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La banca del Giappone ridurrà drasticamente la liquidità

   
 

 

L’edizione del 10 marzo del Sueddeutsche Zeitung, uno dei tre quotidiani nazionali tedeschi, ha dedicato un ampio articolo all’insolvenza di Lion Advisors, un hedge fund di Monaco di Baviera. A sostegno della tesi della rischiosità di queste strutture finanziarie il quotidiano correda l'articolo con la foto di un cartello elettorale del Movimento Solidarietà tedesco: “Ciò che nessun al di fuori di noi ha il coraggio di dire: gli hedge funds implodono! Crolli da 40%! Siamo nel pieno della crisi sistemica delle banche! BüSo 2005”.

 

Il 9 marzo, in quello che è un primo passo per porre fine alla politica dei tassi zero, la Banca del Giappone ha deciso una drastica riduzione della liquidità che tiene a disposizione del mercato interbancario giapponese. Dalla primavera 2001 erano disponibili dai 30 ai 35 mila miliardi di yen, pari a circa 300 miliardi di dollari, mentre adesso è iniziata una manovra per ridurre questo volume dell'80%. Resteranno così 6 mila miliardi di yen, pari a circa 50 miliardi di dollari. Si tratta di una riduzione graduale per la quale occorreranno alcuni mesi in maniera da evitare grossi scossoni. La riduzione della liquidità disponibile dovrebbe spingere in alto i tassi di mercato, anche se la Banca del Giappone manterrà i suoi tassi a zero, almeno per il momento.

Quest'ultima decisione è un compromesso su cui hanno pesato le pressioni del governo del Sol Levante, che è pesantemente indebitato, e quelle della comunità finanziaria internazionale.

Mentre i tassi tenderanno ad aumentare e si contrarrà la liquidità delle banche centrali in Giappone, Europa e USA, si assottiglieranno rapidamente nel corso dell'anno i margini del “carry trade” (vedi qui).

I rendimenti dei titoli di stato e delle obbligazioni societarie sono già aumentati sui principali mercati mentre il volume delle emissioni di questi bonds sono aumentate in vista di nuovi aumenti dei tassi. Nelle ultime settimane il panico ha già determinato due tornate di svendite di azioni, obbligazioni e valute che hanno interessato quasi tutti i cosiddetti “mercati emergenti”. Il primo è stato provocato dal “crac islandese” di febbraio, ed occorre a questo punto rilevare che le ripercussioni internazionali della crisi islandese sono tutt'altro che finite. La seconda tornata si è verificata il 7 marzo, quando le azioni dei mercati emergenti hanno complessivamente subito la caduta più grave degli ultimi due anni. Quel giorno i mercati azionari di Russia, Turchia e dei paesi latinoamericani hanno perso dal 3 al 6 per cento, spingendo in alto i premi di rischio sui bond dei rispettivi governi. Le valute di Brasile, Turchia e Sud Africa hanno perso quota. La svendita è stata accompagnata da liquidazioni sui mercati delle commodities che hanno colpito in particolare rame, zinco e alluminio che avevano raggiunto prezzi record sotto la spinta speculativa degli hedge funds.

Pronta a scoppiare la bolla dei mercati emergenti

L'ultimo rapporto trimestrale della Banca per i Regolamenti Internazionale (BRI) sottolinea la situazione precaria in cui versano i titoli dei mercati emergenti che hanno registrato un forte apprezzamento sotto il “carry trade” internazionale degli ultimi anni, tanto che l'introduzione del rapporto è intitolato: “I mercati emergenti raggiungono massimi storici”.

La BRI nota: “Il prezzo degli assets nei mercati emergenti ha raggiunto massimi storici all'inizio dell'anno. Investitori stranieri hanno rastrellato azioni e obbligazioni dei mercati emergenti spingendo gli indici verso il margine superiore del loro ambito storico, in alcuni casi superandolo”. In aggiunta ai “già impressionanti aumenti del 2005”, obbligazioni, azioni e valute dei mercati emergenti “sono andati forte a gennaio e febbraio … Le azioni hanno registrato gli aumenti maggiori. Quasi tutti i mercati azionari emergenti hanno registrato nel 2005 aumenti a due cifre, guidati da Egitto, Colombia e Arabia Saudita, dove il prezzo delle azioni è più che raddoppiato”. Questa corsa agli acquisti “è stata alimentata soprattutto dall'afflusso di capitali stranieri”. Al tempo stesso i mercati emergenti hanno potuto vendere 231 miliardi di dollari di azioni sui mercati internazionali nel 2005, un massimo storico e il 52% in più dell'anno precedente. Queste obbligazioni hanno mediamente offerto quasi il 12%, secondo alcune stime private.

L'altro mercato ad alto rischio ed alto rendimento in cui si sono riversati enormi capitali nel 2005 è quello delle obbligazioni societarie, compresi i junk bond. “Negli ultimi mesi non è diminuita la rapidità delle fusioni e acquisizioni, comprese le acquisizioni ad alto tasso d'indebitamento (leveraged buyout - LBO). Le acquisizioni annunciate nel 2005 ammontano a 3,2 mila miliardi, circa il 30% in più rispetto al 2004 e il massimo dal 2000. La cosa più preoccupante per i credit investors [chi investe ricorrendo all'indebitamento - ndr], è che i LBO hanno raggiunto nel 2005 il livello massimo dall'epoca della frenesia delle acquisizioni alla fine degli anni Ottanta, una frenesia che contribuì subito dopo ad un drastico aumento delle insolvenze societarie. Inoltre, diversamente dagli anni Ottanta, il recente aumento delle LBO non si limita agli Stati Uniti. In effetti, più della metà dei contratti riguarda imprese al di fuori degli USA, soprattutto in Europa ma anche in Asia”, nota la BRI.


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