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Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà
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Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà

   

Che cosa sono davvero i diritti umani?

3 gennaio 2010 - Il presente articolo, scritto inizialmente nel gennaio 2009, è ora integrato e ampliato con citazioni di Johann Wolfgang von Goethe e Papa Benedetto XVI, e un riferimento al memorandum per il Segretario di Stato americano "Porre la Gran Bretagna nella lista degli Stati che sostengono il terrorismo".


Particolare di una raffigurazione della stiva di una nave per la tratta attraverso l'Atlantico
("Abstract of Evidence" per la Camera dei Comuni, 1790-91).


Il generale collasso delle condizioni economiche mondiali procede di pari passo con la diffusione di conflitti più o meno irregolari, più o meno religiosi, più o meno etnici; ma con la solita regia di certi gabinetti imperiali.

Certe pratiche disumane come la tortura, il genocidio, la trasformazione coatta di bambini in soldati, ecc., sembravano consegnate alla storia, ma tornano sempre più ad occupare i notiziarii; risorgono gli eserciti mercenari e la pirateria più o meno patentata.

Con ciò, viene da domandarsi, nel senso più profondo del termine, che cosa siano i "diritti umani" e quanto sia davvero imprescindibile il fondare su di essi le relazioni tra i governi nazionali, l'azione degli Stati nei confronti dei cittadini, il vigore delle leggi, ecc.

Di questi diritti parlano tutti, compresi quelli che li violano; spesso le piazze si riempiono in loro difesa; ad essi si ispirano migliaia di associazioni.

Tuttavia, il tema dei diritti umani è diventato più oscuro, proprio da quando la potenza dell'industria fu gradualmente orientata al consumismo di una ristretta porzione di umanità, anziché mantenuta sul suo più naturale fondamento, il soddisfacimento universale dei bisogni, ovvero dei bisogni anche di quei milioni di persone ancora prive di acqua potabile, cibo, istruzione, ecc. che muoiono per malattie stupide, compiacendo così i disegni di qualche maltusiano.

Quel diverso e radicale orientamento consumista [1] trovò il suo complemento nell'edonismo sessantottino, il quale cominciò a sostituirsi efficacemente ad una più sana conduzione degli affari pubblici.

Da allora, si è avuta un'inarrestabile inflazione di istanze catalogate tra i diritti civili, ma che sempre meno assomigliano alla triade naturale di "vita, libertà e ricerca della felicità", nell'originale senso della teoria del Bene elaborata da G.W. Leibniz et al.

Queste istanze, invece, rispondono piuttosto alla richiesta di soddisfazione di capricci personalissimi. Questi, talvolta, si esprimono nei singoli cittadini con la furiosa, smarrita, tirannica ed infantile prepotenza di un ego che ignora in sé stesso il principio dell'immortalità, e riconduce il piacere dell'esistenza alla saturazione dei sensi o al pieno soddisfacimento dei "privati bisogni".

«Si è spesso notata», si legge nella lettera enciclica Caritas in Veritate, « una relazione tra la rivendicazione del diritto al superfluo o addirittura alla trasgressione e al vizio, nelle società opulente, e la mancanza di cibo, di acqua potabile, di istruzione di base o di cure sanitarie elementari in certe regioni del mondo del sottosviluppo e anche nelle periferie di grandi metropoli» [2].

Per riaggiustare la questione, cioè per tornare a rafforzare la battaglia per i veri diritti civili, è necessario partire da lontano: un modo è quello di osservare criticamente alcuni eventi della storia della colonizzazione africana, anche perché è un storia non ancora terminata.

Prime opposizioni al colonialismo

Nell'ultimo quarto del XVIII secolo, la Compagnia Britannica delle Indie Orientali prevaleva rispetto alle analoghe imprese di altra nazionalità (Compagnia Olandese delle Indie Orientali, Compagnia Francese delle Indie Orientali, Compagnia del Senegal e Dipendenze, varie piazzeforti private o comptoirs, ecc.). Pur prevalendo sulle altre, insieme a queste essa stava assolutamente subendo i colpi e gli effetti sfavorevoli di quella "guerra mondiale" che fu la guerra d'indipendenza americana.

Contemporaneamente si andarono associando i fermenti delle nuove idee avverse sia all'ancien régime sia ai sistemi coloniali di per sé.

La tratta dei neri e la schiavitù avevano cominciato ad interessare, infatti, alcuni gruppi di intellettuali francesi e inglesi. A Parigi, alcuni animavano la Societé des Amis des Noirs (1787). «A Londra», ricorda Romain Rainero [3], «l'offensiva abolizionista è guidata da Clarkson e da Wilberforce, che premevano sul Parlamento in vista della votazione del decreto di abolizione. La letteratura riguardo alla questione della tratta è vasta e di valore assai vario: va dal pamphlet allo studio più impegnativo, ma in genere si trovano difficilmente lavori che esaminino il problema nelle sue dimensioni reali al di là della semplice esposizione sentimentale o moralistica delle proprie opinioni».[4]

Rainero prosegue: «A molti è parso equivoco il condizionamento tra abolizionismo francese ed abolizionismo inglese e pertanto si è spesso insistito sul ruolo politico del movimento di Wilberforce, utile, secondo questi autori, ai fini della politica internazionale del governo di Londra, nel quadro della rivalità coloniale con la Francia ed appoggiato solamente per questi motivi.[5] Ben lo scrisse un grande colono di San Domingo, il quale a questo proposito affermava: 'I nostri rivali (inglesi) fingono di voler rinunciare alla tratta d'Africa: bel merito! Le loro isole delle Antille meno produttive delle nostre sono sovraffollate di Negri... l'India e il Canada serbano immense risorse. Rovinare la concorrenza, indebolire il commercio e la Marina (della Francia) era una bella rivincita per la perdita della Nuova Inghilterra'».[6]

«In nessun altro Paese vi è tanta ipocrisia ed impostura quanta in Inghilterra. Tutti conoscono le declamazioni degli Inglesi contro il traffico degli schiavi», affermò Johann Wolfgang von Goethe in proposito, «ma mentre essi vogliono darci ad intendere che la loro condotta è basata su principi umanitari, si scopre invece che il vero motivo è un interesse realistico, senza del quale, come è risaputo, gli Inglesi nulla fanno.
Sulle coste occidentali dall'Africa gli Inglesi stessi hanno bisogno dei negri per i loro immensi possedimenti, ed è quindi contro il loro interesse che questi siano esportati da quelle regioni. In America hanno essi stessi costituito grandi colonie di negri, che sono molto prolifiche ed annualmente forniscono grandi contigenti di schiavi. Esse provvedono ai bisogni nordamericani, e dànno un altissimo contributo al commercio; un'ulteriore importazione dei negri dall'Africa contrasterebbe quindi con gli interessi mercantili degli inglesi, e questa è la ragione per cui essi ora predicano - non senza scopo - contro il commercio inumano degli schiavi! [...] In nessun altro Paese predomina l'egoismo come in Inghilterra, nessun popolo è forse tanto inumano nei suoi rapporti politici e privati» [7].

Così si esprimeva, di già, il tipico approccio empirista degli Inglesi nell'aspirare al dominio imperiale.

Mentre nella Francia rivoluzionaria e napoleonica le dichiarazioni sulla schiavitù si alternarono prima che tutti i territori francesi d'oltremare fossero abbandonati o perduti [8], prosegue Rainero, «la questione dell'abolizione della tratta e della schiavitù fu ripresa dal Parlamento britannico, che approvò, il 2 gennaio 1807, la legge di abolizione presentata per ben sette volte dal Wilberforce e dal Clarkson. Con questo voto, che diede alla politica estera britannica una dimensione nuova, la lotta alla repressione della tratta [5], la fiaccola dell'emancipazione negra passavano in mani britanniche e presto ne risentì anche il diritto internazionale».

La seconda fase del colonialismo,
diventato "imperialismo liberale"

Pertanto a Vienna, nel corso della scellerata Conferenza di restaurazione tanto si parlò, paradossalmente, del problema della schiavitù, che fu sottoscritta una "Dichiarazione contro la tratta dei negri" (8 febbraio 1815), quindicesimo allegato all'atto finale della Conferenza [punto 15, articolo 118]. «Essa doveva segnare l'inizio di una vasta azione politica-diplomatica della Gran Bretagna in favore dell'adozione da parte di tutti gli Stati civili di misure di repressione sempre più ampie, atte ad eliminare quello che 'è ritenuto dagli uomini giusti ed illuminati di ogni tempo, come ripugnante ai principi di umanità e della morale universale'», precisa Rainero. [9]

Con la proposta di introdurre il "diritto di visita", esercitato in precedenza nei confronti delle navi sospette di pirateria[10], anche per i casi di sospetto impiego delle navi per trasportare gli schiavi africani, Londra tentò la carta della creazione di un nuovo principio, quello per cui lo Stato ha, nei confronti della "comunità internazionale" dei doveri cui subordinare i propri interessi.

A quella dichiarazione rimasta vaga, fecero seguito molte altre iniziative, come quella di Aquisgrana (1818), e quella di Verona (1822), in occasione della quale «Chateaubriand [la cui opposizione all'abolizione fu anche di carattere ideologico, NdA] respinse ogni proposta riguardo a questa specie di polizia dei mari, ché la supremazia navale britannica rafforzava il timore francese di illecita ingerenza inglese nella propria sfera di sovranità».

Ne seguirono altre ancora con la Spagna (1822), con i Paesi Bassi (1822, 1823), con il Portogallo (1823), con la Svezia e la Norvegia (1824) e infine con il Brasile (1826) prima che la Francia, per poter inaugurare la sua nuova politica imperiale in Africa [11], cedesse al ricatto diplomatico per far chiudere un occhio a Londra, cominciando Luigi Filippo a legiferare (4 marzo 1830) contro i praticanti il commercio degli schiavi e la fabbricazione o la vendita dei ferri usati dai negrieri.

Con l'accettazione del diritto di visita proposto dalla diplomazia britannica, si ottenne (Convenzione del 22 marzo 1833) il disinteresse del governo di Londra all'iniziativa di conquista dell'Algeria.

Anche in questi tempi così remoti, vediamo i germogli della diplomazia imperiale del "doppio binario": da una parte si usa sapientemente la pirateria e si fa fare ad altri il lavoro sporco dell'approvvigionamento di schiavi africani; dall'altra si pontifica contro questi scandali, ergendosi a "governo mondiale" dissipatore delle ingiustizie.

I sottoprodotti di questa manovra tattica [12] sono essenzialmente due: con ogni sorta di copertura ideologica derivata da queste prime finte condanne, si dà il via alla precipitosa conquista del continente africano, con tutte le conseguenze universalmente note; con l'impiego dei diritti umani come armi di ricatto diplomatico, si introduce la confusione che ancora inquina le relazioni internazionali, confusione che spesso è causa di colpevoli indugi o di criminali ingerenze.

La stessa questione, oggi

Limitarsi ad una definizione formale dei diritti civili significa esporsi a nuove e simili forme di manipolazione imperiale. La tutela dei diritti umani che si pretende di esercitare anche a discapito delle sovranità nazionali è un tipico esempio di come lo stesso fronte imperiale di allora sia oggi ugualmente impegnato a propagandare l'onnipotenza del "libero mercato" e l'onniscienza della "mano invisibile", cioè la dottrina di economia politica più avversa al continuo sviluppo della civiltà, dunque alla promozione dei diritti stessi.

Un esempio lampante di come i diritti umani siano pretestuosamente impugnati è dato dalle pressioni che George Soros & C. non sempre nascostamente esercitano sui governi, affinché il traffico di droga non sia ostacolato, per garantire il "diritto al consumo personale" di sostanze stupefacenti. Altro esempio è quello dell'equivoco "asilo politico" concesso da Londra ad esponenti di gruppi terroristici espulsi dagli Stati Uniti, come denunciato nel memorandum "Porre la Gran Bretagna nella lista degli Stati che sostengono il terrorismo", inviato al Segretario di Stato Madeleine Albright l'11 gennaio 2000.

L'indicazione imperativa, formulata da chi si è sempre battuto perché il "vero nome della pace è il mutuo sviluppo economico", è di usare la crisi di rottura del sistema finanziario internazionale disperatamente in bancarotta, per creare una nuova dinamica di collaborazioni internazionali incentrate su progetti di sviluppo infrastrutturale, agricolo, industriale, commerciale e scientifico-culturale, affinché ogni popolo e ogni nazione, con la spontaneità di ogni fenomeno naturale, conquisti pacificamente la propria sovranità e dunque le basi politiche ed economiche necessarie per garantire a ciascun individuo la difesa attiva della vita, della libertà e della più sublime ricerca della felicità.

Flavio Tabanelli
Movimento Internazionale per i Diritti Civili – Solidarietà

Note:

[1] Quella trasformazione avvenne parallelamente alla lenta dissoluzione del sistema sovietico, il cui apparato produttivo era quasi esclusivamente diretto ad aumentare la potenza militare. Si tratta di due forme diverse di perversione del sistema economico, entrambe lontane da quella ideale, che qui cerco di delineare.

[2] Vedi Benedetto XVI, Caritas in Veritate, Capitolo IV, paragrafo 43.

[3] Romain Rainero, L'Africa dall'epoca coloniale all'indipendenza, Nuove Questioni di Storia Contemporanea, Vol. II, Marzorati Ed., 1985.

[4] Oggi si fatica anche a trovare queste motivazioni nella politica.

[5] Più tardi, dopo il 1833, la difesa dello schiavo servì a Londra per criticare la tratta delle sue ex colonie americane, a suo dire colpevoli di essere "rimaste indietro", sul piano del diritto delle genti, rispetto alla odiata ex madrepatria. In questo, giocò a sfavore della nuova repubblica il compromesso firmato al momento dell'indipendenza per garantire una maggior unità, con il quale si era rinunciato a liberare immediatamente gli schiavi e si era posticipata la definitiva chiusura della loro tratta di un decennio. In realtà, nella sostanza, si sa bene come la tratta degli schiavi fosse stata continuata in vece degl'inglesi dagli spagnoli e dai portoghesi; inoltre, essa aveva interessato di principio gli Stati sudisti più strettamente legati, dal punto di vista ideologico, al centro dell'Impero anglosassone.

[6] Nota di Rainero: «[…] È la parafrasi dell'anonimo volumetto Réclamations et observations des colons sur l'idée de l'abolition de la traite et de l'affranchissement des nègres, Parigi, giugno 1789».

[7] Da "I colloqui di Goethe", pubblicati da Biedermann.

[8] L'Assemblea Nazionale francese del 1791 conferma la schiavitù (13 maggio) e precisa lo status politico dei mulatti e de negri liberi (15 maggio). La Convenzione il 27 luglio 1793 abolisce la tratta, il 4 febbraio 1794 abolisce la schiavitù in tutte le colonie francesi. La Costituzione dell'anno VIII (13 dicembre 1799) ripristina il regime coloniale; il decreto napoleonico del 16 giugno 1802 ristabilisce la tratta e la schiavitù precedenti la rivoluzione. Sia l'abolizione che il ripristino della schiavitù ebbero effetti limitati, poiché la maggior parte dei territori extraeuropei della Francia erano occupati o preda di rivoluzioni indigene.

[9] Secondo paragrafo della dichiarazione.

[10] Ricordiamo come la pirateria fosse usata dall'Impero Britannico per controllare i mari a suo vantaggio.

[11] Prima con Carlo X, poi con Luigi Filippo.

[12] «Puntando a questo obiettivo, vediamo l'Inghilterra sostenere principi liberali in casa, mentre la seguiamo in Asia ove gioca al conquistatore, quivi usando e sostenendo i suoi poteri dispotici, contemporaneamente la vediamo contentarsi di assumere il ruolo del governo paternalistico nelle isole delle Indie Occidentali e in Canada, concedendo qualche diritto e qualche libera istituzione, la vediamo consegnare Genova sua precedente alleata ad un monarca e restaurare l'alleanza delle città anseatiche alla loro precedente indipendenza, la guardiamo mentre impiega i suoi mercenari contro la Repubblica francese ma forma una costituzione libera per la Sicilia, la osserviamo assoggettare gli eserciti delle monarchie europee per conquistare la Francia, ma converte la Repubblica d'Olanda in un reame, la vediamo tollerare la distruzione della libera costituzione spagnola, far nascere un gruppo di repubbliche nel Sud America, favorire una libera costituzione in Portogallo, difendendola dall'aggressione dei fanatici, e trattare con la Francia per evacuare la Spagna. Se giudichiamo tale condotta dai suoi princìpi, non troviamo che contraddizione. Se guardiamo allo scopo di questa nazione, non v'è altro che conformità: il suo obiettivo fu ed è di accrescere le sue manifatture e il suo mercato, assieme alla sua flotta militare e al suo potere politico. Persino le sue misure contro il commercio degli schiavi si dice siano originate nel suo proprio interesse».
[Friedrich List, Il Sistema Nazionale di Economia Politica]


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