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Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà
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Presidenziali USA:

1) Come gli inglesi stanno usando Al Gore

1 aprile 2008 – Vari mass media, blogs, e voci di corridoio del partito democratico USA promuovono l’idea secondo cui Al Gore dovrebbe diventare l’arbitro della Convention del partito democratico ed estromettere Hillary Clinton. C’è anche chi arriva a dire che dovrebbe essere addirittura lui il candidato democratico, con Barack Obama come vice! Si tratta di un evidente tentativo pilotato da Londra di affondare ogni possibilità di ripristinare l’eredità di Franklin Delano Roosevelt in America.

I pruriti genocidi di Al Gore, spacciati per ecologismo, sono della stessa natura di quelli dei principi Carlo o Filippo d’Edimburgo. Gli inglesi pensano di poter contare su Gore per silurare i Clinton, infatti lo collaudarono all’epoca dell’impeachment contro Bill Clinton, quando lui stette diligentemente al gioco.

Gore è stato pompato come una celebrità con la truffa del riscaldamento globale ed è stato altrettanto generosamente finanziato. Si trova quindi nella posizione ottimale per poter sfruttare il fatto che né Hillary Clinton né Barack Obama possono contare sul sostegno di una maggioranza dei delegati alla Convention. Le sorti della partita sono quindi in mano ad un gruppo, circa il quinto del totale, composto dai circa 800 superdelegati. Questi non sono eletti nel corso delle primarie ma debbono il diritto di voto nella Convention alla posizione che ricoprono: parlamentari, governatori, dirigenti di partito. E’ in corso una operazione tanto energica quanto perfida di indurre i superdelegati ad estromettere la Clinton.

Originariamente, nel 1968, i superdelegati furono istituiti per dare una voce a questi strati ricchi di esperienza e capaci di tenere le distanze dalle circostanze spesso faziose delle primarie. Nel contesto attuale, invece, personaggi già vendutisi agli interessi inglesi come la speaker Nancy Pelosi e il presidente del partito Howard Dean, contano di sfruttare le prerogative di questi elettori, privati della loro indipendenza, buttando il loro peso sul piatto di Obama, che al momento ha un leggero margine di vantaggio.

I presunti furbacchioni però non si rendono conto che gli inglesi sono pronti a premere il telecomando per far esplodere gli scandali già cuciti addosso ad Obama come candelotti di dinamite.

Giacché Hillary Clinton ha chiarito energicamente di non essere disposta a mollare, negli ambienti politici prende sempre più corpo l’ipotesi di riportare in campo Al Gore. Per primo ne parlò William Kristol, sorta di decano dei neoconservatori, in un commento del New York Times dell’11 febbraio. Poi è stata la volta di Eleanor Clift che ventilò sul Newsweek del 7 marzo l’idea che Gore potesse diventare il candidato di compromesso per sbloccare una situazione di stallo. A promuovere “l’opzione Gore” sono poi intervenuti Jason Horowitz, sul New York Observer del 25 marzo, e Joe Klein sulla rivista Time del 26 marzo.

Certo che tutti si sbracciano a sostenere di avanzare tale proposta “per il bene del partito”, dimenticando un dettaglio: Al Gore è stato tanto impopolare da riuscire a perdere il duello con George W. Bush. Nello spiegare questo, Lyndon LaRouche ha impegnato tutte le sue forze per affondare l’opzione Gore nel corso delle prossime settimane.

 

2) La frode delle primarie in Florida

La dirigenza del partito democratico, in cui spiccano Howard Dean e Nancy Pelosi, ha deciso che il voto degli elettori che hanno preso parte alla primarie democratiche in Florida non conta. L’afflusso alle urne è stato il più alto della storia dello stato ed Hillary Clinton ha riscosso un ampio vantaggio, ma i burocrati del partito giudicano il voto “illegittimo”.

Le cose si sono svolte così: nell’agosto del 2007 il governatore della Florida, il repubblicano Charlie Crist, si fece promotore di una manovra contro i democratici inducendo il parlamento dello stato ad approvare una legge che stabiliva la data del voto delle primarie di ambedue i partiti al 29 gennaio 2008. Questa data, però non era confacente ai programmi approvati dalla dirigenza del partito democratico, il DNC presieduto da Howard Dean, per cui, solo qualche giorno dopo, il DNC approvò una risoluzione che semplicemente annullava in anticipo le primarie della Florida, dichiarando che i delegati che ne risultassero eletti non sarebbero stati ammessi alla Convention di Denver. Diversi democratici di spicco hanno fatto del proprio meglio per cercare di rimandare le primarie, in maniera da soddisfare il DNC, ma i repubblicani, forti della maggioranza del parlamento dello stato della Florida, si fecero beffe di questi tentativi e il governatore Crist disse chiaro e tondo che comunque avrebbe apposto il veto a qualsiasi tentativo di cambiare la data delle primarie.

Arrivati al 29 gennaio, la preoccupazione diffusa per la crisi che avanza indusse molta gente a rinunciare alla solita apatia elettorale e a presentarsi in massa ai seggi per esercitare il diritto di voto. Così ci fu un afflusso record di ben 1,8 milioni di votanti e la Clinton ottenne il 50% delle preferenze democratiche, Obama il 33% e John Edwards il 14%.

Adesso però Dean punta i piedi con tutta l’animalità che sfoggiò in quel suo famoso urlo da far impallidire Tarzan, che emise in un incontro elettorale dello Iowa nel 2004. Non vuole riconoscere quel voto. Secondo LaRouche la truffa non può essere più palese e smaccata, visto che non si può mettere in dubbio né l’intenzione dell’elettorato né la legittimità della procedura decisa dallo stato.

Si prospetta un ricorso legale contro il DNC.

 

3) Hillary Clinton affronta la questione del crac finanziario

Il 24 marzo Hillary Clinton ha pronunciato un importante discorso in cui occorre rilevare l’importanza dei temi menzionati e dei rimedi prospettati dalla candidata, a prescindere dall’effettiva realizzabilità nel contesto della crisi in corso. La Clinton ha infatti criticato l’amministrazione Bush e la Federal Reserve per la decisione di spendere 30 miliardi di dollari nel salvataggio della banca Bear Sterns, mentre voltano tranquillamente le spalle ai troppi cittadini che rischiano di perdere la casa a motivo della crisi dei subprime.

Ha spiegato che a correre il rischio adesso sono decine di milioni di famiglie ed ha ribadito la proposta di una moratoria di 90 giorni su tutti i pignoramenti dovuti alla crisi dei subprime ed un congelamento quinquennale volontario dei tassi d’interesse per questi mutui. Ha quindi biasimato l’amministrazione Bush per non fare assolutamente nulla se non preoccuparsi di ridurre le tasse a quell’1% degli americani che hanno il reddito più elevato.

La candidata democratica ha proposto l’approvazione di un disegno di legge presentato dai parlamentari Frank e Dodd, che prevede l’intervento del governo federale nella ristrutturazione del mercato dei mutui, pur ammettendo che le misure proposte forse non sono sufficienti (in effetti l’unica proposta capace di cambiare seriamente le cose è quella del "firewall" formulata da LaRouche).

A conclusione del discorso Hillary Clinton ha fatto appello all’eredità del presidente Franklin Delano Roosevelt ed ha auspicato un intervento tempestivo volto a risolvere la crisi.

La Clinton è tornata sull’argomento due giorni dopo. Commentando un discorso di John McCain sulla crisi dei mutui ha detto ironicamente: “Suona davvero come Herbert Hoover e non mi pare che sia una politica economica buona”. Hoover entrò alla Casa Bianca nel 1929, anno in cui si verificò il crollo di Wall Street, e oltre a negare i sussidi ai disoccupati non fece nulla. Fu sfrattato nel 1932, quando Roosevelt fu eletto a furor di popolo.

 

4) Gli inglesi e il governatore di New York

Vi sono buoni motivi per credere che il governatore di New York Eliot Spitzer non si sia dimesso, lo scorso 12 marzo, come conseguenza dell’indagine senza precedenti condotta dalla FBI su un circolo di prostituzione. C’è una lettera del 19 novembre 2007, indirizzata alla FBI e proveniente da Roger Stone, personaggio del sottobosco politico repubblicano legato a Londra, in cui si parla appunto dei rapporti di Spitzer con le prostitute. Il contenuto della lettera è stato poi rielaborato in una testimonianza giurata di 47 pagine della FBI, datato 5 marzo 2008. Ovvero quasi quattro mesi dopo. Le storie sulle oltre 5000 intercettazioni telefoniche e i complessi pedinamenti del caso in realtà sono solo cortine fumogene, i fatti erano già contenuti nella lettera di Stone, riferisce il New York Post. Spitzer è stato politicamente “abbattuto” nel momento in cui lui ha respinto le pressioni per ritirare il sostegno per la Clinton. Un esempio palese di ingerenza britannica nel processo elettorale degli Stati Uniti.

Roger Stone è stato un protetto e amante di Roy Cohn, l’avvocato di Joe McCarthy (sì, quello dell’inquisizione anticomunista). All’età di 19 anni infiltrò la macchina elettorale di George McGovern e lavorò per Chuck Colson nella banda del Watergate. Nel 1996 fu espulso dall’apparato elettorale di Bob Dole perché sul suo sito internet faceva pubblicità al “Three-way sex”. Ha alle spalle una storia di sporchi trucchi elettorali.

Egli è parte di un apparato britannico di “public-relations” che affonda i tentacoli in quasi tutte le campagne presidenziali, e il cui scopo è quello di affossarle tutte per far emergere la candidatura di Bloomberg, “il Mussolini americano”.

Stone è parte dello studio “Black, Manfort, Stone” che gestisce le campagne repubblicane e al tempo stesso di quello democratico “Penn, Schoen & Berland”. I due studi sono sotto il controllo del WPP Group, il gigante britannico dei servizi di comunicazione.

La cosa più importante è che Black dirige la campagna elettorale di McCain, Penn quella della Clinton e Schoen quella di Bloomberg, tutti virtuosi con gli occhi incollati sulla bacchetta del direttore d’orchestra britannico.

Prima dello scandalo Roger Stone aveva diretto una serie di operazioni personali tese a destabilizzare psicologicamente Spitzer e che sono probabilmente all’origine delle “sbandate” del governatore.


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