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La piramide del debito delle private equities

Gli esperti finanziari consultati all'inizio dell'anno dall'EIR ritengono che attualmente la minaccia più acuta al sistema finanziario provenga dalla simbiosi tra le grandi banche e gli hedge funds o altre imprese che operano in private equities. Nel 2005 si è infatti registrata un'impennata impressionante dei prestiti delle grandi banche ai private equity funds.
Seconodo la società di analisi economiche Dealogic, i private equity funds hanno raccolto 128,4 miliardi di dollari di prestiti nel 2005 per finanziarie acquisizioni in Europa: un raddoppio netto rispetto all'anno precedente. Da un sondaggio che il Financial Times ha condotto tra i manager dei private equity funds, risulta che il 95% dei manager concorda sul fatto che l'ammontare del debito impiegato nel finanziamento delle acquisizioni “ha raggiunto proporzioni pericolose e insostenibili”. Jon Moulton, fondatore del fondo Alchemy Partners, avrebbe commentato: “Se dovesse instaurarsi una tendenza al ribasso nell'economia i fallimenti raggiungerebbero livelli spettacolari. L'indebitamento ha raggiunto livelli senza precedenti”. Circolano già aneddoti sulle difficoltà dei private equity funds a far fronte alle rate degli interessi.
Nel mondo dei derivati e degli hedge funds nel 2005 è stata introdotta una nuova tecnica speculativa, chiamata “Principle Protected Notes” (PPNs). Si tratta di contratti derivati, o scommesse, sull'andamento di gruppi di hedge funds. L'idea sarebbe quella di consentire ai “piccoli investitori” di partecipare al presunto boom dell'”industria” degli hedge funds, un privilegio di solito riservato esclusivamente agli investitori istituzionali o molto ricchi. I PPN sono dunque una sorta di “derivati sui derivati”, giacché gli hedge funds trattano prevalentemente derivati.
Il quotidiano elvetico Neue Zuericher Zeitung del 28 dicembre riferiva alcuni commenti che circolano nella comunità finanziaria, secondo cui i PPN sarebbero come Ouroboros, il mitico serpente che si morde la coda.

La bolla della borsa giapponese

Dopo cinque anni l'indice borsistico del Sol Levante, il Nikkei, è tornato sopra i 15 mila punti. Forbes e Wall Street Journal hanno raccomandato di investire in titoli ed immobili giapponesi. Hiroshi Okuta, presidente della confederazione degli imprenditori, è intervenuto facendo un altolà: “Sembra che in Giappone si sviluppi un clima da economia speculativa. Il Giappone nel suo complesso si sta trasformando in una nazione ossessionata dal denaro. Posso solo sperare che la situazione non degeneri in una seconda bolla economica”. La prima bolla a cui Okuta si riferisce è quella delle azioni e degli immobili che scoppiò all'inizio degli anni Novanta scuotendo l'economia del Sol Levante alle fondamenta. Il commento di Okuda è giunto in risposta alla domanda del primo ministro Koizumi, che gli aveva chiesto: “Ritiene la situazione economica preoccupante?”

La paura della bolla immobiliare

In un commento sulle prospettive del 2006, il Wall Street Journal del 3 gennaio spiegava che oltre il 40% dei 50 economisti consultati teme la prospettiva di un crac immobiliare. Il capo economista di Goldman Sachs Jan Hatzius ha calcolato a 887 miliardi i fondi che gli americani hanno estratto (cash-out-refinancing) dalla rivalutazione inflazionata delle abitazioni. Ha aggiunto di temere che nel 2006 si possa superare i 250 mila miliardi in cash-out-refinancing con gravi ripercussioni sull'economia. Si è però affrettato a rassicurare chi ci crede: “Non stiamo preparando un crac”.


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