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La fuga verso i beni rifugio

17 luglio 2006 – Le perdite ripetute dei valori di borsa e le impennate continue dei prezzi delle materie prime si collocano nel contesto della fuga generalizzata dai titoli cartacei per investire in beni reali che dovrebbero in qualche modo sopravvivere ad un crac generalizzato. Sono sempre di più gli investitori “furbi”, ben distinti dai “polli” che si scoprono la vocazione dello speculatore, i quali si rendono conto che il sistema finanziario sta arrivando al capolinea. L'intera struttura di piramidi di debito impagabile e di gran parte delle scommesse in derivati è tenuta in piedi dalle iniezioni di liquidità delle banche centrali e da altre operazioni della “squadra di sicurezza”. Perciò ogni bene rifugio, dalle commodities alle partecipazioni nelle imprese, costi quel che costi, è visto come un investimento da preferire a dei pezzi di carta che ben presto non avranno più alcun valore.
Dopo un rallentamento tra la metà di maggio e la metà di giugno, la dinamica iperinflativa sui mercati mondiali delle commodities ha ripreso nuovo vigore. Il 14 luglio il petrolio ha raggiunto nuovi massimi a Londra e a New York, toccando in alcuni momenti quasi gli ottanta dollari. Il prezzo dell'oro è aumentato di oltre 100 dollari in quattro settimane, toccando i 676 il 17 luglio. I prezzi dei metalli industriali sono tornati ai massimi di metà maggio. Il nickel ha registrato un aumento del 90% tra l'inizio dell'anno e il 12 luglio.
La corsa ai beni rifugio non si limita alle merci ed agli immobili, ma si allarga alle fusioni e alle scalate, che interessano i settori minerario, energia, acciaio, e automobili, filo alle imprese piccole e medie, in particolare in Germania. Non sono operazioni da parte della concorrenza internazionale, ma soprattutto di “investitori finanziari”, in particolare i private equity funds e gli hedge funds.
Stando all'ultimo rapporto della Banca Centrale Europea (BCE), le transazioni in cui imprese dell'eurozona figurano come acquirente ha raggiunto un valore di 466 miliardi di euro negli ultimi 12 mesi. Acquisizioni per altri 904 miliardi sono state compiute dalle imprese americane. La BCE ammette che questo è stato favorito da “condizioni di finanziamento molto favorevoli”, e cioè la liquidità proveniente dalle banche centrali. Le istituzioni finanziarie, cioè banche e fondi diversi, hanno effettuato il 40% delle acquisizioni dell'eurozona negli ultimi 12 mesi, un fatto che “potrebbe riflettere un aumento dell'importanza dell'industria delle private equities nella zona dell'euro”, nota la BCE.
Interi settori industriali vengono gettati in una situazione in cui le imprese sono costrette a fondersi con le concorrenti, oppure rischiano le acquisizioni ostili. Nel rapporto annuale pubblicato il 12 luglio la Banca d'Inghilterra spiega che la spinta a contrarre debiti per le imprese che vogliono evitare di essere acquisite sta diventando una seria minaccia all'intero sistema finanziario britannico.
In Germania i private equity funds internazionali hanno già acquisito il controllo di 6000 imprese che contano complessivamente 800 mila dipendenti. Ma si tratta solo dell'inizio. Il private equity group USA Blackstone ha ampliato le proprie operazioni con un fondo di 15,6 miliardi da spendere in acquisizioni in ogni parte del mondo. La Permira Advisors ha allestito un fondo di 12,8 miliardi e la Texas Pacific Group ha raccolto 14,5 miliardi in un nuovo private equity fund.


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