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Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà
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[Solidarietà, anno X n. 2, luglio 2002]


Come definire i parametri di una politica energetica

I limiti della produzione energetica convenzionale impogono delle scelte. Per questo occorre chiarire degli obiettivi che non possono essere definiti sul semplice piano tecnico ma che si fondano sull'idea che l'umanità ha di se stessa e dell'universo.

Proiezioni ufficiali americane ed europee prevedono per il 2020 nei paesi industrializzati deficit fino al 50% di energia elettrica, anche tenuto conto di maggiore efficienza e riduzione dei consumi.

I calcoli ufficiali naturalmente non comprendono il fabbisogno energetico derivante dalla necessità di ricostruzione economica mondiale, o dalle esigenze alimentari della popolazione del pianeta. Quanta energia occorre per dissalare e distribuire l’acqua necessaria per un’agricoltura capace di sfamare almeno la popolazione del Sahel africano?

La politica energetica dei paesi avanzati prevede di soddisfare (inadeguatamente) la propria domanda aumentando il consumo di combustibili fossili. Questo comporta un ricorso sempre più frequente alle opzioni militari per garantire tale flusso, come si sta già verificando con la scusa del terrorismo internazionale.

Pertanto, nella valutazione di una politica energetica che non cada nel gioco di coloro che si considerano “proprietari” delle materie prime strategiche, proponiamo alcuni criteri di fondo:

 

A. Ridurre la dipendenza dai combustibili fossili

L’alternativa è trovare fonti che siano contemporaneamente più dense e più abbondanti. Con 0,57 grammi di materia prima, la fusione nucleare produrrebbe tanta energia quanta ne produce un 1 grammo di materiale per la fissione nucleare, o tanta quanta se ne produce con 30 barili di petrolio, con 6.15 tonnellate di carbone o con 23.5 tonnellate di legna.

La materia prima per la fissione non si esaurirà prima di 15000-30000 anni e quella della fusione è in pratica inesauribile, basandosi essenzialmente sull’acqua.

B. Costo sociale

Oltre al costo economico occorre prendere in considerazione il “costo sociale” della produzione di elettricità. Occorre cioè calcolare i costi totali per la produzione e consumo dell’energia nel suo ciclo completo. Questo comprende tutto il macchinario necessario per la produzione, il consumo, impatto su ambiente, salute, rumore, scorie, incidenti, ecc. Si tratta di costi reali che sfuggono alle considerazioni “di mercato”, per cui riteniamo che sia un errore fondamentale affidare il settore energetico ai privati ed alle valutazioni di borsa.

Secondi i calcoli di ExterneE (Commissione Europea), le forme di produzione e consumo di energia che hanno i costi sociali più bassi sono, nell’ordine, energia eolica, fissione nucleare e energia solare. La commissione non prende in considerazioni la fusione nucleare, ma questa si collocherebbe sicuramente al di sotto della fissione, dato che non ha problemi di scorie radioattive, impiega piccole centrali e il suo combustibile è disponibile in tutti i paesi del mondo.

 

C. Densità energetica

Secondo calcoli disponibili, in uno spazio di 150 ettari la fissione nucleare produrrebbe 1500 Mw, mentre le turbine a vento ed i pannelli solari produrrebbero solamente dai 2 ai 16 Mw. La fusione nucleare produrrebbe nello stesso spazio molta più energia della fissione nucleare.

Dovrebbe essere evidente che l’eolica e la solare, prescindendo per il momento dai problemi di qualità ed intensità, non potrebbero mai soddisfare il fabbisogno di qualunque paese, a meno che la popolazione non scompaia quasi del tutto e resti senza infrastrutture di base.

 

D. Intensità e qualità

Questo è il criterio più importante in assoluto: nella definizione della qualità energetica non si dovrebbe mai prescindere da una domanda: quale lavoro si intende compiere con tale energia?

Alcuni esempi per capire il concetto di qualità:

1) L’energia elettrica è diventata universale proprio per la comodità del suo trasporto e per la facilità con cui si converte, disponendo della tecnologia adeguata, in tutte le altre forme di energia: meccanica, termica, chimica etc.

2) Per le grandi opere infrastrutturali, specialmente in regioni impervie che la Siberia o il Tibet, o di fronte ai rischi di catastrofi naturali come terremoti, alluvioni, eruzioni vulcaniche, smottamenti, ecc. occorre energia meccanica ad altissima densità di potenza (kw/tempo/spazio) trasportabile e capace di operare in ogni condizione. Occorrono cioè macchine con motori di potenza molto elevata.

3) Per andare sulla luna non si può pensare di ricorrere a razzi basati su energia “soft” o su macchine a vapore, tali razzi non riuscirebbero mai a mettersi in orbita, non importa quanto siano grandi. Per andare su Marte in tempi ragionevoli, circa un mese, occorrerebbe in realtà un propulsore a fusione. Per andare oltre il sistema planetario dovremo sviluppare altre energie ancora più “intense” della fusione.

4) Trasformare i deserti in oasi verdeggianti è già possibile, ma occorre disporre di tanta energia per dissalare l’acqua del mare in grandi quantità e di continuo. Energia solare ed eolica non sono minimamente all’altezza. È insensato pensare che il settore in via di sviluppo possa sopravvivere con le “tecnologie da terzo mondo”, quelle del cosiddetto “sviluppo sostenibile”, occorre invece stabilire quale lavoro dev’essere compiuto per salvare quelle popolazioni dall’involuzione e dal genocidio e quindi stabilire la forma di energia più adeguata allo scopo.

5) Pensiamo a sfide ancora maggiori. La probabilità che una grossa meteorite colpisca la terra è più alta di quella che un individuo ha di vincere al superenalotto.

Se dovesse davvero accadere nessun animale potrà fare molto, ma nemmeno una società che ha deciso di accontentarsi delle energie “soft”. In tal caso possiamo immaginare un Presidente che vada alla televisione e dica: “Cari cittadini, è stata avvistata una meteorite in rotta di collisione con la Terra, potete seguire l’evento su Internet e partecipare ai diversi chats! Non abbiamo i mezzi per fare qualcosa. Buona fortuna.”

Qualsiasi tentativo di intercettare la meteorite fuori dall’atmosfera con ordigni nucleari o laser richiede tecnologie spaziali e la disponibilità di energia a densità elevatissime, piaccia o non piaccia.

6) Portiamo l’esempio al limite (il metodo preferito di Einstein) in maniera tale da porre meglio in rilievo i limiti delle energie conosciute ed i parametri per stabilire quale sia l’energia migliore.

Gli astronomi ci dicono che il sole, la fonte primaria di energia per la vita sulla terra , in x milioni o miliardi di anni aumenterà di volume, e di conseguenza la temperatura sulla terra salirà tanto da eliminare ogni forma di vita.

Se si vuole che la vita, nella forma sviluppatasi sulla Terra, abbia una qualche possibilità di “sopravivere” occorre, sin da oggi, studiare come:

a) “raffreddare” il sole, prolungandone la vita. (Questo implica una più profonda comprensione della fusione nucleare che opera all’interno del sole).

b) colonizzare progressivamente i pianeti delle orbite più esterne del sistema planetario ed eventualmente abbandonare il sistema planetario stesso, alla volta di habitat più ospitali.

Quale energia è adeguata a progetti del genere? E quale energia è più adatta a “conservare la Biosfera”? In questo contesto si capisce anche perché la colonizzazione del nostro sistema planetario sia un vero e proprio imperativo. Non si tratta di fantascienza, o dell’hobby di pochi fortunati alla NASA, ma è qualcosa che influisce direttamente sulla vita quotidiana: basti anche pensare alle enormi ricadute che il progetto Apollo ha avuto sull’economia civile o il fatto che il primo reattore ad alta temperatura raffreddata a gas, l’HTR di Fort St. Vrain (Colorado) nel 1974 si basava su un progetto della NASA per un propulsore capace di portare l’uomo su Marte.

Gli esempi sopra elencati mostrano inoltre come la scelta di un’energia non sia mai solamente di natura “tecnica”, ma di natura scientifica e morale. Se si sceglie di restare sulla Terra, accontentandosi del vivacchiare quotidiano, senza porsi quesiti che riguardano il futuro dell’umanità, è chiaramente inutile discutere di “intensità” energetica. Il problema con cui la società sta facendo i conti è l’affermarsi di una cultura “esistenzialista”, pessimista, una cultura da “fin de siecle”: tutto è permesso nella società dello spasso a tutti i costi, mentre il mondo sprofonda tutt’intorno.

La cultura della morte (della riduzione demografica forzata, dell’eutanasia e della indifferenza sociale) sta prendendo il sopravvento sulla vera cultura della vita. La rinuncia alla propria umanità passa tra l’altro in quel diffuso timore dei “pericoli della sovrappopolazione e del progresso” con cui viene condizionata la popolazione generale, mentre per gli strati oligarchici questo passa per l’utopia di un mondo ridotto ad una decina di milioni di persone ma con infinite riserve di caccia, parchi, castelli e balli in maschera.

Ad accomunare qui una popolazione demotivata e l’oligarchia che la controlla è l’incapacità di capire che la crescita demografica non è il diavolo, ma una “legge di natura”, la stessa legge che spinge a sviluppare soluzioni veramente creative nell’ambito della specie umana e della biosfera presa come un tutto. Quest’ultimo punto richiede qualche ulteriore chiarimento.

 

Densità demografica e densità energetica

 

Un organismo vivente, pur essendo qualitativamente diverso da processi chimico-fisici, deve essere sempre studiato e misurato in rapporto al mondo inerte che trasforma e con cui scambia flussi di energia e materia. In questo contesto occorre chiarire due punti.

1) Si dice spesso che una cellula “mangia” energia. In realtà una cellula “lavora” producendo un surplus netto utilizzato per riprodursi, espandersi e diversificarsi in maniera via via più complessa. Questo è l’unico modo in cui la vita riesce a conservarsi.

Un’applicazione di bilanci energetici al processo vivente che prescinda dalla qualità del lavoro fatto grazie a quel consumo di energia porta conseguentemente a conclusioni errate.

Ad esempio, nel processo di fotosintesi, una cellula vegetale trasforma l’energia solare per costruire materia organica stabile (carboidrati e poi proteine, lipidi etc.) e poi un surplus di biomassa. Ad un normale bilancio energetico questo risulta un processo altamente inefficiente. Ad esempio, un ettaro di foresta ha una produzione netta annuale (oltre ciò che consuma direttamente) di circa 12 tonnellate di biomassa, che corrisponde a 230 kJ, o allo 0,5-0,8% dell’energia solare irradiata su quella superficie. In realtà la cellula, o la pianta, non solo si assicura da mangiare, non solo produce per le future generazioni, ma compie anche lavoro indispensabile nell’universo fisico come un tutto, elevando la “qualità” dell’energia. Per comprendere questo occorre tener presente che in un pianeta senza vita il flusso di energia solare si riflette quasi totalmente nel cosmo sotto forma di calore. Ed il calore è considerato in fisica come una “cattiva” forma di energia (l’entropia) che tende ad accelerare la “morte” dell’universo. Invece, la biosfera terrestre, trasformando in biomassa parte del flusso solare, opera un “raffreddamento”, compie cioè un’azione nettamente anti-entropica.

2) La tendenza alla riproduzione in un organismo è indipendente dall’energia, ma il suo conservarsi, il tasso di riproduzione, dipendono invece dalla qualità e quantità del flusso energetico! È possibile calcolare abbastanza precisamente il numero di animali “adatti” a vivere in base ad un dato quantitativo di energia e di materia, e nessuna specie animale può essere in “sovrappopolazione” rispetto a tali condizioni calcolate. Ma flussi di energia e materia, in quanto parte del mondo inerte, tendono col tempo a degradarsi, andando verso un aumento di entropia. Quindi una popolazione di organismi viventi che non facesse nient’altro che “adattarsi” passivamente a tale flusso energetico, lo seguirebbe verso la morte per entropia. Per dirla con uno slogan: crescere, modificarsi, migliorare l’energia o soccombere.

Infatti, spostando l’attenzione dalle singole specie all’intero complesso degli organismi viventi, sul lungo periodo notiamo che in realtà invece di adattarsi, la vita opera una trasformazione crescente dei flussi biogeochimici della terra, una trasformazione che ha reso la Terra sempre più adatta all’esistenza e allo sviluppo della vita nella sua totalità, attraverso la formazione di nuove atmosfere, oceani, nuove biomasse, e soprattutto nuove specie!

In altre parole la vita si evolve esclusivamente solo perché può qualitativamente migliorare ed aumentare la densità del flusso di energia nell’insieme composto da materia vivente e materia inerte, e cioè nella Biosfera. Tale processo di incremento e miglioramento del flusso è possibile solo con l’aumento e la diversificazione della popolazione biologica. Considerando così la storia del nostro pianeta, osserviamo come questo processo, abbia raggiunto un suo massimo, assestandosi brevemente ad un certo livello, per poi ricominciare a svilupparsi quando ha cominciato ad operare il potere mentale e spirituale, realizzato come lavoro, di quella “strana specie” che è l’umanità.

 

Ecologia umana

 

Diversamente dalle specie animali, la specie umana in effetti è sempre vissuta al di sopra del limite “ecologico”, ha sempre avuto un grado di sovrappopolazione rispetto ai flussi energetici della semplice biosfera, ed ha continuato ad aumentare la qualità e la quantità della popolazione proprio perché, la società umana non opera come una semplice specie animale, ma in maniera più simile a come opera la vita stessa. La specie umana continua la via tracciata dalla vita (caratterizzata da incrementi demografici legati alla capacità di incrementare flussi energetici), ma al contempo la allarga e migliora, cambiandola di natura, in modo da poter superare quei limiti che la vita biologica da sola non potrebbe mai superare. Insomma quella umana è la specie che a differenza di ogni altra è capace di comprendere e farsi attivamente interprete dell’“intenzione” stessa della vita.

Invece i modelli ecologici classici che studiano i problemi demografici presumono una biosfera come uno sistema biologico in equilibrio, come un lago alimentato da un flusso costante di acqua, poi introducono dall’esterno il “fattore uomo”, come se si buttasse nel lago uno pesce impazzito ed affamato che divora tutto e tutti. Infatti la cultura vigente spesso descrive l’uomo come “distruttore”, fin dal momento che ha scoperto l’energia del fuoco ed ha acquisito la capacità di vivere in tutte le parti del mondo.

La cosa ovvia sarebbe invece accettare il fatto che l’uomo, con tutte le sue proprietà, per quanto “strane” possano sembrare, non rappresenta nient’altro che “la natura”. Ma a questa “natura”, vera ed universale, stanno davvero strette le teorie materialiste chimico-biologiche che gli imbastiscono addosso gli accademici. In realtà con l’apparizione dell’uomo, il cosiddetto “stato di natura” di cui parlano gli ecologisti non esiste più, se è mai esistito. Pertanto, invece di essere un’“aberrazione” del processo, l’uomo è piuttosto la rivelazione, l’espressione di una qualità nell’universo più ampia, bella e complessa della semplice natura fisica e biologica. L’uomo, fatto ad immagine divina, rivela uno stato nuovo e superiore della biosfera, quello stato che Teilhard de Chardin e Vernadsky chiamarono la “noosfera” ( noos = mente): cioè la biosfera il c

Quindi una “ecologia umana” deve sicuramente respingere il concetto di un’economia lasciata al solo gioco del mercato, i cui calcoli non sono in grado di tener conto dei costi reali: non solo quelli della semplice conservazione ma anche quelli dello sviluppo della biosfera a livello planetario! Ma al tempo stesso occorre evitare di identificare l’attività economica dell’uomo come un semplice “mangiarsi l’energia” o dare fondo alle riserve energetiche della biosfera. I parametri ecologici derivati dallo studio di popolazioni animali non sono applicabili al nuovo complesso della noosfera.

Come la vita stessa, la società umana non si limita a consumare energia, ma effettua anche lavoro, o almeno dovrebbe, per la noosfera come un tutto. È utile ricordare qui gli esempi sopra fatti sulla capacità esclusivamente umana di impegnarsi a salvaguardare la vita in vista di catastrofi di ordine planetario.

L’umanità sta recuperando alla vita quella dimensione dello spazio e del tempo che le erano originari. Siamo capaci di considerare eventi nell’ordine di grandezza di miliardi di anni e miliardi di miliardi di chilometri, pensiamo perfino in termini di infinito e di eterno. Non resta che seguire questo “impulso” umano, certamente controllando i facili entusiasmi, le distorsioni e gli egoismi oligarchi interessati solo ad aumentare il potere dell’uomo sull’uomo, ma anche vincendo i timori dovuti alla sensazione di operare nel contesto di qualcosa o qualcuno più grande di noi, vincendo le paure derivate dal fatto che ogni vero passo in avanti fa intravedere un orizzonte più ampio e ancora nuove vette da scalare.

Da questo punto di vista, cos’è più meschino dell’assioma maltusiano secondo cui: “se riduciamo il numero di persone tutto funziona”. Se le risorse fossero finite, come si dice, allora anche un numero piccolo di persone finirebbe per esaurirle, entro un arco di tempo finito.

Riorientando invece produttivamente il dibattito su come ridare impulso alle vere scoperte scientifiche vedremo delinearsi chiaramente il paradosso che se la scoperta scientifica è la base della espansione demografica, allo stesso tempo l’incremento della popolazione è stimolo e base della capacità di sviluppare e applicare nuove scoperte scientifiche.

L'articolo è pubblicato nel numero del luglio 2002 di Solidarietà, il bollettino d'informazione del Movimento Solidarietà che i non iscritti possono richiedere telefonicamente agli uffici di Milano: 02/2613058 – 02/26110612


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