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Il grippaggio dei mercati finanziari

22 maggio 2006 – È iniziato il più grave crollo dei mercati azionari dall'epoca di quello della “New Economy”. Nel giro di due settimane sono andati in fumo circa 2 mila miliardi di dollari. Negli USA l'indice S&P 500 ha perso il 4,4%, la flessione più grave dal gennaio 2003. Il Dow Jones Stoxx 600, l'indice che raccoglie le principali azioni europee, ha perso il 7,3% tra il 9 e il 19 maggio. Nella settimana conclusa il 19 maggio lo stesso indice ha perso il 4,5%, un record dal marzo 2003. I più colpiti sono stati i mercati norvegesi, che hanno perso l'11%. Le piazze di Francoforte, Londra e Parigi hanno perso più del 7%. Le azioni asiatiche che appartengono all'indice Morgan-Stanley Asia Pacific Index hanno perso il 5,3% in una settimana. Il Nikkei ha perso l'8% dall'inizio di maggio e l'indice russo RTS ha perso il 15,6% tra l'8 e il 19 maggio.
I timori di un'esplosione incontrollata dell'inflazione e di un conseguente aumento dei tassi d'interesse da parte delle banche centrali non sono solo una minaccia alle bolle insostenibili dei mercati azionari ma hanno finito per alimentare una fuga generalizzata dai “mercati emergenti” che colpisce azioni, obbligazioni e monete. Particolarmente colpite le monete latinoamericane, con il real brasiliano che ha perso il 6,8% dal 10 al 19 maggio. Il 18 maggio il Tesoro brasiliano è stato costretto a cancellare l'asta settimanale perché gli investitori esigevano rendimenti che il governo non poteva concedere. La rupia indonesiana ha perso il 5% in una settimana nonostante il suo debito abbia ottenuto una promozione nel rating. La lira turca ha perso l'8% tra l'11 e il 16 maggio.
A motivo del grippaggio immediato dei prezzi azionari e degli investimenti nel “carry trade” nei mercati emergenti, il tutto aggravato dalle operazioni in derivati su questi mercati, si presume che molte grandi banche ed hedge funds abbiano registrato perdite colossali. Questo potrebbe spiegare l'interruzione della corsa al rialzo dei prezzi delle commodities, che è temporanea. Le banche ed i fondi hanno dovuto liquidare posizioni acquisite nelle commodities e in altri investimenti per coprire le perdite in azioni, operazioni “carry trade” e derivati a questi connessi. Così l'indice CRB che raccoglie 19 commodities è caduto del 6,4% nel giro di una settimana, cosa che non accadeva da 25 anni.
Intanto l'esplosione dei prezzi delle commodities avvenuta nell'ultimo periodo, che è destinata a riprendere, sta devastando l'economia reale. Ad esempio sull'industria dell'acciaio vengono esercitate pressioni affinché accetti un nuovo aumento del 19% dei prezzi dei minerali ferrosi, sebbene già l'anno scorso i prezzi siano aumentati del 71%. In Germania ad aprile i prezzi ai produttori erano 6,1% superiori a quelli dell'anno scorso, con un tasso d'inflazione che non ha precedenti in 24 anni. I prezzi dell'elettricità in Germania sono aumentati del 20,5%, quello del rame del 63% e quelli dello zinco del 71%.

Moniti sugli hedge funds e i derivati

Il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, si è opposto ai tentativi di regolamentare gli hedge funds in un'udienza dell'apposita commissione parlamentare il 16 maggio. Dopo aver ammesso che le autorità finanziarie devono rimanere all'erta per impedire un ripetersi dei rischi sistemici del 1998 (un'allusione al crac del fondo LTCM), Bernanke ha respinto le proposte per una “regolamentazione diretta” del settore dei fondi speculativi. Lo stesso giorno un collega tedesco di Bernanke, il membro del consiglio della Bundesbank Edgar Meister, ha invece messo in guardia contro i rischi posti dagli hedge funds, affermando: “Non possiamo semplicemente aspettare che scoppi una crisi dei mercati”. “C'è un rischio crescente - ha aggiunto - che la crisi scoppi”. Poiché “non c'è un accordo internazionale su come regolamentare gli hedge funds”, ha proposto che almeno questi siano costretti a sottoporre i bilanci alle agenzie di rating. Ancora più deciso è apparso il capo della Fed di New York, Timothy Geithner, che ha puntato il dito contro le banche che permettono agli hedge funds di indebitarsi eccessivamente, indebolendo così il sistema finanziario. Questo indebitamento è la leva che ha fatto lievitare la bolla dei derivati del credito, come quelli che assicurano dai rischi di insolvenza dei bonds, attualmente valutati a 17 mila miliardi di dollari. Questa montagna di derivati potrebbe riservare delle “sorprese negative”, e perciò le grandi banche dovrebbero gettare “uno sguardo freddo” sull'entità delle somme elargite agli hedge funds.


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