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Intervista a Nino Novacco (Svimez): senza intervento straordinario nel Mezzogiorno, l'Italia implode

Garantire la crescita dell’Italia attraverso la infrastrutturazione ed industrializzazione del Sud. Il Mezzogiorno – con la voce della SVIMEZ – enuncia alcuni spunti e condizioni per superare il dualismo nazionale.

Uno scambio di idee di Nino Novacco, Presidente della SVIMEZ, con un osservatore internazionale (1).

L'Italia è al bivio. O riprenderà la strada delle politiche di sviluppo che caratterizzarono il periodo iniziale della Cassa del Mezzogiorno, o potrà addirittura finire col mettere a rischio l'unità stessa dello Stato-Nazione. Questo è il preoccupato giudizio di Nino Novacco, presidente della SVIMEZ e pioniere della ricostruzione post-bellica accanto a Vanoni, Saraceno, Pescatore e gli altri padri fondatori della politica per il Mezzogiorno. "Per pochi decenni, dal 1950 fino alla metà degli anni '70, la Cassa fu un valido strumento, straordinario e aggiuntivo" che permise ed avviò la rincorsa del Sud verso i livelli del Centro-Nord, rincorsa fermata con la "determinazione maturata irresponsabilmente nel 1993 – dopo 20 anni di approcci micro-regionalistici -, di sopprimere senza 'ammortizzatori' economico-sociali gli aspetti più positivi di quella scelta", afferma Novacco. "In conseguenza di essa, politiche ed interventi per il Sud vennero contestualmente messi in crisi da una colpevole cultura, assai politicizzata, sociologicamente ispirata all'ordinarietà e al localismo".

Riguardo al giudizio sull'intervento straordinario, il clima sembra oggi cambiato in Italia. Mentre ieri la "Cassa per il Mezzogiorno" veniva demonizzata, enfatizzandone le degenerazioni clientelari a partire da metà degli anni '70, oggi si assiste in Italia al recupero di un giudizio positivo, soprattutto sulla fase in cui quella Istituzione "straordinaria" fu guidata da Gabriele Pescatore. Da più parti viene suggerito di riprendere il modello della Cassa per avviare politiche di superamento del divario tra Nord e Sud, e di traino per la ripresa.

Lo spunto più recente per questo dibattito è stato fornito proprio da un documento della SVIMEZ, pubblicato il 16 luglio, che mostra come negli ultimi anni il Mezzogiorno sia cresciuto (se si può dire così) di appena lo 0,3%, mentre le regioni sottosviluppate dell'Unione Europea crescevano in media del 3%. Inoltre, nell'ultimo decennio ben 700 mila italiani sono emigrati dal Sud al Nord in cerca di lavoro. Tra tutti, il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ha reagito affermando in un dibattito pubblico: «Se dipendesse da me, io rifarei la Cassa per il Mezzogiorno».

In realtà, da quando è scoppiata la crisi mondiale e sono crollate le ideologie liberistiche, si è fatto strada, tra ambienti anche di diversa tendenza politica, il convincimento di un necessario ritorno all'intervento dello Stato. Lyndon LaRouche stesso, nell'audizione alla Commissione Finanze della Camera italiana, nel giugno scorso, ha espressamente auspicato un ritorno all'idea originale di quella istituzione.

Il dott. Novacco ha sottolineato l'importanza di un recente intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha affermato la necessità – per superare il dualismo - di colmare il divario tra Nord e Sud.

La rivalutazione della Cassa per il Mezzogiorno avviene nel momento in cui sta maturando il dibattito sul ruolo del Mezzogiorno, osserva Novacco, e in cui si manifestano spinte che, nell'interpretazione radicale della riforma federalista - che è il vero obiettivo disgregante di chi accentua ogni giorno la sottolineatura di tutto ciò che può alimentare la diversità del progresso dei territori, deboli al Sud ed avanzati al Nord -, possono costituire una minaccia all’unità nazionale.

"Il federalismo – ivi compreso quello 'fiscale' – servirà assai poco al progresso del Paese se il Governo italiano non avvierà contestualmente una strutturale ed incisiva politica economica nazionale di sviluppo e di coesione, finalizzata alla unificazione anche 'economica' tra Mezzogiorno e Centro-Nord".

"Il fatto che il Mezzogiorno italiano si trovi al centro del Mar Mediterraneo, area geo-politica che sta subendo profonde e tendenzialmente positive trasformazioni ed innovazioni, non deve costituire fattore di facile ottimismo, ma deve spingere l’Italia ad audaci e fin costose scelte strategiche che – dei reali e potenziali cambiamenti nell'area mediterranea e negli Stati che gravitano su tale storico Mare – sappiano utilizzare quanto di meglio è possibile e necessario per assolvere ruoli logistici incisivi".

Tra le poche cose buone fatte dall'Unione Europea ci sono i corridoi transeuropei. Anche Lyndon LaRouche considera l'integrazione economica del continente eurasiatico attraverso corridoi di sviluppo. Due di questi corridoi, il corridoio 5 Berlino-Palermo, e il corridoio 8 verso la Puglia e i Balcani, investono il Mezzogiorno. Una nuova ed incisiva politica per il Mezzogiorno dovrebbe farsi carico dello sviluppo di tali infrastrutture lungo "linee intersettoriali di grandi dimensioni e di elevata qualità". Il Ponte di Messina, se integrato in questi, non è solo un modo per attraversare lo Stretto di Messina più rapidamente del traghetto, ma è un intervento che cambia tutto, specialmente se nel progetto globale si inserisce anche il collegamento sottomarino Sicilia-Tunisia, analogo a quello che si disegna tra il Marocco e la Spagna, sotto Gibilterra.

La normativa attuale, risultato della riforma "federalista" del 2001, non fornisce gli strumenti adeguati ad una innovativa politica "speciale" per il progresso delle "aree deboli" e per la coesione nazionale, perché affida le decisioni sugli investimenti in grandi infrastrutture alle singole regioni. L'istituto dell'"intervento straordinario" analogo nel merito a quello che per alcuni lustri tra il 1950 e il 1975 fu caratteristico della Cassa per il Mezzogiorno, è l'unico che, con un approccio e una visione d’insieme, e riflettendo responsabilmente anche sui "limiti" che allora certo vi furono per responsabilità di politici ed amministratori troppo "ordinariati" e localisti, potrebbe fare la differenza rispetto al troppo poco e male che caratterizza le attuali deboli e incerte politiche.


(1) Il testo di questa intervista informale è dovuto a Claudio Celani, dirigente dell’Edizione Italiana dell’EIR, Executive Intelligence Review.


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