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L'iperinflazione delle materie prime e la bolla immobiliare USA

L'analisi sull'iperinflazione delle commodities diffusa da Lyndon LaRouche nel settembre 2005 (vedi qui), in cui si evidenziava la caratteristica da onda d'urto riemanniana si sta abbattendo con piena forza nel settore delle commodities.

Secondo delle stime affidabili, gli hedge funds e i fondi d'investimento avrebbero riversato negli ultimi due anni soltanto circa 100 miliardi di dollari direttamente nel mercato delle commodites, un mercato decisamente ristretto al confronto con quelli delle azioni e delle obbligazioni. Poi però ci sono altri centinaia di miliardi di dollari investiti nei diversi tipi di derivati che sono in rapporto alle materie prime. Il volume complessivo degli investimenti nelle commodities potrebbe raggiungere almeno i 250 miliardi e a questo si aggiunga che molto di questo capitale è impiegato con un elevato rapporto d'indebitamento.

Il prezzo del rame
negli ultimi
cinque anni

La caratteristica che definisce il prezzo delle commodities è la rapidità con cui il prezzo stesso aumenta. Ad esempio, tra il 31 marzo e la fine del 2005, il prezzo del palladio è passato da 170 a 257 dollari l'oncia. In quei 33 mesi l'aumento è stato del 51,1% che su base annuale si traduce in un 18,6%. Ma dall'inizio del 2006 al 12 aprile, il prezzo del palladio è passato da 257 a 348 dollari, che se continua così comporterà un aumento annuale del 132% nel 2006.
Tra il 31 marzo 2003 e il 30 dicembre 2005 una tonnellata di alluminio ha fatto registrare un aumento del 13% su base annua, mentre per il 2006 si calcola un aumento del 72%. Per una tonnellata di zinco tra il 31 marzo 2005 e il 30 dicembre 2005 l'aumento si annualizza al 55%, mentre l'aumento registrato nel 2006 si annualizza in un 220%. Questa è la stessa dinamica che si verificò nella Germania di Weimar, all'inizio degli anni Venti, uno sviluppo che è stato chiaramente denunciato da Lyndon LaRouche lo scorso settembre.

L'oligarchia finanziaria ha costruito un sistema finanziario in cui il propulsore è la speculazione ed in cui ogni manovra deflativa controllata per contenere una data bolla, finisce per surriscaldare un'altra bolla, con conseguenze sistemiche.
Le banche centrali potrebbero tentare di frenare la spirale dei rialzi delle commodities con la leva tradizionalmente usata alle banche centrali, aumentando cioè i tassi d'interesse. D'altro canto però, il mercato della casa negli USA ha già iniziato una fase di contrazione, come conseguenza dell'aumento dei tassi d'interesse sui mutui negli ultimi nove mesi. Un aumento di 1 o 2 punti percentuali pungerebbe la bolla ipotecaria USA che comprende i derivati di Fannie Mae e Freddie Mac, e che si stima sui 15.000 miliardi di dollari.

La casa negli USA:
due milioni rischiano esproprio e sfratto

La bolla immobiliare statunitense sta scoppiando ed i mercati ritenuti “più caldi” sono quelli che si sfreddano più rapidamente. Indiana, Ohio e Michigan sono gli stati al momento più colpiti da espropri e sfratti, perché la globalizzazione vi è maggiormente affermata e di conseguenza le famiglie sono eccessivamente indebitate e colpite dai licenziamenti nel settore dell'auto e altre attività normali. Nell'Ohio il prezzo medio della casa è giá diminuito del 5%.

Uno studio compiuto dalla Reinvestment Fund calcola che sono circa 2 milioni i proprietari che rischiano l'esproprio della casa nel 2006, ovvero il 2,5% del totale nazionale. In Louisiana e Mississippi gli espropri dovrebbero raggiungere l'8%. Nel 2005 gli espropri, per ogni tipo di motivo, hanno complessivamente raggiunto l'1,6%. Più di un milione dei proprietari a rischio si collocano nei tre stati citati del Midwest. Quasi tutti hanno contratto mutui a tassi variabili, promossi dalla politica di Alan Greenspan. Poiché il valore delle abitazioni resta stazionario o diminuisce, è dunque difficile venderle, mentre gli interessi che i proprietari debbono pagare aumentano vertiginosamente. Stime ufficiali (FDIC) prevedono che i tassi variabili per un anno arriveranno al 6,7%, mentre un paio di mesi fa erano a 5,65%, e sono già a 5,97%. All'inizio della politica dei mutui a tassi variabili, nel 2003, si doveva pagare il 4% d'interesse. In pratica la differenza sul bilancio mensile del mutuatario si stima in tanti casi tra i 300 e i 500 dollari in più da pagare.

Alla fine di marzo in Michigan, Missouri, Tennessee e West Virginia un quinto di coloro che hanno contratto mutui a tassi variabili era in arretrato di tre mesi sui pagamenti, e quindi a rischio di esproprio. Uno sceriffo dell'Indiana ha commentato: “Qui va a finire che una casa da 30-40 mila dollari avrà un mutuo di 60 mila dollari. C'è di sicuro chi presta troppi soldi”. Nella contea di Detroit a marzo sono state espropriate 3.300 abitazioni, due volte e mezzo in più rispetto al marzo 2004.


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