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Le elezioni in Messico confermano l'epoca delle turbolenze

17 luglio 2006 – Il voto del 2 giugno in Messico non ha prodotto un vincitore. Il candidato del Partito d'Azione Nazionale (PAN), Felipe Calderon, si è autoproclamato vincitore per una manciata di voti, 243.004, su un totale di 29,76 milioni effettivi. Il contendente Andres Manuel Lopez Obrador del Partito Rivoluzionario Democratico (PRD) ha annunciato lo stesso giorno che la sua “Coalizione per il bene di tutti” farà ricorso in tribunale contro la frode elettorale.
Sono state segnalate irregolarità nel 60% dei seggi, dove il numero delle schede valide, bianche e annullate non corrispondeva a quello degli elettori registrati. In totale, Obrador denuncia l'esistenza di 1,5 milioni di voti “eccedenti”.
Certo che agli italiani questo può ricordare le ultime elezioni, alla rovescia, ma ci sono differenze sostanziali. Obrador, sindaco uscente di Città del Messico, aveva annunciato il 1 luglio, alla vigilia del voto, che, se avesse vinto, avrebbe rinegoziato il debito con il Fondo Monetario Internazionale. In precedenza, aveva detto in un'intervista al Washington Post che aveva in mente un “New Deal messicano” per il paese, sul modello di quanto Roosevelt aveva fatto negli Stati Uniti negli anni Trenta. Queste idee, Obrador le ha elaborate in un libro, intitolato Un progetto alternativo per la nazione, in cui egli approfondisce i legami storici che esistevano tra F.D. Roosevelt e il presidente nazionalista messicano Lazaro Cardenas. Mostrando una conoscenza discreta della materia, Obrador scrive che nei suoi primi 100 giorni Roosevelt adottò un “turbinio” di misure che “aumentarono considerevolmente la presenza e l'influenza del potere pubblico in ogni aspetto della vita americana”.
Benché Obrador abbia dei caratteri prettamente populistici, come riconosce LaRouche, il suo partito, PRD, è l'unico che in campagna elettorale abbia accettato un confronto pubblico con il movimento giovanile larouchiano (LYM). Il dibattito, tenutosi il 31 maggio all'assemblea legislativa di Città del Messico ha mostrato una certa convergenza di analisi sullo stato dell'economia e sulla globalizzazione, ma una divergenza di vedute sulle ricette. Il rappresentante del PRD ha difeso alcune vedute localistiche e soprattutto il concetto di “austerità repubblicana” divulgato da Obrador. Ciononostante, ha condiviso alcuni dei progetti infrastrutturali e tecnologici proposti dal LYM, come quelli nell'aerospaziale.
Già prima dell'inizio delle grandi manifestazioni di piazza che scuotono il Messico, Lyndon LaRouche aveva commentato, il 4 luglio, che il crollo del sistema finanziario in corso non fa che mettere in moto nuove turbolenze politiche: sta crollando tutto e non importa si è oggi, domani o tra un mese. Ed in tale situazione i giochi preorchestrati non riescono. Chi ha cercato di preorchestrare le elezioni ricorda un po' gli sciocchi che dicevano che la guerra in Iraq sarebbe stata vinta in quattro e quattr'otto. Ve lo ricordate Bush sulla portaerei? “Dichiaro che abbiamo vinto!”. Tre anni fa.
Secondo LaRouche le elezioni messicane non sono solo un affare interno, ma riguardano l'assetto strategico delle Americhe. Il fatto che Lopez Obrador abbia rifiutato di concedere la vittoria all'avversario dimostra che se ne rende conto, ha aggiunto lo statista americano.
Coloro che in Messico hanno tirato la volata per le forze oligarchiche, in particolare il PAN (che fu fondato da reduci dell'intelligence nazista) e l'ex presidente ed ex venditore di Coca Cola Vicente Fox, sono gli stessi che nei sei anni in cui sono stati al potere hanno cercato di smantellare lo stato con le “riforme strutturali” tanto agognate dai cartelli finanziari.
Per fortuna, hanno incontrato una certa resistenza che ha frenato i loro piani. Ora questa resistenza è in uno stato magmatico e minaccia direttamente di contagiare i confini meridionali degli stessi Stati Uniti.
Il 16 giugno sono scesi in piazza 1,5 milioni di manifestanti a sostegno di Obrador (mentre i mezzi d'informazione ne prevedevano al massimo mezzo milione). Nella piazza centrale di Città del Messico gli attivisti di LaRouche hanno diffuso una dichiarazione dello statista americano a sostegno di Obrador. Il loro striscione diceva: “Il cane: Calderon. Il padrone: i banchieri sinarchisti. La soluzione: La nuova Bretton Woods di LaRouche”.


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