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Le ferrovie nella morsa della globalizzazione finanziaria

MoviSol, 21 aprile 2010


Il quadro strategico di riferimento

Qualche giorno fa, una nota radio locale fiorentina, contrapponeva due esponenti politici locali in rappresentanza dei rispettivi opposti schieramenti. Il tema di discussione era quello dei writers, che usano le mura private e pubbliche come delle tavole su cui disegnare. Il rappresentante dell'Amministrazione, nel dar pubblicità al kit “anti-degrado” da fornire ai cittadini, asseriva che in una fase storica come quella attuale, dove il Governo taglia progressivamente i fondi per gli enti pubblici, non si può pensare che le Amministrazioni risolvano i problemi senza un contributo diretto dei cittadini. Il rappresentante dell'opposizione, invece, sosteneva che spettasse all'Amministrazione la risoluzione dei problemi per cui i cittadini contribuiscono attraverso la fiscalità. Questa è la tipica discussione, dove chi governa si approccia alle questioni in modo pragmatico ma deresponsabilizzante, e chi fa opposizione, invece, in modo demagogico. In ogni caso, però, vengono accettati acriticamente i confini del campo di gioco sovraimposto. Il punto è che la soluzione ai problemi in cui in via sistematica si imbattono tutti gli amministratori, si trova proprio sul livello del sovra-sistema, accettato come se si trattasse di una divinità insuperabile. Infatti, come notava il rappresentante dell'Amministrazione, il Governo taglia i fondi agli enti locali; tuttavia, il Governo fa questo perché deve rientrare da un debito pubblico eccessivo e deve rispettare il parametro annuo del rapporto deficit/pil del 3%, come previsto dal “patto di stabilità”. Fondamentalmente però, non è possibile avviare un ciclo economico virtuoso, di crescita dell'economia fisica, e conseguentemente un risanamento strutturale dei conti pubblici, attraverso le politiche del rigore finanziario.

Gli oltranzisti del liberismo, sostengono che l'Italia si trovi in queste acque a causa del basso tasso di liberalizzazione introdotto nella sua economia. Ed invece, sono proprio le economie maggiormente liberalizzate e finanziarizzate, come quella inglese e quella spagnola, che stanno risentendo della crisi economico-finanziaria più di quelle più “protette”. Si pensi infatti, che il rapporto debito pubblico/pil britannico è passato dal 50% al 60% in un solo anno, e che questo valore raggiungerebbe il 147%, se nel debito conteggiassimo anche i salvataggi delle banche inglesi, attuati dal Governo di Sua Maestà.

Giova invece ricordare, che è attraverso l'ampliamento della spesa pubblica in settori strategici per la crescita economica, come le infrastrutture di base e l'industria ad alta tecnologia, che è possibile rilanciare l'economia, come dimostra in primo luogo tutta la storia degli Stati Uniti d'America, da Alexander Hamilton, passando per John Quincy Adams, Lincoln, Franklin Roosevelt e JFK.

Così, all'interno del sistema dell'Euro, e della globalizzazione finanziaria, non è possibile rilanciare l'economia fisica, perché fondati sull'idea che la produzione di ricchezza passi indiscriminatamente attraverso aggiustamenti di tipo finanziario, piuttosto che dai processi fisico-produttivi che i flussi finanziari devono strategicamente ed efficientemente promuovere. Amministratori locali, primi ministri, sindacati e lavoratori dei più svariati settori, non possono più limitarsi a denunciare i problemi relativi al proprio orticello. Se non emerge un senso comune volto a denunciare i problemi del sovra-sistema, l'errato modo di concepire l'economia come strumento di crescita finanziaria, piuttosto che come strumento di crescita dell'economia fisica e del bene comune, staremo soltanto facendo del "teatrino".

Come ogni settore dell'economia nazionale, anche le ferrovie sono vittime di quel processo di finanziarizzazione che subordina la realtà fisico-economica alle dinamiche speculative. Il processo segue il solito schema: liberalizzazioni-privatizzazioni grazie a cui consentire l'entrata di nuovi player nel settore di riferimento; successiva finanziarizzazione del settore liberalizzato, attraverso la creazione di una piramide di strumenti finanziari che trovano la loro ragion d'essere nel sottostante economico-fisico (nel caso in oggetto, le ferrovie).

Dunque, il dato su cui porre l'accento – per quanto possa essere "popolare" – , non è tanto quello per cui dei "capitani coraggiosi" si sostituiscono alla proprietà pubblica di un'azienda, quanto quello meno evidente dell'entrata dei gruppi bancari, che per mantenere in vita la mega bolla speculativa globale, necessitano di trovare sottostante reale su cui creare nuovi strumenti finanziari, con cui di volta in volta rifinanziare la bolla. Senza il progressivo mutamento delle leggi nazionali, senza l'entrata degli stati sotto accordi tipo quello dell'Euro o del Wto, la mega bolla speculativa globale sarebbe già scoppiata, con tanto di onoranze funebri per l'attuale sistema economico-finanziario post-Bretton Woods.

In Italia, lo schema sopra delineato, prende le mosse dal famoso incontro del Britannia del 2 giugno 1992, con cui si decise di avviare la creazione di un grande mercato finanziario. Questo è stato possibile, avviando le cosiddette liberalizzazioni e privatizzazioni, che hanno consentito ai grossi gruppi finanziari di impossessarsi dell'industria pubblica e dei settori imprenditoriali ad ampia diffusione, come il settore della distribuzione commerciale. Gli anni '90 sono stati cruciali per l'avvio di questo processo. In quegli anni, vi fu il venir meno a livello globale del Glass-Steagall standard, che fu introdotto sotto Franklin Roosevelt ed a cui la stessa legge bancaria italiana del 1936 si ispirò, sancendo la separazione tra banche commerciali e banche d'affari, tenendo ben separato il sistema delle banche di raccolta dei depositi, dalla partecipazione diretta alle attività imprenditoriali.

Questo processo è stato possibile avviarlo soltanto giustificandolo col sopravvenire di una serie di criticità, tipo l'incompetenza del pubblico nella gestione delle attività economiche. Lo studio che pubblicammo oltre un anno fa, La distruzione dello Stato sociale attraverso la catastrofe delle liberalizzazioni-privatizzazioni in Italia, dimostra però che così non è. Soprattutto conseguentemente alla invenzione di questa issue, si sono potuti attuare progressivi tagli di bilancio ad ogni attività economica statale. Ed a tal proposito non è porsi la domanda corretta il chiedersi se tutto ciò sia voluto o meno; ciò che conta è che tutto questo è inevitabile nel momento in cui il sistema economico viene orientato ad agevolare le attività speculativo-finanziarie piuttosto che quelle produttive.

Ed infatti, il sistema economico occidentale è andato trasformandosi dalla fine degli anni '60, in seguito al cambio del paradigma culturale introdotto dalla controrivoluzione del "sesso, droga e rock and roll". La mutata concezione antropologica che ne derivò – non più un uomo produttore dedito al futuro ed alla posterità, ma un essere sensuale, dedito al "vivere per vivere" – trasformò il sistema economico da produttivo a consumistico. Un ruolo fondamentale in questa svolta l'hanno giocato l'ideologia ambientalista e quella liberista. La prima partendo da una concezione pessimistica della natura umana, di tipo parassitario, ha contribuito a burocratizzare i sistemi legislativi, tanto da rendere impossibile l'intervento efficace degli amministratori sui territori, bloccando così il continuo ammodernamento infrastrutturale e produttivo della società; la seconda sostituendo all'idea del bene comune come vera stella polare dell'azione politica, la legge della domanda e dell'offerta. Queste ideologie hanno di fatto bloccato la crescita economica favorendo la progressiva disintegrazione dell'economia.

Il tutto oggi è dunque funzionale al mantenimento in vita della mega bolla speculativa che a livello globale è andata creandosi dagli anni '70, e che necessita di fagocitare ogni valore dell'economia reale per rimandare nel tempo la propria esplosione, di cui le ripetute crisi finanziarie, dal primo shock petrolifero fino a quella del 2007, non sono altro che le avvisaglie di una instabile costruzione destinata a crollare su sé stessa.

Questo processo passa per precisi rapporti di causa-effetto che – giova ripeterlo – hanno come loro assioma di riferimento il venir meno di una visione di uomo e di società orientate al lavoro produttivo:

  1. il progressivo orientamento della politica economica nazionale, dalla ricerca scientifica e dalle relative applicazioni in campo infrastrutturale ed industriale, alla agevolazione delle attività speculative (finanziarie, immobiliari, di brevetto, ecc.);
  2. la riduzione della produttività nazionale nel medio-lungo periodo, tale da rendersi non più consona ai livelli di welfare raggiunti con la precedente capacità produttiva;
  3. il progressivo indebitamento nazionale;
  4. l'entrata dei privati nei settori divenuti insostenibili;
  5. la surrogazione dell'imprenditore col banchiere nella gestione di ogni attività economica;
  6. il crollo del sistema economico divenuto progressivamente esclusivamente speculativo ed anti-produttivo.

Nello specifico del sistema ferroviario italiano

Che cosa ha voluto dire per le ferrovie italiane tutto ciò?

Possiamo comprendere, dal quadro di riferimento delineato, che il destino del settore ferroviario in Italia, così come ogni altro settore produttivo, è segnato da tempo.

Tutto ciò che ha a che fare col sistema economico di base (le infrastrutture), diviene, all'interno di un sistema non produttivo, non sostenibile. Così, la contribuzione generale, e le collegate entrate erariali, non sono più sufficienti a sostenere il sistema di viabilità ferroviaria. Inutili sono stati i progressivi tagli a cui è stato sottoposto il settore, poiché, in ultima analisi, la pretesa è quella dell'autofinanziamento di ogni attività statale (il sistema autostradale, quello pensionistico, quello sanitario). Così facendo anche il sistema ferroviario è entrato in una logica d'impresa, con tutte le conseguenze negative, socialmente insostenibili, che ne sono derivate. A conferma di ciò, alla riunione dei dirigenti del gruppo Ferrovie dello Stato del novembre scorso, lo slogan era: "Essere impresa: operare solo nei contesti in cui è assicurato il ritorno economico e finanziario dell'investimento. No a prestazioni 'sotto costo'." Alla luce di questo principio, l'universalismo del servizio viene meno; alla luce di questo principio, a parte le principali tratte ferroviarie di collegamento, la maggior parte delle aree geografiche sarebbero scoperte dai relativi collegamenti.

Intanto, i servizi a mercato del Gruppo FS, sono aumentati nell'ultimo triennio del 25% e, parallelamente, quelli del servizio universale (a prezzi politici, con cliente lo Stato e dunque la contribuzione generale) sono scesi del 13%.

Il sistema ferroviario italiano è già stato nelle mani dei privati tra il 1865 ed il 1905, anno in cui se ne decise la ri-nazionalizzazione dopo l'evidente fallimento della privatizzazione. Il privato, come sempre avviene in questi casi, ragionava nei soliti termini di riduzione dei costi e di crescita dei profitti, a tutto discapito della qualità del servizio e delle esigenze dell'utenza. Dunque, dopo che per venti anni, sia la rete che la gestione del servizio erano state privatizzate, e dopo un altro ventennio di gestione privata del solo servizio, il Governo italiano decise di ri-nazionalizzare le ferrovie.

Questo processo di peggioramento, inevitabile in tutti i settori ad alta densità di capitale, in quanto ammortizzabile in archi temporali non sostenibili dalle imprese private, è già in atto.

Basti pensare alla continua soppressione delle tratte considerate anti-economiche. Secondo questa logica non avremmo mai avuto l'elettrificazione o la canalizzazione idrica di intere aree del Paese. Si tocca con mano poi, il progressivo peggioramento dei sistemi di pulizia dei treni; l'eliminazione dei servizi igienici e di comfort (sale d'attesa) per l'utenza; lo smantellamento dei sistemi di sicurezza di viaggio (come il doppio macchinista); la riduzione dell'efficienza del complessivo sistema di viaggio, con la progressiva contrazione del personale di viaggio e informativo, che genera ritardi a catena (questo perché il personale viaggiante di un treno in ritardo è lo stesso che dovrà salire sul successivo treno pronto alla partenza, ma che invece deve attendere l'arrivo del treno in ritardo).

Proprio dalle Ferrovie dello Stato provengono conferme a quanto si va dicendo. La customer satisfaction (dati 2009 su 2008) è scesa sia dal punto di vista del comfort di viaggio, della puntualità dei treni, della pulizia e delle informazioni a bordo.

Ed infine – ma di primaria importanza, visto che fino a prova contraria, il perno del nostro sistema costituzionale, ed invero di un sistema economico funzionante, resta il lavoratore, ossia l'unico soggetto che possa essere un buon consumatore (e non viceversa!) – grazie ai sistemi di liberalizzazione del mercato del lavoro, è esploso il fenomeno del dumping contrattuale, che ha innescato una spirale al ribasso per le condizioni economiche, di sicurezza, sanitarie, e previdenziali dei lavoratori del settore. Quest'ultimo, invero, rappresenta uno dei mezzi attraverso cui indebolire le ferrovie statali. Infatti, proprio come successo col settore della telefonia, si consente ai nuovi operatori di praticare forme contrattuali di lavoro diversificate (contratto dei metalmeccanici, contratto del commercio, contratto dei ferrovieri), venendosi così ad operare forme di "concorrenza sleale" (parole dell'ing. Moretti). E' ovvio, che i nuovi operatori che possono optare per forme di assunzione peggiorative per il lavoratore, avranno dei minori costi di gestione, e dunque potranno reperire maggiori fonti di finanziamento sul mercato dei capitali, da investire in crescita produttiva, oppure potranno presentare all'utenza un output più economico, oppure, a parità di prezzo, dei servizi aggiuntivi. Il tutto – ma oggi appare piuttosto normale – a discapito del lavoro.

Durante l'audizione parlamentare del febbraio scorso, sull'incidente di Viareggio, l'A.D. di Trenitalia, ing. Mauro Moretti, sostenne:

“[...] vi faccio osservare che, per arrivare ad offrire i nostri standard di sicurezza, abbiamo delle condizioni di lavoro uniche al mondo, in termini di orari, turni, pause e attenzione alla sicurezza sul lavoro. Nel frattempo, però, accanto a noi, ci sono altri operatori che cercano invece di risparmiare sul fronte della sicurezza, chiedendo magari ai loro macchinisti di fare il doppio delle ore rispetto ai nostri attraverso contratti ad personam supportati dalla declaratoria professionale, e che riescono così a praticare prezzi molto più bassi dei nostri: e fanno questo anche per il trasporto delle sostanze tossico-nocive. Vi invito dunque a riflettere su tutti i problemi che ho richiamato, perché mi pare che, se da un lato tutti sono favorevoli alla liberalizzazione, dall'altro però, appena succede la minima cosa, vogliono tutti essere più "sicuri" del re. […] così, mentre da una parte sono tutti a favore della liberalizzazione per ottenere il massimo dal punto di vista economico, dall'altra si richiede poi il massimo sul piano della sicurezza, per garantire gli standard più elevati al mondo. Le due cose, però, non stanno insieme.”

In Europa meno liberismo ferroviario che in Italia

Se il trasporto ferroviario delle merci è completamente liberalizzato sia in Italia che in Europa, il trasporto passeggeri, invece, ha un grado di liberalizzazione diverso a seconda dei vari paesi europei. Infatti, nonostante la classe politica utilizzi spesso la normativa europea per giustificare le proprie scelte politiche, quando invece quest'ultima lascia spesso ampi spazi di manovra, la legislazione comunitaria in ambito ferroviario, per il trasporto internazionale passeggeri, soltanto dal 1° gennaio 2010 ha previsto il diritto di accesso alle infrastrutture di tutti gli Stati membri. Diversamente, in Italia, era già ammesso in condizioni di reciprocità (cioè nel caso di impresa estera).

In Italia, in merito al trasporto passeggeri nazionale, il servizio è liberalizzato, mentre non lo è in Europa.

Circa il trasporto regionale, in Italia è prevista sia l'assegnazione in house (per sei anni più sei), sia la procedura ad evidenza pubblica attraverso gare. In Europa, invece, è prevista soltanto l'assegnazione in house.

Così, in merito al trasporto passeggeri, il mercato italiano è liberalizzato dal 2003, mentre in Europa nel 2007 si è deciso di rinviare qualsiasi decisione in merito alla liberalizzazione del trasporto ferroviario passeggeri regionale e nazionale, a dopo il 2017.

Alla stesso modo di quanto fatto in Italia, anche Gran Bretagna (famosa per gli elevati prezzi dei biglietti ferroviari, per i ritardi e la bassa sicurezza) e Svezia hanno autonomamente optato per la liberalizzazione del settore ferroviario.

In Italia vari modelli regionali, ma un solo fine: tagliare i costi!

La riforma costituzionale del 2001 del titolo V della Costituzione ha prodotto dei riflessi, in termini di frazionamento, sul trasporto ferroviario italiano. Ogni regione ha oggi il potere di disciplinare la normativa di dettaglio – quella quadro spetta allo Stato – relativamente alle grandi reti di trasporto, mentre è legislatore primario per quanto concerne il trasporto pubblico locale.

Così, ogni regione è venuta a creare il proprio modello di gestione ferroviaria.

Sostanzialmente i modelli che in modo più radicale si sono delineati, sono quello liberista del Piemonte e quello centralista della Lombardia. Entrambi i modelli, invero, sono caratterizzati da gestioni societarie, dove il fine è la produzione di profitto attraverso la riduzione dei costi.

Il modello piemontese

In Piemonte si è deciso di mettere a gara il trasporto ferroviario locale invece che di ri-sottoscrivere il contratto di servizio per il trasporto regionale con Trenitalia.

La ex Presidente Bresso ha sostenuto che il trasporto ferroviario regionale non funziona, perché chi gestisce il servizio lo fa in una situazione di monopolio (Trenitalia), e dunque può permettersi di non preoccuparsi delle conseguenze delle proprie scelte. Invece – secondo la Bresso – con le gare si rompe il monopolio e si attiva la concorrenza, e si riducono i prezzi senza peggiorare la qualità del servizio. Queste considerazioni in apparenza sono sensate, non valgono però per la privatizzazione dell'acqua. Infatti, è interessante notare che in merito al decreto Ronchi, la Regione Piemonte si è opportunamente dichiarata contraria – tanto da ipotizzare un ricorso alla Corte Costituzionale – , e sul fronte del trasporto pubblico locale su gomma non ha fatto la medesima scelta delle liberalizzazioni. Tutto ciò indica una completa assenza di coerenza in merito alla ispirazione delle politiche economiche seguite. Non per convinzione, ma per convenienza ...

Lo schema di gestione delle gare prevede la suddivisione della Regione in cinque lotti a cui dovrebbero partecipare operatori nazionali e stranieri, tra cui le ferrovie tedesche, operatori privati inglesi e francesi.

Il modello lombardo

Al contrario, in Lombardia si è deciso di rifarsi ad un modello completamente opposto a quello di parcellizzazione gestionale attuato in Piemonte.

Trenitalia non gestisce più il trasporto regionale lombardo. Con 2588 dipendenti in meno, se ne occuperà una società monopolista costituita all'uopo, Trenitalia Le Nord (TLN), con contratti lavorativi peggiorativi rispetto a quelli di Trenitalia. Quest'ultimo, d'altra parte, è il dato comune tra il modello piemontese e quello lombardo. Influenzati dalle logiche del liberismo economico, si fa impresa attraverso le varie forme di sfruttamento del lavoro a basso costo, piuttosto che migliorando i processi produttivi.

Il vero significato di NTV

La Nuovo Trasporti Viaggiatori (NTV) è la prima società privata europea che dal 2011 sfrutterà la liberalizzazione del trasporto passeggeri. Essa soltanto nominalmente e mediaticamente si presenta come società italiana: solitamente definita la società di Montezemolo e Della Valle. Invece, NTV ha tutte le caratteristiche della società internazionale, controllata dal sistema bancario. Infatti, le partecipazioni sono così distribuite: MDP Holding (di Montezemolo, Della Valle e Punzo) 33,5%; IMI Investimenti (Intesa SanPaolo) 20%; SNCF/VFE-P S.A. (Ferrovie statali francesi) 20%; Generali Financial Holding 15%; Nuova Fourb (Bombassei) 5%; MaIS S.p.A. (Seragnoli) 5%; Reset 2000 (Sciarrone) 1,5%.

Visti i soggetti partecipanti di NTV, si può affermare che il nuovo operatore ferroviario non produrrà chissà quali contributi per l'erario italiano, in quanto principalmente partecipata da società di diritto lussemburghese.

La NTV è una delle tante prove concrete di quel processo di finanziarizzazione dell'economia reale, ben spiegato dalla funzione delle tre curve di Lyndon LaRouche. A tutto danno dell'economia fisica, la finanza speculativa fagocita gli asset produttivi, come sottostante per la creazione di piramidi di carta da immettere tra il pubblico risparmio, all'interno di un mega processo di continuo rifinanziamento della bolla speculativa globale.

Le Ferrovie dello Stato sono la soluzione!

Gli "innovativi" modelli che vanno adottandosi sono una finta soluzione.

Basti pensare soltanto al fatto che i contratti di servizio prevedono garanzie di profittabilità (!) per il gestore privato. Così le tratte ad alta redditività – si pensi a quella dell'alta velocità Milano-Napoli – sono in regime di concorrenza, e comporteranno per Trenitalia s.p.a., che di fatto è l'azienda di Stato, una riduzione della redditività; invece nelle tratte secondarie, a bassa frequenza d'uso, in cui però il superstite senso di civiltà ne impone la presenza, il paracadute è rappresentato dalla copertura statale e dunque dalla contribuzione generale dei cittadini. Così, laddove sia una società privata ad operare in queste tratte, se la profittabilità non sarà quella contrattualmente stabilita con l'ente pubblico, saranno le casse pubbliche a coprire i mancati ricavi.

Tuttavia, l'aver sottoposto a regime societario le stesse ferrovie dello Stato, con la creazione di Trenitalia S.p.A. – scelta imposta dalla normativa europea – inserisce in una logica di riduzione dei costi, e conseguentemente di inevitabile riduzione della qualità del servizio, quello che dovrebbe essere un servizio universale.

Un ulteriore paradosso è che le prospettive del settore ferroviario a livello mondiale, e soprattutto a livello europeo, sono di forte crescita. Queste prospettive sono dovute all'invecchiamento della popolazione, nonché ad inevitabili politiche di riqualificazione dei sistemi di mobilità, nella prospettiva di favorire i mezzi pubblici di trasporto di massa.

Concludendo, un'economia che funzioni necessita che i servizi attinenti alle infrastrutture di base, siano sostenuti dalla contribuzione generale. Perché ciò sia possibile, è necessario che le economie tornino ad essere produttive, ma ciò non avverrà se le infrastrutture di base resteranno intrappolate nella logica del taglio dei costi per l'aumento dei profitti.

La soluzione è allora il passaggio da un sistema monetarista come l'attuale, ad un sistema di tipo creditizio, proprio come si presenta il sistema americano di economia politica così come previsto dalla Costituzione americana e sviluppatosi fino alla Presidenza Kennedy. E' attraverso la sovranità creditizia strategicamente diretta allo sviluppo scientifico, e le applicazioni in campo infrastrutturale ed industriale, che è possibile sostenere sistemi in continua crescita. Laddove il credito diviene mezzo di speculazione e non è più diretto ad aumentare il tasso tecnologico-scientifico dell'economia fisica, un sistema economico diviene "non sostenibile".

Claudio Giudici
Movimento Internazionale per i Diritti Civili – Solidarietà


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