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EIR N. 2, 12 gennaio 2007

Le “guerre del Peloponneso” di Bush nel Sudovest Asiatico

Jeffrey Steinberg

Al momento di scrivere, il 6 gennaio, il presidente Bush sembra deciso ad aggravare il disastro in cui si è cacciato nell’Asia Sudoccidentale, su istigazione di Dick Cheney. Ormai sembra certo che Bush voglia annunciare presto l’invio di unità di rincalzo al contigente militare USA che occupa l’Iraq, qualcosa tra i 10 e i 50 mila soldati. Al tempo stesso, il presidente si prepara ad un altro fiasco strategico, di quelli sapientemente preparatigli dal vice presidente: un attacco militare contro i siti del presunto programma segreto di armamento nucleare in Iran. È vero che quest’ultima iniziativa non è stata annunciata ancora da fonti ufficiali, ma i militari e gli specialisti dell’intelligence che seguono gli eventi nel Golfo Persico sono convinti che sono pronti i piani per incursioni aeree e missilistiche contro obiettivi scelti nella Repubblica Islamica a cui la Casa Bianca darebbe il via libera senza previa consultazione con il Congresso o il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Secondo alcune voci di Washington, la nuova giustificazione di un attacco preventivo, degli USA e/o di Israele, contro l’Iran sarebbe la necessità di colpire prima che la Repubblica Islamica riesca a raffinare l’uranio necessario per gli ordigni nucleari e quindi nasconderlo dove nessuno lo potrà più trovare. Secondo gli analisti del Mossad — che presumono circostanze esageratamente favorevoli — l’Iran non è capace di dotarsi dell’arma nucleare prima del 2009. I loro colleghi americani sono convinti che al più presto l’arma potrebbe essere pronta solo nel 2010. Partendo da tali valutazioni la Casa Bianca ha finito per costruire un argomento secondo cui si potrebbe fare un’altra bella guerra tra la primavera prossima e la fine del gennaio 2009, prima dell’arrivo della nuova amministrazione.
Commentando questi sviluppi il 5 gennaio Lyndon LaRouche ha fatto notare che sofismi di questo tipo caratterizzarono il gruppo attorno a Pericle, nell’antica Grecia, che portò Atene nell’autodistruzione, nelle Guerre del Peloponneso. Secondo LaRouche, Bush sta cadendo in una trappola dello stesso tipo di quella che distrusse la grande repubblica ateniese. Questo è il destino che Bush e Cheney stanno riservando agli Stati Uniti d’America.

La rivolta dei generali e dei parlamentari

La nuova ondata di follia minacciata dalla Casa Bianca sta suscitando la rivolta, in particolare tra alti ufficiali ed i parlamentari.
Fonti di Baghdad hanno fatto sapere che in occasione della sua visita in Iraq per incontrare gli ufficiali, il nuovo segretario alla Difesa USA Robert Gates ha da loro ricevuto una valutazione franca e inequivocabile. Il gen. John Abizaid, al verice del Comando Centrale, e il gen. George Casey, comandante in campo delle truppe Iraq, avrebbero spiegato a Gates che la situazione sul campo è disastrosa e che il tanto decantato aumento delle truppe non cambierebbe in alcun modo la situazione, specialmente se con i rincalzi non arriva anche un chiaro obiettivo della missione e una ragionevole “exit strategy”. Appena rientato negli USA Gates si è recato a Camp David per riferire al Presidente.
Una settimana più tardi Gates era di nuovo con il Presidente e con tutti gli esponenti del Consiglio di Sicurezza Nazionale a Crawford in Texas. Gates sarebbe stato informato da Bush che le forze in Iraq avrebbero avuto rinforzi e che era suo compito stilare un piano che riflettesse le indicazioni di massima del presidente. Prima di essere chiamato a sostituire Donald Rumsfeld al vertice del Pentagono, Gates aveva fatto parte del Gruppo di Studio sull’Iraq (GSI) di Baker e Hamilton ed è l’autore delle principali raccomandazioni presentate dal rapporto del gruppo. La Casa Bianca ha però deciso di respingere la raccomandazione centrale del GSI, quella di ricercare negoziati diretti con Iran o Siria, per cui Gates, appena entrato al vertice del Pentagono, si trova nella tutt’altro che felice situazione di dover delineare le direttive per un aumento delle truppe a cui è personalmente contrario.
Mentre per il momento non si sa di più sugli incontri di Camp David e Crawford, altri fatti fanno capire che la Casa Bianca sta prendendo decisioni pericolose. Il gen. Abizaid ha rotto gli indugi ed ha annunciato che lascerà l’incarico a marzo. Avrebbe capito che Bush vuole un cambiamento di regime con operazioni militari e lui non vuole assumersi responsabilità del genere. Il 5 gennaio è stato annunciato che anche il gen. Casey lascerà il comando delle truppe d’occupazione, verosimilmente per prendere le distanze dalla fantasia secondo cui i problemi si risolvono con le truppe di rincalzo. Si è subito parlato di una sua promozione a Capo di stato maggiore dell’esercito, posto per il quale non si trovava un militare in servizio attivo che andasse a genio a Rumsfeld.
Le preoccupazioni dei generali e del Gruppo di Studio sull’Iraq sono condivise dai parlamentari, in particolare i capogruppi democratici di camera e senato Nancy Pelosi e Harry Raid che hanno diplomaticamente invitato il presidente a desistere dall’inviare nuove truppe e dedicarsi ad una soluzione negoziale del pasticcio iracheno.
In una lettera al presidente, Reid e Pelosi hanno fatto riferimento al risultato elettorale del 7 novembre: “La popolazione americana ha dimostrato nel voto di novembre di non ritenere che la vostra politica irachena conduca al successo e che abbiamo bisogno di un cambiamento di direzione per il bene delle nostre truppe e del popolo iracheno”.
Poi arrivano al dunque: “Aumentare le truppe è una strategia che avete già sperimentato e che è già fallita. Così come molti alti ufficiali militari in servizio o in congedo, noi siamo convinti che tentare di nuovo sarebbe un errore grave. Come noi, essi sono convinti che una soluzione prettamente militare in Iraq non è possibile. È possibile soltanto una soluzione politica. L’aggiunta di nuove truppe per combattere mette soltanto in pericolo più americani e impone ai militari un eccessivo sovraccarico di operazioni senza presentare vantaggi strategici. Questo minerebbe i nostri sforzi per indurre gli iracheni ad assumersi la responsabilità del loro futuro.”
Altri parlamentari stanno facendo in modo che Bush sappia che il Congresso intende affrontare seriamente la questione irachena, e vi sono buoni motivi per credere che si tratterà di uno sforzo bipartitico. Il 1 gennaio il noto giornalista Robert Novak ha scritto che una buona maggioranza di senatori repubblicani è contraria all’invio di nuove truppe USA in Iraq se non c’è una chiara strategia della Casa Bianca per giustificarlo. Il repubblicano Chuck Hagel, veterano decorato del Vietnam, ha bollato il piano di Bush e Cheney come “Alice nel paese delle meraviglie” e il collega Trent Lott, capogruppo del Senato, ha espresso i suoi dubbi sulla propria disponibilità ad avallare i piani della Casa Bianca.
Effettivamente ci sono tutti i motivi per credere che alla Casa Bianca non producano nessuna “strategia per la vittoria”. Come l’EIR ha già denunciato, l’aumento delle truppe sul teatro iracheno in realtà servirebbe solo in vista della repressione degli sciiti di cui si teme il sollevamento inevitabile nel caso in cui gli USA attaccheranno l’Iran.

I timori di De Borchgrave e del gen. Clark

Il 2 gennaio il direttore dell’aganzia UPI Arnaud de Borchgrave riferiva che in Israele la destra radicale, che fa capo all’ex premier Benjamin Netanyahu, fa propaganda contro il governo in carica accusandolo di “appeasement” — di svendita al nemico — nella questione delle presunte armi nucleari iraniane che minaccerebbero l’esistenza stessa di Israele. Borchgrave scrive: “I ‘neocon’ che collaborano con Netanyahu in quella che dovrebbe essere la prossima fase di una nascente guerra regionale in Medio Oriente sostengono che Bush disponga dell’autorità che occorre per sventare la minaccia nucleare dell’Iran. Perché questa ha un unico scopo: eliminare Israele. Un’arma nucleare come quella di Hiroshima e Israele cesserebbe di esistere”.
Il gen. Wesley Clark, che è anche stato candidato alla presidenza, ha trovato molto preoccupante l’affermazione di Borchgrave. Arianna Huffington riferisce il 5 gennaio sul sito Huffington Post di aver incontrato il gen. Clark proprio dopo la pubblicazione dell’analisi di Borchgrave e di averlo trovato decisamente furente all’idea di un attacco preventivo degli USA contro l’Iran: “Come si fa a bombardare un paese se prima non ci vuoi nemmeno parlare? l’aumento delle truppe preoccupa, ma questo è molto più preoccupante”. Gli è stato chiesto perché ritenesse corretta la valutazione di Borchgrave di un attacco imminente contro l’Iran e Clark ha risposto: “Basta leggere la stampa israeliana. La comunità ebraica è divisa, ma ci sono molte pressioni che arrivano da gente che ha i soldi a New York a coloro che si candidano agli incarichi pubblici”. Si tratta di un linguaggio insolitamente esplicito per un ex alto ufficiale che conta di ricandidarsi alla presidenza.
Altrettanto esplicito il linguaggio di Nichlas Kristof, editorialista del New York Times che in un commento del 31 dicembre offriva al presidente un’elegante via d’uscita dalla sua Guerra del Peloponneso sulle sponde del Tigri. Nella sua lista di 10 consigli Kristof scrive, riprendendo la proposta di LaRouche: “Quarto, incoraggiare Dick Cheney a mostrarsi molto pallido in pubblico, così si può dimettere per motivi di salute. Allora lei può nominare Condi Rice o Bob Gates al suo posto. Mr. Cheney rappresenta da solo l’influenza peggiore sulla sua politica estera e la figura più polarizzatrice della sua amministrazione. Non c’è mossa migliore per lanciare il segnale di un nuovo inizio di quella di accettare le dimissioni di Cheney.”
Più avanti Kristof aggiunge: “Settimo, metti da parte l’idea di un attacco militare sui siti nucleari iraniani e chiarisci ad Israele che siamo contrari ad un tale attacco. Un attacco potrebbe ritardare i programmi iraniani di soli cinque anni circa ma consoliderebbe in quel paese una leadership intransigente per altri 25 anni”.
Aggiunta:
Il 9 gennaio il sen. Ted Kennedy ha parlato al National Press Club sfidando apertamente l’idea dell’amministrazione Bush di mandare rinforzi di truppe in Iraq. Ha anche evocato i bagni di sangue che fecero seguito alle decisione analoghe di Johnson e Nixon di sprofondare gli USA sempre di più nelle sabbie mobili del Vietnam.
Kennedy ha quindi annunciato un disegno di legge molto attentamente studiato dal punto di vista costituzionale, inteso a proibire nuovi finanziamenti per l’aumento di truppe in Iraq, ed ha fatto appello affinché il ddl sia approvato al più presto, prima che Bush e Cheney possano mettere i parlamentari di fronte al fatto compiuto. Alla conferenza stampa hanno partecipato gli attivisti del LYM, l’organizzazione giovanile di LaRouche, che hanno diffuso le analisi dell’EIR.
Solo qualche ora più tardi il capogruppo democratico del Senato Harry Reid ha dichiarato: “Siamo convinti che diversi Repubblicani vogliano unirsi a noi per dire di no all’escalation ... Sono davvero convinto che affrontare bipartiticamente questa escalation è l’iniziativa che meglio d’ogni altra può portare ad un cambiamento di direzione della guerra in Iraq”.


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