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Il malthusianesimo di Al Gore

14 aprile 2008 – Come già riferito in precedenza, è operativo uno scenario per piazzare l’ex vice presidente Al Gore come “candidato presidenziale di compromesso” per il partito democratico in una situazione in cui tra Hillary Clinton e Barack Obama finisse “pari e patta”.

Per contrastare questo scenario, il movimento di LaRouche si è impegnato a denunciare Al Gore come un maniaco che sfrutta il tema del “cambiamento climatico” per piazzare un programma di genocidio malthusiano.

E’ il suo programma da sempre. Nel 1986, l’allora presidente del WWF e principe consorte Filippo d’Edimburgo sponsorizzò ad Assisi una conferenza per dare spazio alle teorie del suo “consigliere spirituale ecologico”, tale Martin Palmer, esponente del culto pagano di Gaia. Si dice che Al Gore allora avviò una corrispondenza con Filippo per coordinare insieme la loro strategia “ecologista”.

Più noti sono i rapporti con l’erede, il principe Carlo, che con suo padre condivide l’amore sconfinato per la natura selvaggia e l’odio per la civiltà e per i valori che distinguono l’umanità. Il 28 gennaio 2006, presentando a Carlo il Global Enviromental Citizen Award, Gore elogiò la cultura e la passione del principe di Galles e disse che sui temi dell’ambiente essi discutevano insieme da almeno vent’anni. Carlo apparse visibilmente commosso dall’onore tributatogli da Gore: “Ci piaceva davvero molto parlare di questi temi tempo fa. Ho seguito con ammirazione la sua carriera e ricevere da lui questa onorificenza è un privilegio davvero particolare”.

Gore è un sostenitore di Paul e Anne Ehrlich, due attivisti malthusiani che nel 1968 pubblicarono il libro “La bomba demografica”. L’opera contiene un’accozzaglia di temi pseudoscientifici, spesso truffe vere e proprie, miranti ad attribuire i problemi ambientali alla “sovrappopolazione” invece di riconoscere quelle che sono le cause reali: le strategie oligarchiche per affossare il progresso scientifico e tecnologico secondo le indicazioni di Thomas Malthus.

Non si tratta certo di un dibattito sulle opinioni. Come vice presidente degli USA Gore minacciò di tagliare ogni aiuto economico al Sud Africa se il paese non abbandonava i piani per produrre in  proprio e per importare i medicinali generici prodotti a buon mercato per curare i malati di AIDS. In questo caso le sue “opinioni” malthusiane fecero scudo agli interessi delle grandi case farmaceutiche.

A quell’epoca i sudafricani contagiati dal virus HIV erano circa 6 milioni e quei medicinali generici avrebbero ridotto le loro sofferenze e prolungato la loro vita. Oggi le cure per l’AIDS costano 800 dollari al mese ed è certo che sono pochi i sudafricani che possono permettersele.

Il libro “The Population Explosion” del 1990, di cui Al Gore ha firmato l’introduzione, presenta il principe Filippo come una delle principali figure mondiali “che hanno preso coraggiosamente posizione sulla questione demografica ed i suoi rapporti con i problemi ambientali”. E’ vero, il principe lo disse papale papale, come riferì la Deutsche Presse Agentur nel 1988: "Nel caso in cui mi reincarnassi, mi piacerebbe tornare sottoforma di un virus mortale, in modo da poter contribuire in qualche modo a risolvere il problema della sovrappopolazione". Anche se Al Gore non ha ripetuto questa stessa frase, non fa mistero di pensarla allo stesso modo.

 

Le lezione della Convention democratica del 1932

Di fronte al rischio di una convention democratica in cui non c’è il margine minimo necessario per uno dei candidati, Lyndon LaRouche ha raccomandato di studiare il precedente storico della vittoria di Franklin D. Roosevelt che nel 1932 si aggiudicò la nomination alla convention di Chicago, neutralizzando la manovra per estrometterlo. Visto che gli inglesi sono impegnati a manipolare il processo elettorale attuale, la lezione è decisamente utile.

Appena eletto governatore di New York, nel 1928, Roosevelt lanciò un’offensiva contro i banchieri di Wall Street. L’amministrazione del presidente Hoover però si precipitò a bloccare i suoi sforzi per proteggere la popolazione dalle conseguenze del crac della borsa del 1929. Quando annunciò la sua candidatura alla Casa Bianca, il 22 gennaio 1932, Roosevelt era senza dubbio il favorito. Gli interessi finanziari capeggiati dai Morgan, che estendevano i tentacoli nel partito democratico, fecero il possibile per impedire che egli si aggiudicasse la nomination. I delegati furono manipolati in maniera tale che nei primi ballottaggi si arrivasse ad una situazione di stallo tale da richiedere poi “un candidato di compromesso”. Per questo si puntò su Newton D. Baker, un “uomo di Morgan” che era stato Segretario della Guerra sotto Woodrow Wilson (1916-1921) ed era poi diventato rappresentante legale degli interessi dei Morgan a Cleveland nell’Ohio.

Roosevelt aveva vinto 11 delle 13 primarie a cui aveva partecipato e alla convention poteva contare su più della metà dei 1154 delegati. Per la nomination però non bastava perché ne occorrevano due terzi, almeno 770. La Convention di Chicago era un po’ come un campo minato politico, in cui questioni secondarie come il proibizionismo furono usate per evitare le questioni centrali di come risolvere il problema di un’economia allo sbando completo.

Negoziati e maneggi si protrassero a lungo, con le forze dei Morgan impegnate in tiri mancini, come quei telegrammi che l’editore di destra Walter Lippman spedì a tutti i delegati per bollare Franklin Delano Roosevelt come “divisivo”. Roosevelt rispose con un suo telegramma: “Sono sceso in campo per restarvi. E’ uno scontro per i princìpi. Una chiara maggioranza della convention capisce che si combatte per mantenere il partito intero immune dai diktat di un piccolo gruppo che rappresenta degli interessi nella nazione che non hanno posto nel nostro partito”.

Puntando il dito direttamente sulla cabala di Wall Street e Londra dietro alla manovra per negargli la nomination, Roosevelt riuscì a convincere. Di fronte al rischio di un’altra nomina controllata dai Morgan, i delegati di California e Texas decisero di gettare i propri voti sul piatto di Roosevelt conferendogli così la nomination.

Nelle presidenziali di novembre egli si aggiudicò una vittoria travolgente contro Hoover. Ma ad ogni passo fu ostacolato dalle palle al piede degli infiltrati nel suo partito. Una volta superati questi ostacoli, il 15 febbraio 1933 Roosevelt subì un attentato che scampò per un pelo. E di nuovo nel 1934 ci fu un tentativo di colpo di stato istigato dagli interessi dei Morgan, allo scopo di instaurare un regime corporativista negli Stati Uniti.

 

La Clinton si libera di una palla al piede

Il 6 aprile Hillary Clinton ha licenziato Mark Penn, agente britannico infiltrato al vertice della sua macchina elettorale. La stampa racconta che la campagna clintoniana ci perde lo smalto. In realtà le cose stanno diversamente.

L’impresa di consulenze Burson-Marsteller di Mark Penn appartiene al monopolio britannico della pubblicità WPP Group. Dal 2000 lo stesso gruppo ha acquisito diverse imprese di relazioni pubbliche e di consulenze politiche negli USA, tra cui l’agenzia di rating Nielsen TV (che riesce anche a fare bocciare gli spot elettorali dei candidati), la Black Manafort (ora chiamata BKSH) e la Penn, Schoen & Berland. Si capisce che tali acquisizioni servono a rafforzare la presa di Londra sul processo elettorale americano. Mark Penn era al vertice della campagna elettorale della Clinton, Charles Black di BKSH è consigliere di John McCain e Doug Schoen, ex socio di Penn, è tra i primi consiglieri di Michael Bloomberg. Sembra che l’acquisizione della Penn-Schoen sia stata estremamente conveniente per lo stesso Penn. Tra i suoi nuovi padroni di WPP figura il fondatore Martin Sorrell, direttore dell’agenzia Saatchi&Saatchi che nel 1979 portò alla vittoria Margaret Thatcher ed in cambio ottenne incarichi dalle grandi imprese che lei allora privatizzò.

Penn, noto per l’opposizione viscerale agli indirizzi rooseveltiani, di conseguenza osteggia la politica della Clinton a favore dell’80% degli americani il cui reddito continua a restringersi a vista d’occhio. L’ABC News riferiva che Penn andò letteralmente in bestia a febbraio per uno spot elettorale che criticava lo stato pietoso in cui è ridotta l’economia USA: pignoramenti, perdita di posti di lavoro, costi finanziari e aumento della bolletta sanitaria.

Successivamente Penn ha sabotato l’opposizione di Hillary al liberismo sfrenato. Finalmente è stato licenziato quando si è risaputo che aveva ricevuto una lauta mancia dal governo colombiano per favorire un patto liberoscambista con la Colombia, una politica alla quale la Clinton è contraria.

Inoltre, un’impresa affiliata alla Burson-Marsteller di Penn ha preso le difese di Eric Prince, amministratore delegato di Blackwater nelle audizioni dell’anno scorso, mentre la Clinton propone la rinuncia ai contractor privati come Blackwater in Iraq.

Il 6 aprile il Daily Mail scriveva che il premier britannico Gordon Brown “pianifica segretamente di accaparrarsi i sondaggisti più costosi del mondo per cercare di rilanciare le proprie sorti politiche”. “Mr. Brown può assumere solo il multi-miliardario Mr. Penn” continuava il Daily Mail “se la signora Clinton è costretta a rinunciare alla corsa per la Casa Bianca a favore di Obama, come prevedono molti esperti”. Brown aveva precedentemente assoldato due ex dirigenti del WPP Group affidando loro le strategie del numero 10 di Downing Street.


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