ECONOMIA

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"Da noi non può accadere"

ottobre 2003 – Dopo il mega blackout che si verificò il 14 agosto nel Nord Est degli Stati Uniti, come conseguenza della deregulation e dei disinvestimenti nel settore energetico, sono stati molti in Europa a dire e a pensare "da noi non può succedere". Invece è successo, grazie alla politica di demonizzazione del nucleare e di "liberalizzazione del mercato energetico", e ai disinvestimenti che colpiscono il settore della produzione e distribuzione dell'energia elettrica.
Il 28 settembre 56 milioni di italiani hanno subito il peggiore black-out del dopoguerra, dopo i blackout programmati all'inizio dell'estate. Il blackout totale è stato attribuito a problemi di trasmissione in Svizzera e in Francia. L'ATEL elvetica ha ammesso un incidente sulla rete nel cantone dello Schwyz, dove passa l'elettricità francese trasmessa in Italia. L'incidente ha fatto mancare 6 mila megawatt che il gestore italiano non ha potuto compensare, per cause che dovrebbero essere chiarite dall'inchiesta avviata, ma che puntano sostanzialmente alla mancanza di potenza di riserva.
Prescindendo da responsabilità specifiche, il problema in Italia è quello della fragilità inerente di un sistema di approvvigionamento "just in time" tale per cui un singolo albero caduto su un traliccio può mettere in ginocchio un'intera rete nazionale. La penisola dipende al 17% dall'import di elettricità da Francia, Svizzera, Austria, Slovenia e Grecia. Nelle ore notturne le centrali di potenza italiane riducono la produzione e la dipendenza dalle forniture straniere raggiunge il 30%. In parte questa dipendenza è la conseguenza dell'uscita dal nucleare nel 1986. E i programmi per costruire centrali convenzionali capaci di erogare 12 gigawatt di potenza sono bloccati da "timori ambientali".
Nel corso dell'estate la scarsità energetica ha provocato disagi per milioni di italiani; il blackout americano del 14 agosto è stato subito seguito da un blackout a Helsinki a cui si è aggiunto il 28 agosto un blackout a Londra. La Scandinavia è stata anch'essa vittima di politiche "deregolamentatrici" abbattutesi sul settore elettrico provocando problemi seri nella regione di Copenhagen e in quelle meridionali della Svezia il 22 settembre.

In Europa occorrono 2 mila miliardi di investimenti nell'energia
In una conferenza tenutasi il 24 settembre a Parigi, in cui è stato trattato il tema dei rischi che l'Europa corre nel settore elettrico e del gas, Fatih Birol, capo economista della International Energy Agency (IEA), ha detto che gli stati membri dell'Unione Europea dovranno investire 2 mila miliardi di dollari nelle infrastrutture del settore energetico per sostituire le centrali di potenza ormai troppo vecchie ed obsolete e far fronte contemporaneamente al prevedibile aumento dei consumi. Sono necessari 1100 miliardi di dollari solo per l'ammodernamento delle infrastrutture elettriche, la metà per costruire nuove centrali di potenza e l'altra metà per l'ammodernamento e potenziamento della rete.
Il grosso delle centrali di potenza attualmente operanti ha più di trent'anni. La capacità di erogazione complessiva dell'UE ammonta a circa 600 Gigawatts. Circa la metà di questa capacità erogativa dovrà essere ricostruita ex novo entro il 2030. Altri 300 Gigawatt di potenza dovranno essere installati per soddisfare l'aumento della domanda, che comprende anche quella dei nuovi 10 stati dell'UE. Il settore del gas, sempre nell'UE, richiede investimenti per 450 miliardi di dollari. Queste cifre non prendono in considerazione gli investimenti necessari in Russia, nel Medio Oriente e in Africa per poter fornire il gas al mercato europeo. A novembre la IEA completerà il "World Energy Investment Report", un rapporto molto dettagliato sugli investimenti necessari nel settore energetico nelle varie regioni economiche mondiali.
L'ostacolo maggiore agli investimenti nel settore dell'energia, ha spiegato Birol, non sta nel capitale. Il problema è piuttosto costituito dalla liberalizzazione dei mercati energetici dell'UE e dalla privatizzazione delle utilities (imprese che si occupano di elettricità, gas, acqua, rifiuti, ecc.), che hanno scoraggiato gli investimenti nella generazione, in particolare per le fasi di picco della domanda, o per la disponibilità di capacità di riserva. Per questo motivo Birol ha invitato i governi europei a riconsiderare le disposizioni che regolano il settore, rendendo obbligatoria una maggiore capacità di picco o incentivando gli investimenti. Altra conseguenza indesiderata della liberalizzazione, secondo Birol, è che invece di una maggiore competizione si è verificato l'esatto opposto. Oggi il 60% della capacità di erogazione di potenza è concentrato in sette grandi utilities, chiamate "i sette fratelli": EdF (Francia), Eon (Germania), RWE (Germania), Enel (Italia), Vattenfall (Svezia e Germania), Endesa (Spagna) e Electrabel (Belgio).
Attualmente, la maggior parte dei nuovi impianti costruiti in Europa sono alimentati a gas a motivo della bassa emissione di biossido di carbonio rispetto alle centrali a carbone, mentre la Germania sta gradualmente abbandonando il nucleare. Birol ha detto chiaramente: "Sostituire il nucleare con le fonti rinnovabili è una chimera. I problemi della sicurezza e della disponibilità energetica ci riporteranno al nucleare".