in mano a gente come Netanyahu e Uzi Landau” ha continuato Mair Pa'il, “esso continuerà ad essere allo sbando…Questi sono ebrei fascisti, non dico nazisti, ma sono fascisti” ha concluso l'analista israeliano.

Nel frattempo, dopo il ritiro dalla striscia di Gaza, il governo di Sharon non ha fermato, lì e nella Cisgiordania, le vaste operazioni di rastrellamento e omicidi mirati, anzi intraprendendone di nuove.

Ad aggravare l'incertezza di questo quadro politico, ci sono anche gli scontri al confine col Libano con le milizie dell'Hezbollah, che, senza precedenti per intensità da quando Israele si è ritirato da quel paese cinque anni fa, il 21 novembre scorso hanno provocato la morte di quattro miliziani.

E' seguito un lancio di volantini da aerei su Beirut, in cui si accusavano la Siria e l'Iran di essere dietro l'Hezbollah e la sua presunta minaccia alla sicurezza di Israele.

Nel contesto delle minacce di attacco preventivo alla Siria e all'Iran da parte degli USA e di Israele, ciò fa temere che Sharon stia cercando l'incidente (come nel 2000) per scatenare una guerra prima delle elezioni e vedere riconfermata contemporaneamente la sua leadership.


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