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“Siamo ormai alla resa dei conti”

Nell'edizione del 23 novembre dell'Economist si legge che "il gioco a cui giochiamo dal crollo del sistema di Bretton Woods, all'inizio degli anni Settanta, volge alla sua conclusione".
La straordinaria constatazione è apparsa nella rubrica Buttonwood sotto il titolo: "La fine del dollaro: il ruolo del dollaro come riserva mondiale volge al termine?"
L'Economist nota come molte personalità statunitensi continuino a parlare di "dollaro forte" ma il resto del mondo non ci crede più. Il settimanale della City menziona anche Greenspan, che recentemente ha detto a Francoforte che gli acquirenti di titoli in dollari dall'estero potrebbero perdere presto la pazienza (vedi il n. 48 di questa newletter). "Le parole di Greenspan sono significative, perché tacitamente ammettono ciò che gli economisti assennati in ogni parte del mondo hanno capito da tempo: che l'imperatore è nudo".
A proposito del "significato più profondo" dell'ammissione di Greenspan, l'articolo afferma che "il ruolo del dollaro come moneta di riserva mondiale ... sta gradualmente volgendo al termine. Ironicamente, il fatto che da qualche anno esso è diventato così diffuso non fa che accelerarne la fine".
L'Economist spiega poi come le banche centrali, specialmente in Asia, abbiano accumulato titoli denominati in dollari, ma questo sta cambiando rapidamente. Il motivo per cui finora hanno tenuto i dollari "è impedire che le proprie monete si rivalutassero rispetto a quella americana e mantenere così la competitività dell'export. In pratica esse cercano di ancorare le loro monete, come si vede esplicitamente nel caso della Cina. Di conseguenza hanno enormi riserve in valuta straniera". "Qualche giullare ha denominato questo stato di cose la nuova Bretton Woods. Il sistema di Bretton Woods (l'accordo del dopoguerra che vincolava il dollaro all'oro e altre monete al dollaro) è crollato nel 1971. Il sistema attuale sembra destinato a fallire allo stesso modo. Il grosso interrogativo è se il mondo subirà effetti altrettanto negativi quando esso crollerà".
Se le banche centrali asiatiche hanno un eccesso di titoli in dollari, esse però esitano decisamente nel compiere una "fuga in massa", perché "la loro fuga condurrebbe il dollaro ad un crac e i tassi d'interesse USA ad un rialzo, cosa che comporterebbe enormi perdite sui loro buoni del tesoro USA". La tendenza però resta quella al disinvestimento. "Gli incentivi a fuggire dal cartello asiatico (per dare loro il nome giusto) aumenta con l'aumentare della posta in gioco ... Giacché il gioco è diventato così insostenibile, ovviamente si giungerà alla resa dei conti, e forse sarà un bel pasticcio".
Intanto il capo economista della Morgan Staley, Stephen Roach, ha commentato che gli Stati Uniti sono sull'orlo di una "apocalisse finanziaria".


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