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Il Vicepresidente di Movisol, intervistato da Bergamo Economica: "Cancellare il debito dei derivati"

30 ottobre 2008 (MoviSol) - Nel suo intervento ad un convegno organizzato da Api Industria Lombardia, il Vicepresidente di MoviSol Claudio Celani aveva sostenuto che il sistema economico globale avrebbe dovuto essere sostituito dal rilancio dell’economia fisica.

“La delocalizzazione per molti imprenditori è l’ultima ratio per sopravvivere alla pressione della concorrenza, ma dal punto di vista economico è una perdita netta di produttività del sistema”, sostiene ora l’esperto, nella recente intervista esclusiva per Bergamo Economica, qui sotto riportata.

Senza industrie sul territorio l’economia è destinata al declino

di Giuseppe Purcaro - Condirettore dell’Agenzia di informazione “Executive Intelligence Rewiew” (Eir-Strategic Alert), organo ufficiale del think tank internazionale di studi economici e politici “Political action Committee”, fondato dall’esponente democratico americano Lyndon LaRouche, Claudio Celani, sostenitore delle teorie economiche di LaRouche, nel suo intervento (“Fine della globalizzazione: rinascita dell’industria?”) in un recente convegno organizzato da Api Industria Lombardia, ha catalizzato l’attenzione della platea di piccoli e medi imprenditori bergamaschi (ormai abituati a vivere la globalizzazione dei mercati, ogni giorno).

Messaggio forte è stata l’invocazione di un nuovo New Deal roosveltiano a livello planetario, crisi del sistema economico globale e rilancio dell’economia fisica. Ma quanto è l’economia fisica e quanto quella di… carta?

Partiamo dallo scenario bergamasco. È stimato in quasi 34 miliardi di euro il prodotto interno lordo della provincia di Bergamo nel 2007 secondo la ricerca realizzata da Unioncamere e Istituto Tagliacarne. Si tratta di oltre il 2% del Pil italiano. Rispetto al 2006 il Pil bergamasco ha realizzato una crescita del 6,7%, un valore superiore sia alla media lombarda (più 5,3%), sia alla media nazionale (più 4%).

In valore assoluto il Pil totale della provincia di Bergamo risulta essere il sesto tra tutte le province d’Italia. Per fortuna, l’industria è ancora forte con un 49,8% di addetti. Ma il terziario sta tallonando al 48,7%.

Gli sbocchi occupazionali sono sempre più concentrati nel cosiddetto terziario-commerciale. Meno capannoni, meno manifatture, più commercio. Nell’imprenditore c’è la spinta non solo a vendere su mercati esteri, ma anche a produrvi. La testa a Bergamo, le braccia in Cina, in Romania, in India o altrove. Possiamo permetterci una costante e graduale delocalizzazione a tutto vantaggio di riconversione di aree dismesse in altro? Più case, più uffici, più centri commerciali e meno fabbriche?

“Un’economia senza industria sul territorio è destinata al declino. La delocalizzazione per molti imprenditori è l’ultima ratio per sopravvivere alla pressione della concorrenza, ma dal punto di vista economico è una perdita netta di produttività del sistema. Né vale la tesi di chi sostiene che l’Italia debba dedicarsi a fabbricare prodotti di ‘nicchia’. Non si sopravvive con le nicchie, né producendo solo turismo e cultura. Nel Secolo XIX, prima dell’unificazione, l’Italia esportava solo prodotti di ‘nicchia’. Il più ricercato erano i castrati”.

Sistema del prestito: le imprese manifatturiere, di ogni tipo, hanno bisogno dell’accesso al credito. Il sistema bancario non raccoglie il consenso degli imprenditori, nonostante Basilea 2 abbia introdotto certi criteri di rischio. È sufficiente? O si potrebbe profilare all’orizzonte una grande riforma del sistema bancario ritornando alla sua originaria vocazione pubblica? Meno banche d’affari e più banche al servizio dell’impresa che vuole investire?

“Una delle cause dell’attuale crollo del sistema finanziario è dovuta al fatto che le banche ordinarie, le banche commerciali e le stesse banche d’affari sono diventate schiave di entità che esse stesse hanno prodotto, gli hedge funds, i ‘veicoli’, ecc. Questo sistema è crollato, tant’è vero che l’interbancario non esiste più ed è stato sostituito dalle banche centrali, che ne svolgono letteralmente le funzioni. L’economia ha bisogno delle banche e per questo occorrerà tornare ad una separazione tra banche ordinarie e banche d’investimento. Le prime dovranno dedicarsi alla raccolta e al finanziamento delle attività produttive”.

Siamo prossimi al crollo del sistema finanziario. Bisogna contrapporre forti decisioni politiche per bloccare la crisi finanziaria derivante dal buco di 947 miliardi di dollari: quali azioni intraprendere per non far colmare il buco ai governi e quindi alla collettività? Ancora soldi in cambio di liquidità come propone Bernanke della Fed?

“Il buco è in realtà un multiplo di quella cifra di 947 miliardi di dollari. Fra tre mesi il Fondo Monetario forse raddoppierà quella cifra. L’intera massa delle cartolarizzazioni, dei derivati sul credito e degli altri ‘prodotti’ finanziari ammonta a diversi bilioni (migliaia di miliardi) di dollari. Cercare di rifinanziare questo debito vuol dire generare un’iperinflazione come quella che distrusse la Germania di Weimar nel 1923. Già avvertiamo fortissimi segni di quest’inflazione. L’altra soluzione proposta dalla Banca d’Inghilterra e ripresa da diversi organismi, compreso il Global Financial Stability Forum del governatore Draghi, è di accollare ai bilanci statali il salvataggio. A prescindere dal fatto che si tratta di cifre astronomiche, ma è impensabile far pagare anche una frazione di quelle cifre ai contribuenti, a meno che non si elimini la democrazia. Non c’è alternativa: quel debito, o gran parte di esso, va cancellato”.

L’aumento dei servizi e la contemporanea deindustrializzazione delle economie nazionali ha una semplice conseguenza: si continua a consumare, ma senza produrre. Ciò comporta che l’unico modo per pagare i consumi sia quello di accumulare debiti... un giro vizioso?

“È un giro vizioso che ha portato gli Stati Uniti a creare una bolla speculativa sull’altra per continuare a finanziare i consumi. Questo sistema era già fallito nel 1987, quando ci fu il grande crac in borsa a Wall Street, che in valore assoluto fu più grande di quello del 1929. Il governo americano avrebbe dovuto riconoscere l’insolvenza e riorganizzare le banche, ma si fidò di Alan Greenspan, che promise di salvare il sistema introducendo i derivati. In pratica degli assegni in bianco che poi le banche si giravano tra loro e sui quali venivano emessi altri assegni. È il sistema della prima grande bolla della globalizzazione, quella di John Law, nella Francia della prima metà del secolo XVIII. Portò alla bancarotta delle finanze statali e preparò il terreno alla Rivoluzione Francese”.

C’è chi propone il ritorno di una forte regia pubblica nell’economia, attraverso un rilancio delle opere pubbliche: una sorta di nuovo “New Deal” può essere una soluzione, aumentando la dotazione di infrastrutture nel nostro Paese? Dirigismo e Stato possono tornare ad essere “belle parole”?

“Il dirigismo non è mai morto. La globalizzazione predica il libero mercato, ma in realtà è un dirigismo al contrario: viene favorita la finanza e punita l’industria. Si nega allo stato di creare debito pubblico, con cui finanziare gli investimenti produttivi e quindi creare ricchezza reale, ma si favorisce a dismisura l’indebitamento privato, delle banche, delle imprese e delle famiglie. Un rilancio delle opere pubbliche su vasta scala, simile al New Deal, non solo è possibile ma è oggi l’unico modo per riavviare una ripresa dell’economia mondiale. Lo stato non deve sostituirsi all’impresa privata ma deve creare le condizioni perché questa possa operare liberamente. In tempi di depressione economica, come quella attuale, lo stato è l’unico ente che può fungere da ‘traino’, con le opere pubbliche. Si tratta di creare debito pubblico con cui finanziare gli investimenti”.

Ma non sarà difficile creare debito pubblico in Europa, con i parametri di Maastricht e il patto di stabilità che ci impedisce di superare il 3% di deficit?

“L’Europa soffre di una struttura anacronistica, nata per ingabbiare la Germania dopo la riunificazione, ma rivelatasi una prigione per tutti. Mentre gli USA, la Russia, la Cina, l’India e tutte le altre nazioni sono economicamente sovrani, l’Europa ha abolito la sovranità degli Stati ma non l’ha sostituita. Abbiamo una Banca Centrale Europea pensata per contabilizzare l’economia della ‘mano invisibile’ a cui sarebbe spettato il compito della crescita. Lo schema è fallito e ora c’è un vuoto di governo. Gli stati non possono creare debito per gli investimenti ma non c’è nessun altro che possa farlo. Il trattato di Lisbona, che viene approvato alla chetichella, senza che nessun parlamentare l’abbia letto, ingesserà questa situazione. Qualcuno propone di fare il salto e creare un debito pubblico europeo, con gli ‘eurobonds’. L’intenzione è giusta ma non funziona. Occorre ripensare questo sistema e reintrodurre uno spazio ‘nazionale’ per fare le politiche di investimenti”.

Bergamo ha, nello scalo di Orio, ormai il quarto aeroporto italiano per numero di passeggeri. Quale ruolo potrà avere in questo rinnovato scenario mondiale, il trasporto aereo passeggeri e anche merci? In altre parole, che utilità può avere il Corridoio 5, ad esempio, se in aereo, da Kiev e Barcellona, si impiega molto meno che in treno?

“Il sistema di trasporto aereo e quello ferroviario sono complementari. In uno scenario di ripresa economica, il traffico su Orio al Serio continuerà ad espandersi, mentre la ferrovia è destinata a sostituire gran parte del trasporto su gomma. Il Corridoio 5 va visto come impulso alla produttività perché abbatterà i tempi di trasporto e quindi i costi del traffico merci che attualmente si svolge su gomma. In vista del fatto che per una rete veramente integrata il sistema del treno a levitazione magnetica (maglev) è ideale, perché supera il problema dei diversi scartamenti russo e occidentale, e vista la crescente importanza dello scalo di Orio al Serio, si potrebbe proporre di costruire per Milano Expo un tratto a levitazione magnetica tra Bergamo-Milano e Malpensa, che poi potrebbe essere esteso verso Torino e Venezia, e in seguito verso est e ovest. Il costo iniziale dell’investimento non raggiungerebbe nemmeno la metà di quanto il governo inglese ha stanziato per salvare la banca Northern Rock. In dieci minuti da Bergamo a Milano”.

La globalizzazione dei mercati porta a una politica di pricing molto al ribasso. Come sfuggire alla concorrenza del prezzo?

“La delocalizzazione è la risposta sbagliata. Prima o poi si alzano i costi anche nei paesi oggi ‘convenienti’. Al convegno di Bergamo ho parlato con un imprenditore tessile che ha delocalizzato in Romania e che adesso, di colpo, si trova a pagare il 50% in più di costi del lavoro, a causa dell’ingresso di quel paese nell’Ue. Lo stesso vale, in prospettiva, per la Cina e l’India. Il governo deve proteggere le imprese nazionali, incentivandole a rimanere a produrre sul territorio. Nell’attuale sistema della globalizzazione ciò è impossibile.

Si devono creare le condizioni per un mercato interno in espansione e ‘protetto’. Se è necessario, con i dazi e battendosi perché vengano applicati a livello europeo. Chi strilla che i dazi sono cose del passato, non si accorge che molti paesi li stanno reintroducendo per proteggersi dagli effetti della crisi del cibo. Gli Stati Uniti e tutti gli altri paesi industriali, compresa l’Italia, si sono sviluppati quando hanno applicato un sistema di dazi. Storicamente, le fasi di globalizzazione, nate per espandere gli scambi, hanno portato ad un declino del commercio mondiale nel medio-breve periodo. Invece, le economie che hanno applicato i dazi, permettendo la crescita interna, hanno incrementato le importazioni nel medio-lungo periodo, perché la crescita trainava i consumi. Il problema comunque sarà risolto solo con una nuova Bretton Woods, un accordo mondiale sulle monete e sul commercio come ha proposto LaRouche e ha ripreso Giulio Tremonti.

La politica al ribasso del pricing si poggia anche sullo sfruttamento della forza lavoro nei Paesi emergenti. Non sarebbe ora che, oltre ai diritti umani, si esportasse in quelle aree un approccio keynesiano, con l’estensione dei diritti dei lavoratori a quei paesi che oggi esportano prodotti a buon mercato?

“La Cina ha già cominciato, introducendo una legge per la stabilizzazione del precariato che è più avanzata di quella italiana (ovviamente con i salari cinesi). L’Occidente dovrebbe aiutare Cina, India e altri paesi a sviluppare rapidamente un mercato interno, basato su alti prezzi e alti salari, a cominciare dall’agricoltura.

Per far ciò, occorrono investimenti ad alta intensità di capitale nelle infrastrutture e nella modernizzazione dell’agricoltura e nell’industria. Se si imbocca questa strada, quei paesi non saranno più costretti a sopprimere i diritti dei lavoratori per continuare a produrre a basso costo. Il dumping sui mercati occidentali oggi costituisce spesso, per questi paesi, l’unica fonte per procurarsi valuta occidentale con cui acquistare tecnologie per gli investimenti. Si tratta però di uno scambio ineguale e insufficiente a far decollare quelle economie. Se ripristiniamo il credito pubblico, si può adottare l’approccio inverso. Accordi bilaterali per grandi progetti di sviluppo possono generare il credito per gli investimenti”.

Il nuovo New Deal propone un grande collegamento mondiale di infrastrutture, concorrenziale a quello marittimo: ci tratteggi in sintesi la rete di infrastrutture di cui Italia (Lombardia compresa) e Europa avrebbero bisogno.

“L’Italia ha bisogno di infrastrutture al Nord, al Centro e al Sud. Parte di queste infrastrutture sono già pianificate nei Trans European Networks, di cui fanno parte il Corridoio 5 Lisbona-Kiev e il Corridoio1 Berlino-Palermo. Questi corridoi assumono un’importanza ancora maggiore se si considera che presto potrebbe partire il progetto per la costruzione del Tunnel sotto lo stretto di Bering, che collegherà il continente eurasiatico a quello americano. Il governo russo appoggia il progetto e ha già programmato la costruzione della linea ferroviaria fino alla città di Uelen, quindi fino allo stretto. Per la prima volta nella storia sarà possibile un sistema di trasporti terrestre su quattro continenti, concorrenziale con il trasporto marittimo. La Lombardia sarebbe al centro di queste grandi direttive. Dunque, non solo il Corridoio 5 ma anche il raddoppio dei valichi transalpini, il passante di Mestre, la Brebemi e la Pedemontana, vanno tutti visti in questo contesto.

C’è da aggiungere che anche il Ponte sullo Stretto di Messina va visto in questo quadro. Come suggerisce il prof. Aurelio Misiti, il ponte unirà le città di Messina e Reggio Calabria in una grande metropoli, già servita dal grande porto commerciale di Gioia Tauro e quindi collegata con l’alta velocità lungo il Corridoio 1. Questo diventerà il centro di gravità del Mediterraneo e andrà fornito di un grande scalo aereo da collocare al centro della Sicilia, dove c’è spazio per costruire le piste destinate al volo ipersonico. Inoltre, c’è il progetto del Tunnel tra Sicilia e Tunisia, circa cento chilometri, che come fattibilità è simile a quello sotto lo Stretto di Bering, e quindi il disegno di collegare l’Africa al continente europeo.

La teoria economica di Lyndon LaRouche (che fate vostra) considera la crescita del Pil come un fattore imprescindibile sia per Paesi con economie storicamente forti sia per Paesi ad economie emergenti. Più Pil per tutti. Altro che decrescita economica e demografica. Ma fino a quale punto è possibile spingere sull’acceleratore dello sviluppo economico globale (e sull’aumento demografico) senza considerare la tenuta del sistema ambientale della Terra?

“Una correzione: non la crescita del Pil ma la crescita dell’economia fisica. Il Pil contabilizza tutto, anche la ‘monnezza’. Parliamo quindi di crescita reale, in termini di infrastrutture, consumi delle famiglie, sanità, scuola ecc., ma il discorso va ribaltato. Crescita significa sostituire le tecnologie che esauriscono le attuali risorse con tecnologie che definiscono nuove risorse, e quindi aumentano la tenuta del sistema ambientale. I sostenitori della decrescita considerano l’uomo un corpo estraneo al sistema, e quindi cercano di ridurne la presenza e l’attività, mentre invece esso fa parte della biosfera. Un grande scienziato russo,Vernadsky, ha classificato i regni non vivente, vivente e noetico (cognitivo) come sistemi integrati in un unico sistema, la biosfera, in cui aumenta il rapporto tra il secondo elemento (quello vivente) e il primo (quello non vivente), e tra il terzo elemento (quello cognitivo rappresentato dall’uomo) e il secondo. Questa è la legge dell’universo, e dunque la terra ha bisogno dell’apporto dell’uomo che cattura i segreti della natura e li applica per migliorare la terra stessa. Dunque il flusso energetico della biosfera deve aumentare per assicurarne il futuro. Certamente, un giorno la crescita demografica costringerà l’uomo a cercare altri lidi e a colonizzare altri mondi, a cominciare da Marte. Dobbiamo iniziare già oggi a pianificarlo, ma il giorno in cui ciò avverrà è ancora distante”.

Bergamo Economica intervista Celani


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