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Il crollo della “bolla di Greenspan”

Facendo riferimento ad una recente discussione privata dell'EIR con un analista finanziario europeo, Lyndon LaRouche ha commentato: “L'assommarsi di tempeste finanziarie internazionali collegate alla 'crisi islandese', derivanti dal cosiddetto carry trade, va considerato come il crollo della bolla di Greenspan, e dunque una conseguenza della politica introdotta nel 1987 dal presidente della Federal Reserve ora andato in pensione”.

E' un segno dei tempi: diversi esperti bancari finiscono ora per convergere sulla valutazione data nell'ultimo decennio da LaRouche sul ruolo ricoperto da Greenspan.

In una nota del 14 marzo LaRouche afferma: “Occorre ricordare che nella primavera del 1987 io misi in guardia dal rischio di un tracollo del mercato di Wall Street per l'ottobre successivo, cosa che poi si verificò esattamente come avevo previsto. Quella crisi dell'ottobre 1987 si verificò nel momento in cui volgeva al termine il mandato di Paul Volcker alla presidenza della Federal Reserve. Greenspan, allora nominato per subentrare a Volcker, intervenne in pratica così: 'Tenete duro, io ho una soluzione, ma non fate niente finché non sarò entrato in carica”. Il suo rimedio fu inondare i mercati finanziari con soldi fasulli come quelli del gioco del Monopoli, che furono chiamati 'derivati'. Questa è la bolla dei derivati che rappresentai con il diagramma delle tre curve, la bolla di Greenspan che ha ora raggiunto il punto in cui scoppia. Così la politica di Greenspan ha sostituito nel 1987 quella che era una riedizione del crac del 1929 con l'attuale rischio di un disastro iperinflazionistico pronto a travolgere l'intero sistema monetario e finanziario mondiale. …
“Doveva arrivare il momento in cui l'interazione tra l'aumento dell'emissione monetaria-fianziaria fittizia e una caduta sempre più grave dell'economia fisica avrebbe provocato una fase di stress per la bolla inflazionistica tale per cui questa non avrebbe potuto far altro che esplodere alla prima sollecitazione considerevole. Greenspan figurerà sugli annali come il più grande truffatore della storia, e questo forse a lui farà anche piacere. Ha barattato un semplice collasso alla Hoover per la gloria di una crisi che minaccia di far praticamente scomparire l'intero mondo finanziario. La conclusione più importante è che, a prescindere da ciò che si dica di Greenspan, questo fa capire qualcosa sullo stato mentale collettivo del governo americano e di altri governi nel periodo 1987-2006”.

“Rischi e vulnerabilità” nel sistema finanziario
I mezzi d'informazione finanziaria hanno per lo più deciso di non pubblicizzare troppo quanto è stato discusso alla conferenza del Financial Stability Forum (FSF), tenutasi a Sidney il 16 e 17 marzo, nella quale sono stati discussi “rischi e vulnerabilità” del sistema finanziario globale. Vi hanno preso parte i rappresentanti delle banche centrali, dei ministeri finanziari, degli enti di supervisione e delle istituzioni finanziarie internazionali. L'incontro è stato presieduto da Roger Ferguson, vice presidente della Federal Reserve.

Dal sito internet della BRI si apprende che alla conferenza “sono stati indicati diversi sviluppi che potrebbero provocare tensioni nel sistema finanziario. Questo comprende un aumento degli squilibri con l'estero, un forte indebitamento dei privati in alcuni paesi e bassi premi di rischio a riflettere un alto tasso di liquidità e la continua ricerca di rendimenti nei mercati. Sono stati discussi alcuni temi che destano preoccupazione, come le questioni attinenti alla gestione del rischio delle controparti, hedge funds, rischi operativi e sistemi di valutazione per strumenti finanziari complessi”. Quest'ultimo tema riguarda i derivati sul credito. A proposito dell'abbondante liquidità attualmente investita in titoli ad alto rischio, il comunicato della BRI mette in guardia da “un'improvvisa inversione negli appetiti del rischio, specialmente se accompagnati da un aumento inatteso del rendimento globale dei bonds o da un drastico aumento della volatilità del prezzo degli assets”.

Un'intera sessione dell'incontro FSF è stato dedicato all'influenza aviaria. Dopo un'introduzione del rappresentante dell'Organizzazione Mondiale per la Sanità “sono state scambiate opinioni sulle possibili implicazioni economiche e finanziarie di una pandemia influenzale. E' stato notato come le incertezze sui tempi, intensità e impatto economico di una pandemia siano sostanziali. E' stato concordato che per le autorità finanziarie sia importante considerare con molto anticipo il potenziale impatto di una pandemia sul sistema finanziario”, compresi i sistemi di compensazione.

Il sistema bancario islandese va a gambe all'aria
Le tre principali banche islandesi -- Kaupthing, Landsbanki Islands, and Islandsbanki - hanno avuto un ruolo centrale nella partita islandese del “carry trade” internazionale (Cfr. Strategic Alert n. 9). Gli investitori prendevano prestiti a tassi ridottissimi, soprattutto nell'eurozona, per investire nei bond islandesi, come quelli che le tre banche di Reykjavic emettevano con rendimenti superiori al 10%.
Dopo il crac della corona islandese, a febbraio, questi contratti “carry trade” hanno prodotto solo perdite e i flussi di capitale si sono invertiti. L'ufficio di Londra della Merrill Lynch stima che le banche islandesi hanno perso circa 18 miliardi di dollari in debiti che scadono nei prossimi due anni, pari al 150% del prodotto interno lordo islandese. Merrill Lynch parla di “rischi significativi per il rifinanziamento delle banche l'anno prossimo … Siamo solo all'inizio dei problemi delle banche islandesi”.

Ovviamente l'Islanda non è un caso isolato. L'agenzia di rating Fitch notava il 16 marzo “un aumento generale del rischio sistemico bancario negli ultimi sei mesi”. Il gonfiarsi della bolla delle equities e di quella immobiliare ha condotto ad “un alto livello di vulnerabilità e possibili scompensi sistemici in alcuni paesi” che interessano soprattutto Irlanda, Norvegia, Russia, Sud Africa, stati del Golfo.

Il crac delle borse arabe
La bolla dei “mercati emergenti” è arrivata al capolinea. Dopo il crac islandese di febbraio all'inizio di marzo hanno fatto crac azioni e obbligazioni latinoamericane, africane, russe e turche.

A metà marzo è poi scoppiata la bolla dei paesi arabi, accumulatasi nel corso degli ultimi anni a causa del “carry trade” e alle entrate record della vendita del petrolio. Nel 2005 l'indice dei titoli di borsa del Dubai è aumentato del 125%, quello dell'Arabia Saudita del 97% e quello dell'Egitto del 162%. La capitalizzazione totale delle sette borse del Golfo è passata dai 119 miliardi di dollari del 2000 ai 1.140 miliardi del 2005, quasi dieci volte tanto.

Dalla fine di febbraio si rincorrono le svendite dettate dal panico e il 14 marzo il mercato del Dubai ha perso il 12%, portando la perdita complessiva dall'inizio dell'anno al 40%. Lo stesso giorno al Cairo l'indice CASE-30 ha perso nelle prime ore di trattazione l'11% prima di un deciso intervento stabilizzatore del governo. Anche nel Kuwait il governo è intervenuto attraverso l'autorità competente a bloccare una caduta che aveva totalizzato il 4%.

Il più grande mercato azionario della regione è quello saudita. Tra il 14 e 15 marzo l'indice Tadawul All Share ha perso un 10% dopo una serie di rovesci che si protraevano già da tre giorni. Anche in questo caso, il principe Alwaleed bin Talal è intervenuto acquistando 3 miliardi di azioni saudite. Dopo il picco raggiunto a metà febbraio si stima che complessivamente le borse del Golfo abbiano perso 250 miliardi di dollari.


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