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Medvedev ha anche visitato il Kazakistan e le regioni dell'estremo oriente della Russia, per un viaggio di complessivi 23000 km. Questo viaggio ha fatto sorgere un dibattito a livello nazionale, a proposito del futuro di quelle regioni. La loro situazione, infatti, è assai critica, come ha ripetutamente asserito Medvedev, nel corso di numerose conferenze. Il dibattito è arrivato al punto in cui i leader russi si confrontano direttamente con la politica "americana" di Sergej Witte.

Lo stesso 26 settembre, il sindaco di Mosca Yuri Luzhkov ha sostenuto, in un'intervista al quotidiano RBC, la necessità che le autorità seguano l'esempio di Sergej Witte, primo ministro dello zar Nicola II, il quale, comprendendo l'importanza strategica di sviluppare quelle regioni, si spese affinché fossero integrate il più possibile con la Russia occidentale. Un'iniziativa del governo di Mosca è quella di potenziare i trasporti interni verso la Russia orientale (anche per mezzo di una flotta aerea), grazie alla cooperazione con la Società Statale di Tecnologia. Luzhkov ha detto che "Mosca sta anche costruendo degli insediamenti residenziali a Vladivostok e ha in programma l'espansione di questi aiuti". Come riferisce l'RBC, anche Sergej Shoigu, Ministro per le Situazioni d'Emergenza, ha sottolineato l'importanza delle politiche pre-rivoluzionarie impiegate per sviluppare l'Estremo Oriente, tra le quali l'erogazione di prestiti senza interessi rivolti alla popolazione locale e l'esenzione dal servizio militare per gli uomini.

Medvedev non ha nascosto il carattere tragico della situazione dell'Estremo Oriente russo, principalmente dovuta al sottosviluppo e specialmente alla riduzione della popolazione locale. Nell'incontro pubblico di chiusura della sua visita in Kamchatka, il 25 settembre, egli ha avvertito della possibilità che la Russia perda dal suo controllo l'intera regione. Le sue parole sono state: "dobbiamo comprendere un fatto perfettamente ovvio e, incidentalmente, più facilmente percepibile quando si risiede veramente nell'Estremo Oriente. Se non intensifichiamo il nostro lavoro, allora è possibile che perdiamo tutto. Non ha senso il dire "una volta per tutte", in queste situazioni. Ogni cosa che, dal punto di vista di un dato essere umano, risulta irremovibile, talvolta finisce in modo molto drastico. Non sto suggerendo qualcosa di particolare, benché il collasso dell'Unione Sovietica sia l'esempio più evocativo, a questo riguardo. È a causa di quello che dobbiamo concentrarci su quanto accade qui, nel nostro lavoro quotidiano. Se avremo mancato di farlo, le conseguenze potranno essere irreversibili e, sfortunatamente, accadere molto in fretta".

L'RBC ha citato anche Konstantin Simonov, presidente del Fondo per la Sicurezza Nazionale Energetica, il quale avrebbe ricordato come soltanto il governo possa risolvere i problemi più grossi: "I grandi investimenti associati a rischi altrettanto grandi non è roba per privati". "Ciò significa che è necessario un tipo di mobilitazione comparabile a quella dei Gulag [sic], ma il nostro governo è troppo debole, rilassato e sibaritico, e anche in preda della paura di essere accusato di dirigismo. Ciò è assai strano, per la massima nazione del mondo, ove soltanto il 15% della popolazione vive nella sua capitale, Mosca".

Anche il Vicepresidente del Centro Nordoccidentale di Ricerca Strategica, Maxim Perov, ha denunciato la criticità della situazione, parlando allo stesso quotidiano. L'Estremo Oriente è già separato dal resto della Russia; inoltre, egli dice, "quella regione deve orientarsi verso alcuni punti asiatici di grande crescita, come Pechino, Seoul e Tokyo". Le importazione dall'Asia, infatti, coprono il 90% dei beni di consumo, mentre le piccole e medie imprese russe sono "soffocate" dagli alti costi dei trasporti e dell'elettricità. Infine, Rostilav Turovskij, Direttore Generale dell'Agenzia di Studi Regionali, vede l'area come "russa de jure, ma passibile di diventare de facto una base di estrazione di materie prime per la Cina e il Giappone".


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