ECONOMIA

Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà

ECONOMIA

 



[Solidarietà, anno IX n. 3, settembre 2001]


Alcune domande che attendono una risposta

Dalle consultazioni che l'EIR ha avuto con piloti professionisti ed esperti di sicurezza in merito agli episodi dell'11 settembre, nei primissimi giorni dopo quegli avvenimenti, sono emerse alcune domande che ancora non hanno ottenuto una risposta:

1) Come mai i preparativi di un'operazione tanto grande e sofisticata, a cui deve aver preso parte almeno un centinaio di persone, sono passati inosservati agli addetti dei servizi? Si tratta di un fallimento completo della struttura o anche tale fallimento è parte dell'operazione stessa?

2) Come hanno fatto i dirottatori a immobilizzare ben quattro equipaggi senza che nemmeno uno dei piloti riuscisse a battere quattro cifre nel risponditore del velivolo o dire qualcosa alla radio, informando così la Federal Aviation Agency (FAA)? O forse i piloti sedutisi al posto di guida erano sin dall'inizio i dirottatori? In tal caso dovevano conoscere alla perfezione le procedure, che sono precise e complicate, e specifiche per compagnia aerea.

Molti piloti hanno affermato che per effettuare una manovra del genere è sufficiente un addestramento minimo. Ma quante possibilità di riuscire alla perfezione avrebbero avuto dei dilettanti?

Il gen. Eiten Ben Eliahu, ex comandante dell'aviazione israeliana, si è detto convinto che i piloti erano americani e non stranieri.

3) Come mai tutte le procedure di emergenza hanno fallito? Secondo le procedure della FAA, nel momento in cui risulta che un aereo abbandona il proprio percorso di volo si cerca immediatamente di stabilire il contatto con i piloti. Nel caso non si ottenga risposta, scatta immediatamente l'allarme. In tal caso si procede a determinare se l'aereo è stato dirottato o è fuori controllo. Si tratta di procedure che sono standardizzate e regolarmente simulate, dato che il fattore tempo è cruciale. Nel caso di emergenze, specialmente di dirottamento, è previsto il collegamento con i militari. Un aereo intercettore richiede 15 minuti da quando scatta l'allarme per essere in volo.

E' stato riferito che i risponditori dell'aereo erano spenti. Questo di per sé doveva essere sufficiente a far scattare le procedure di emergenza. Anche a risponditore spento l'aereo è localizzabile dai radar, che consentono di individuarne la nuova rotta.

I voli 11 dell'American Airlines e 175 della United Airlines, quelli che sono stati dirottati su New York, sono decollati dall'aeroporto Logan di Boston alle 7,59 e alle 7,58. Il primo aereo si è schiantato sul WTC 46 minuti dopo e il secondo 66 minuti dopo. Ambedue hanno palesemente lasciato la rotta prestabilita, marcatamente il secondo. C'era tutto il tempo di intercettarli se fosse stato dato l'allarme secondo la procedura stabilita.

Ancor più sorprendente è stato il volo 77 della American Airlines che è decollato dal Dulles di Washington alla volta di Los Angeles. Ha volato nella direzione giusta per 40 minuti, per poi compiere un'inversione completa di rotta e tornare su Washington e schiantarsi sul Pentagono alle 9,40. Ha viaggiato per 40 minuti fuori dal controllo, ma non è stato intercettato.

La difesa dello spazio aereo interno degli USA e del Canada è affidata al North American Aerospace Defense (NORAD), il cui comando sostiene di non aver avuto il tempo per reagire. L'affermazione è molto dubbia, dato che la NORAD staziona alcuni velocissimi intercettori F-15 nella base della CIA a Langley, Virginia, vicinissima a Washington.

La questione della mancata reazione dei mezzi NORAD è stata posta al Senato il 13 settembre al gen. Richard Myers, capo di stato maggiore della Difesa, che ha dato risposte evasive.


[Solidarietà, anno IX n. 3, settembre 2001]

Qualche aspetto del fallimento dell'intelligence USA

Esperti europei e russi che hanno esaminato le vicende dell'11 settembre, hanno fatto notare che: 1) il fallimento dei servizi USA ha facilitato il successo dell'attacco terroristico, 2) negli Stati Uniti stessi doveva essere stata allestita una struttura di sostegno a lungo termine molto robusta, e 3) occorre indagare sugli ambienti della "milizia" USA.

I problemi di corruzione e di "cordate occulte di potere" sia nella FBI che nel ministero di Giustizia e negli aspetti "privatizzati" del Comando Operazioni Speciali nel ministero della Difesa, hanno complessivamente ridotto la capacità dell'intelligence USA di badare alla sicurezza nazionale al livello deprecabile tragicamente mostrato l'11 settembre. Questo rende l'attuale capacità di indagini sulle effettive strutture di comando e di logistica delle operazioni terroristiche fin troppo ridotta.

Per tutti gli anni Novanta, l'FBI ha limitato le indagini a "terroristi solitari" -- come McVeigh e Nichols per Oklahoma City -- o alla banda di Osama bin Laden, considerata come un fattore autonomo. Si tratta di un modus operandi che lascia ampio spazio di manovra a chi è intenzionato a costruire strutture terroristiche più realisticamente complesse e pericolose.

Il 13 settembre l'ex agente della CIA Milt Beardon, che negli anni Ottanta fu addestratore dei Mujaheddin in Afghanistan, ha spiegato alla CBS-TV che attorno a Bin Laden è stato creato "un mito" tale per cui egli sarebbe responsabile di tutto. Quando gli anglo-americani cominciarono a ridurre il sostegno ai Mujaheddin impegnati contro l'Armata Rossa, formazioni e strutture logistiche di quelle operazioni furono mantenute in piedi ma in forma coperta, dando vita al fenomeno degli "afgantsi". Molte formazioni sono rimaste attive, ma hanno issato "bandiera falsa".

Le basi principali vanno cercate negli USA. Dalle bombe al WTC del 1993 a quelle di Oklahoma City del 1995, alle bombe alle ambasciate USA in Kenya e Tanzania, fino all'orrendo episodio dello scorso 11 settembre, i responsabili accertati sono stati o cittadini americani, o immigrati con residenza permanente, e solo in rari casi cittadini stranieri, che però avevano solidi collegamenti negli USA e viaggiavano avanti e dietro.

Ad esempio, i sospetti piloti suicidi avrebbero seguito il corso di addestramento negli USA, in parte in basi militari, e avevano basi logistiche negli USA.

Nel maggio 2001 Lyndon LaRouche spiegò che la fretta di giustiziare McVeigh comportava un rischio per la sicurezza degli Stati Uniti. Occorreva infatti riconoscere che era impossibile che egli avesse compiuto l'attentato solo con un complice. Invece di accreditare la tesi del "bombarolo solitario" occorreva fare luce sugli ambienti della "milizia", a cui appartengono ex alti ufficiali e persone con preparazione specialistica nei settori di sicurezza. In tal modo sarebbero dovute venire alla luce complicità e strutture di comando e controllo. E' noto che tra i fanatici della "milizia" non è difficile trovare i pazzi disposti al suicidio ed è noto che negli ambienti dei fondamentalisti protestanti la simpatia per la "milizia" è molto diffusa.

Occorre poi anche indagare i collegamenti che intercorrono tra le reti terroristiche internazionali degli Afgantsi e il movimento della milizia. Il primo avvocato difensore di McVeigh documentò come il complice del suo cliente, Nichols, si fosse recato frequentemente nelle Filippine dove sono attivi gruppi della guerriglia islamica. Raccolse indizi di suoi abboccamenti con il gruppo di Al Sayyaf, che a sua volta aveva collegamenti con Ramzi Yousef, l'ultimo arrestato tra i sospettati per le bombe del WTC del 1993.


[Solidarietà, anno IX n. 3, settembre 2001]

Il sistema economico finanziario è andato in frantumi prima dell’11 settembre

Certi ambienti istituzionali diffondono l’idea secondo cui un fanatico nascosto nelle montagne afghane avrebbe innescato una crisi finanziaria, una recessione e forse anche una depressione. Dicono che adesso viene meno la fiducia del consumatore americano, cosa che comporta grandi rischi, compreso il crollo mondiale delle borse.

Si tratta di una distorsione dei fatti: la crisi era in piena fase di accelerazione già ad agosto e nella prima decade di settembre.

Tra l’aprile 2000 e l’aprile 2001 la capitalizzazione di borsa di imprese e famiglie USA è scesa dai 20,15 ai 14,88 miliardi di dollari. È una perdita del 26,2%, che corrisponde a più della metà del PIL americano. Ma la situazione è peggiorata ancora nel secondo e terzo trimestre dell’anno, e nell’ultima settimana d’agosto il sistema era fuori controllo: tra l’ultima settimana di agosto e la prima di settembre il Dow Jones ha perso 817 punti, ovvero l’8%.

Per i mercati europei l’agosto scorso è stato il mese peggiore dal “quasi-crack” dell’autunno 1998.

L’indice preliminare sulla disposizione del consumatore USA, in base ad uno studio su dati raccolti prima dell’11 settembre, mostra un caduta dal 91,5 di agosto all’83,6 a settembre, il valore più basso dal marzo 1993. Le proiezioni prevedono un nuovo ribasso fino a 77,2 punti.

In data 1 settembre 3,35 milioni di americani percepivano l’assegno di disoccupazione, un massimo rispetto all’agosto 1992.