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L'UNCTAD: rinazionalizzare la politica economica

12 settembre 2006 – Con il solito “linguaggio da ONU”, ma nondimeno in maniera inequivocabile, il “Rapporto 2006 sul commercio e lo sviluppo” della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD) diffuso lo scorso 31 agosto, lancia un appello per una inversione di rotta della politica economica globale.
Al sottotitolo “Riforme mancate”, il rapporto nota: “Negli anni Ottanta e Novanta molti paesi in via di sviluppo intrapresero riforme di vasta portata per orientarsi verso i mercati”, come parte della loro “integrazione di una economia diretta alla globalizzazione. In tale contesto le istituzioni di Bretton Woods [e cioè FMI e Banca Mondiale] hanno svolto un ruolo dominante, sia come prestatori, imponendo la politica delle condizioni ai paesi a cui prestavano, sia come 'centri studi' ... Il programma delle riforme si è concentrato quasi esclusivamente sulle forze di mercato” e “su un ruolo ridotto dell'intervento discrezionale da parte dello stato”. I mercati finanziari interni sono stati deregolamentati, i controlli dei capitali eliminati, le tariffe e le regolamentazioni dell'economia abbandonate.
Ma “le riforme fondate sul mercato seguite dalla gran parte dei paesi in via di sviluppo dall'inizio degli anni Ottanta non hanno mantenuto le promesse di coloro che le caldeggiavano”. Il risultato ottenuto in paesi, soprattutto in America Latina, e Africa, che hanno applicato “il programma più ortodosso di riforme”, è stato in effetti il peggiore, mentre altri paesi nell'Asia orientale, che hanno seguito un approccio diverso, hanno conseguito risultati molto migliori, spiega il rapporto dell'UNCTAD.
“In questi paesi [dell'Asia Orientale] si verificarono gravi problemi alla fine degli anni Novanta, quando, a differenza di una precedente gestione prudente e strategica della liberalizzazione del commercio, i governi decisero una prematura liberalizzazione dei movimenti di capitale, che rese le loro economie vulnerabili alle stravaganze dei mercati internazionali. La crisi ha rappresentato una svolta sotto diversi punti di vista. Primo, vi furono critiche crescenti sulla diagnosi del FMI prima e dopo la crisi e verso le sue ricette politiche”. Alcuni paesi colpiti dalla crisi respinsero “le ricette del FMI per l'aggiustamento”. Di conseguenza “nè è rimasta gravemente scossa la convinzione che l'integrazione nei mercati internazionali del capitale è generalmente benefica in quanto consente di accedere ai risparmi stranieri, e che la politica monetaria interna dev'essere formulata in modo da generare fiducia nei mercati finanziari internazionali”.
Il rapporto dell'UNCTAD però non presenta una chiara alternativa agli ultimi 25 anni di programmi neoliberisti. Molto vagamente propone “una politica commerciale e industriale attiva”, che in qualche modo dovrebbe includere “un ampliamento del raggio d'azione degli strumenti di politica nazionale oltre quello ritenuto accettabile nel paradigma di sviluppo degli ultimi 25 anni”. Esplicitamente, questi strumenti nazionali debbono comprendere una “politica tariffaria flessibile”. Questi strumenti nazionali furono cruciali “nello sviluppo di un forte settore manifatturiero”, “al centro di tutte le esperienze del progresso degli ultimi 250 anni”.
Occorre sottolineare con attenzione che a questo riguardo l'UNCTAD pone l'accento sulla storia dell'economia USA: “Sarà utile ricordare che le tariffe industriali furono gli elementi principali di protezione che i paesi oggi sviluppati usarono durante il loro sviluppo industriale. Come illustrato ... Gli Stati Uniti istituirono tariffe industriali che mediamente si aggiravano sul 40%, e mai al di sotto del 25%, fatta eccezione per brevi periodi, per tutto il periodo che si estende dal 1820 al 1945”.
La protezione delle industrie nazionali, aggiunge il rapporto, è stata anche un aspetto essenziale della politica interna britannica fino al 1846 ed in particolare nella ricostruzione delle economie dell'Europa occidentale a seguito della seconda guerra mondiale.


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