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Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà
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La battaglia per la presidenza USA

18 maggio 2008 – Lyndon LaRouche ha descritto la netta vittoria che Hillary Clinton ha riportato su Barack Obama — 41 punti di vantaggio — nelle primarie in West Virginia il 31 maggio come “l’avvenimento più importante della storia mondiale nell’ultimo mese”. Si tratta infatti di un esempio di come gli individui possono intervenire energicamente nella situazione per ribaltarne le sorti.

È esattamente ciò che una fazione dell’establishment anglo-americano ha cercato disperatamente di impedire, giacché teme più di ogni altra cosa che negli USA emerga un presidente capace di contrapporsi ai disegni imperiali. I mezzi d’informazione e la leadership corrotta del Partito Democratico hanno attivamente sostenuto questo gioco oligarchico.

Nel periodo che ha preceduto le primarie della West Virginia personaggi come Felix Rohatyn e George Soros hanno orchestrato un’ondata di richieste e appelli alla senatrice Clinton affinché gettasse la spugna. Lei invece è riuscita a spuntarla mantenendo la partita aperta per la nomination. Come abbiamo già riferito, dai piani alti hanno fatto sapere, agli stessi Clinton, che una “presidenza Clinton-Clinton” non è ammissibile perché sarebbe troppo indipendente.

Ma questa non è certamente la linea dei mezzi d’informazione per il grande pubblico. Questi dicono semplicemente che la Clinton non disporrà del numero di delegati occorrente per battere Obama. Nel discorso pronunciato il 17 maggio nel Kentucky la sen. Clinton ha affermato: “Attualmente il voto popolare mi conferisce il vantaggio ... Se si fa la somma degli stati che ho vinto ho 300 voti elettorali e ne occorrono in totale 270 per vincere. Ci sono però degli stati dove ho vinto che, a novembre, non voteranno democratico, come Texas o Oklahoma. Ciononostante ho un margine di sicurezza. Il mio rivale ha raccolto un totale di 217 voti elettorali, molti dei quali in stati come Alaska, Idaho e Utah che da tanto tempo non votano democratico. Se si guarda agli stati in cui dobbiamo vincere, se si guarda ai grandi stati, se si guarda agli ‘swing states’, io sono il candidato più forte".

Nonostante ciò Obama continua a comportarsi come se avesse già la nomina in tasca, arrivando a sfidare McCain ad un dibattito faccia a faccia all’inizio di giugno. Quando è rimasta a corto di espedienti, l’organizzazione elettorale di Obama ha cercato di comprarsi la Clinton offrendole di coprire i suoi debiti elettorali, che si stimano tra i 25 ed i 30 milioni, se lei si fa da parte.

Hillary non ha accettato ma ha intensificato la sua campagna rivolta agli strati meno abbienti, che sono l’80% dell’elettorato, insistendo sulle soluzioni alla grave crisi economica. Mentre i mezzi d’informazione la davano per spacciata l’elettorato democratico della West Virginia ha risposto positivamente a questa campagna. Nel tentativo di minimizzare il fatto che ha perso con 41 punti di svantaggio, a soccorrere Barack Obama è accorso John Edwards che gli ha dato il suo sostegno, presentandosi come il rappresentante delle classi lavoratrici che in passato hanno votato a grande maggioranza per Clinton. Bisogna vedere se l’espediente funziona. Edwards ha la fama del perdente, potrebbe quindi rivelarsi una palla al piede, più che un sostenitore, per Obama.

Nel discorso pronunciato dopo le primarie del West Virginia Hillary Clinton ha ribadito ancora una volta che continuerà a combattere. Giacché l’economia è la questione più importante, e la crisi è destinata per sua natura ad aggravarsi, le possibilità che lei si aggiudichi la nomination sono destinate ad aumentare.

Dai sondaggi risulta che l’elettorato vota per la Clinton non solo per l’economia ma perché le riconosce il coraggio di battersi fino in fondo.

 

I maneggi di Howard Dean

Il presidente dell’organo direttivo del partito democratico USA, Howard Dean, è deciso a calpestare i diritti elettorali di coloro che, negli stati di Florida e Michigan, si sono recati alle urne. In questi stati, i rispettivi governi hanno deciso di anticipare il voto ad una data precedente a quella ammessa dall'organo direttivo del partito democratico, e quest'ultimo ora punta i piedi e non vuole riconoscere la validità di quel voto, sebbene gli elettori abbiano espresso la propria preferenza in maniera inequivocabile. Pur di affossare la candidatura di Hillary Clinton, Dean è pronto a creare una crisi di vaste proporzioni, tali da comportare la perdita delle elezioni di novembre.

Si consideri quanto segue: Terry McAuliffe, dirigente dell’organizzazione elettorale di Hillary, ha spiegato a “Face the Nation” della CBS, l’11 maggio, che le regole del Democratic National Council, l’organo centrale del partito presieduto da Dean e di cui egli stesso è stato presidente in passato, consentono di escludere al massimo una metà e non tutti i delegati di uno stato in cui le primarie vengono svolte in violazione delle procedure previste dal DNC. Se il DNC si fosse attenuto a questa regola, ha spiegato McAuliffe, una decisione del genere poteva essere allora accettata dall’organizzazione di Clinton. Invece Dean ha deciso di creare deliberatamente una crisi con un colpo di penna sui diritti elettorali degli elettori della Florida e del Michigan.

Adesso Hillary vuole che tutti i delegati eletti in Florida e in Michigan siano ammessi alla Convention, perché intende far leva sulla questione dei diritti elettorali.

Il sen. Carl Levin e il gov. Jennifer Granholm, ambedue del Michigan, e Debby Dingell hanno fornito nuovi elementi sulle malefatte di Dean. In una lettera al DNC l’anno scorso, essi sostennero che la penalizzazione del Michigan per aver anticipato le primarie è un’applicazione discriminatoria di una regola di partito che non è stata invece applicata al New Hampshire, stato che ha violato anch'esso l’ordine in cui avrebbero dovuto tenersi le primarie redatto dal DNC. Dunque Dean assolve il New Hampshire e condanna Michigan e Florida, due stati colpevoli di aver dato la preferenza alla Clinton.


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