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La guerra contro il "Bush due"

di Muriel Mirak-Weissbach

Qualche giorno prima dell'inaugurazione della seconda presidenza di George W. Bush, dalle pagine della rivista New Yorker è partita una bordata contro i programmi dei neoconservatori che ha riscosso ovunque vasti consensi.
Il giornalista Seymour Hersh – famoso, tra le tante altre cose, per essere stato il primo a fare le rivelazioni sulle torture ad Abu Ghraib – ha denunciato il proposito del governo Bush di rilanciare la strategia della "guerra perpetua". La denuncia di Hersh è stata prontamente ripresa dalla stampa mondiale e da personalità politiche in Europa e in Russia che l'hanno giustamente interpretata come una salve di apertura da parte di una vasta resistenza bipartitica, negli Stati Uniti, che si sta coalizzando tra parlamentari, militari, strati dei servizi e dell'informazione, tutti decisi a bloccare i disegni dell'amministrazione Bush e arrivare a nuovi indirizzi di governo ispirati e influenzati da Lyndon LaRouche.
L'articolo del New Yorker, intitolato "Le prossime guerre: quello che il Pentagono può fare segretamente", smaschera diverse importanti iniziative di politica estera già in moto: la più importante riguarda operazioni militari contro l'Iran nel contesto di un più ampio dispiegamento di unità delle forze speciali contro "i terroristi" in una decina di paesi. Si tratta di operazioni non gestite dalla CIA ma dal Pentagono, sotto la direzione del Segretario alla Difesa Rumsfeld e dei suoi fedelissimi come Stephen Cambone e William G. Boykin. Le operazioni in Iran dovrebbero colpire i siti nucleari e le roccaforti della logistica militare e al tempo stesso dovrebbero innescare una rivolta contro il governo che dovrebbe sfociare in un cambiamento di regime. Per tali operazioni si utilizzerebbero elementi pakistani fatti entrare in Iran attraverso l'Afghanistan.

Un appello alle armi

L'articolo di Hersh, ripreso un po' ovunque dalla stampa mondiale, è stato definito da Lyndon LaRouche una svolta molto significativa nella situazione strategica mondiale, perché è evidente una decisione di affrontare l'amministrazione Bush di petto. Qualche giorno prima, il 12 e 13 gennaio, l'economista americano aveva tenuto a Berlino un incontro con numerose personalità internazionali alle quali aveva detto che se negli Stati Uniti ci sono forze che si muovono con decisione per bloccare i piani dei neo conservatori, questo avrà l'effetto di rimoralizzare e incoraggiare molti circoli politici influenti sullo scacchiere internazionale.
L'articolo di Hersh è stato ripreso dal Guardian, dal Financial Times, dall'Indipendent, dal Today Singapore, dalla Reuters da l'Unità e da innumerevoli siti internet. In alcuni casi all'articolo è stato dato risalto pubblicandolo insieme alle dichiarazioni di Bush sul fatto che non esclude nessuna opzione militare in Iran, e quelle dell'audizione di Condoleezza Rice al Senato che ha bollato l'Iran come uno degli "avamposti della tirannia" con i quali gli USA intendono fare i conti.
La natura della rinnovata minaccia neocon è stata prontamente compresa dagli esperti di strategia in Europa ed Asia. Un esperto dei mercati finanziari londinesi, ad esempio, è convinto che la furia di Bush e Cheney sia dovuta all'insostenibilità del deficit finanziario che li spinge a trovare qualcosa da presentare come alternativa a quei capitali stranieri che disertano sempre più vistosamente i mercati USA e che essi vedano tale rimedio nella privatizzazione della Social Security. Ma, come sanno bene quelli come Karl Rove, questo è un boccone tanto amaro che si riuscirà a far ingoiare agli americani soltanto in una situazione di grande crisi di politica estera. Per questo, stima l'esperto londinese, la crisi iraniana si prospetta una cosa molto seria. A tale proposito l'opzione più probabile è quella delle operazioni "a buon mercato", ricorrendo cioè ad unità speciali che dovrebbero compiere interventi militari chirurgici, piuttosto che un'invasione in grande stile come quella effettuata in Iraq.
Da diversi paesi, in particolare dalla Germania, sono partite da tutto l'arco parlamentare chiare denunce contro la politica della guerra perpetua. Al Cancelliere Gerhard Schroeder è stata posta, in una conferenza stampa del 18 gennaio a Tolosa, una domanda sulla politica del dialogo dell'Europa con Teheran. Ha risposto di non vedere alcun motivo per cambiare la formula del negoziato tra UE e Teheran. Grazie a tali trattative l'Iran ha già rinunciato ai principali aspetti militari contenuti nel suo programma nucleare in cambio di aiuti economici che riguardano anche lo sviluppo della tecnologia nucleare civile. Dunque, attacco militare contro l'Iran non sarebbe nell'interesse di nessuno, ha detto il Cancelliere.
Il portavoce di politica estera della SPD Gernot Erler ha aggiunto che le minacce di Bush e della Rice sono inaccettabili e che gli europei debbono chiedere agli USA di spiegare che cosa sta succedendo. Gli USA dovrebbero spiegare, ha detto, se stanno soltanto conducendo voli di ricognizione sopra l'Iran o se quei voli fanno parte dei preparativi per un attacco militare. Il fatto che gli USA abbiano deciso di provocare gli iraniani nel momento in cui l'Europa è proficuamente impegnata a negoziare una soluzione diplomatica, e di fare tali provocazioni senza consultarsi con gli europei, è molto deleterio per i rapporti tra USA ed Europa e per il funzionamento della NATO, ha detto Erler. Quando Bush visiterà l'Europa, a febbraio, dovrà esporre in tutta chiarezza qual è la sua politica nei confronti dell'Iran, ha aggiunto Erler che ha esortato quindi i governi europei a sollevare la questione con Bush.
L'ex ministro della difesa cristiano democratico Volker Ruehe ha detto chiaramente: "se gli USA vogliono veramente risolvere il problema iraniano dovrebbero piantarla di fare minacce ma iniziare una cooperazione con gli europei per arrivare alla soluzione diplomatica".
Persino il governo britannico di Tony Blair, solitamente etichettato come "il barboncino" di Bush, si è visto obbligato a prendere le distanze da quest'ultima sterzata guerrafondaia di Washington. Intervistato dal Financial Times, il ministro degli Esteri Jack Straw ha difeso la politica seguita da Francia, Germania e Inghilterra verso l'Iran: "Chi dice che ci lasciamo dividere dagli iraniani sbaglia. Chi dice che non riusciremo a negoziare delle clausole sostanziali si sbaglia. Chi dice che non riusciremo a costruire un rapporto di fiducia con gli iraniani e al tempo stesso costruire un forte consenso da parte degli USA e dei paesi non allineati si sbaglia. C'è voluto uno sforzo enorme, ma siamo soddisfatti di quanto abbiamo fin ora raggiunto. E si tratta di una strategia migliore rispetto a quella alternativa".
Ma la risposta più significativa, soprattutto sul piano strategico, è quella giunta da Mosca. Il ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha dato il 19 gennaio una conferenza stampa sottolineando come la Russia non si lascerà provocare in uno scontro: "C'è chi guarda alla Russia con sospetto e chiede solo di osteggiare e respingere le iniziative russe nell'arena internazionale. Valutiamo approcci del genere come un'istigazione a rilanciare lo scontro, ma noi non ci prestiamo al gioco. Non ci lasceremo provocare", ha detto Lavrov, aggiungendo che è compito dell'intera comunità mondiale impedire che si scivoli verso lo scontro. E' secondo una tale impostazione che la Russia sta affrontando le importanti scadenze dell'inizio dell'anno, ha spiegato il ministro, tra cui il vertice russo-americano, il sessantesimo anniversario della Grande Guerra Patriottica del 1941-1945, che si celebrerà a Mosca con la partecipazione di molti capi di stato, un vertice tra Russia e UE, un vertice del G-8, ecc. A proposito delle esternazioni di Condoleezza Rice, Lavrov ha detto che "la politica interna della Russia è un nostro affare interno. La vita si svolge sulla base della nostra Costituzione e delle decisioni che, su tale base costituzionale, sono prese dalla nostra leadership".

L'aggressione contro l'Iran è operativa

Come spiega lo stesso Hersh nel suo articolo, le operazioni contro l'Iran sono già in fase di svolgimento. Fonti dei servizi indiani hanno raccolto informazioni che confermano, tra l'altro, il ruolo che il Pakistan dovrebbe svolgere attraverso l'Afghanistan. E' previsto il rilascio di molti prigionieri Taleban e una loro ammissione nel governo afghano. Questa è la contropartita richiesta da parte pakistana in vista di una cooperazione con i suoi alleati Taleban per condurre le operazioni previste in Iran. Inoltre, nella provincia di Herat, in Afghanistan, sul confine iraniano, le Forze Speciali USA starebbero costruendo una pista aeroportuale tanto estesa da poter essere utilizzata dai grandi aerei da trasporto. Non è trascorso molto tempo da quando il governatore di quella regione, Ismail Khan è stato destituito senza tante cerimonie perché filo-iraniano, in quello che è considerato un colpo basso da Teheran. La stessa chiave di lettura può essere applicata ad un recente attentato contro il generale afgano Abdul Rashid Dostum, un "signore della guerra" filo russo.
Sebbene, per ragioni ovvie, a Teheran neghino che le forze speciali siano penetrate nel territorio iraniano, le fonti indiane fanno risalire i tentativi di penetrazione già al 2002, dopo l'assassinio corrispondente del <I>Wall Street Journal<P> Daniel Pearl. Si dice che i servizi pachistani ISI furono implicati in quell'assassinio e che a Washington avrebbero promesso di mettere tutto a tacere soltanto se l'ISI avesse cooperato nelle operazioni di infiltrazione per le quali occorrevano basi nella regione del Baluchistan. Questo accordo, raggiunto dal capo dei servizi ISI, gen. Ehsanul Haq, avrebbe condotto alle dimissioni del ministro degli Esteri pachistano Abdus Sattar, nettamente contrario ad iniziative pachistane contro l'Iran.

La risposta iraniana

Che cosa può accadere se gli USA si attengono al progetto denunciato da Seymour Hersh? Gli iraniani hanno fatto sapere che tutta la storia delle infiltrazioni è solo "guerra psicologica". Inoltre, se l'Iran dovesse essere attaccato risponderebbe con mezzi militari che non sono noti agli USA. Il portavoce del ministero degli Esteri Hamid Reza Asefi ha detto in una conferenza stampa del 17 gennaio che "i recenti commenti", in pratica quelli rilasciati da Bush lo stesso giorno, sono considerati "una campagna psicologica e di pressione politica". Secondo Asefi, uno scopo è "non aiutare e incoraggiare l'Europa per una soluzione pacifica di alcuni disaccordi attraverso la diplomazia e il negoziato, ma di sabotare i negoziati tra Iran e UE sul nucleare presentandoli come inconcludenti". Il consiglio alla Rice: "Raccomandiamo al nuovo ministro degli Esteri americano di evitare di ripetere errori del passato riconsiderando la politica sbagliata e infruttuosa dell'unilateralismo e dell'oppressione seguita dall'America".

L'angolo russo

Non c'è dubbio che sotto attacco l'Iran possa rispondere molto aggressivamente, non solo sul suo territorio, ma studiando una risposta asimmetrica, con operazioni all'estero. Le comunità sciite sono maggioritarie in molti paesi del Golfo Persico (Bahrein, Kuwait, ecc.), e sono anche la maggioranza politica in Iraq. Sotto il regime di Saddam, molti sciiti irakeni trovarono asilo politico in Iran. Un attacco all'Iran potrebbe scatenare la rappresaglia da parte di queste comunità sciite in ogni parte del mondo.
Questo è un fatto noto. Meno ovvio invece è ciò che farà la Russia nell'eventualità di un attacco all'Iran. Esperti militari tedeschi, con esperienza nel Golfo, sono convinti che a Mosca siano molto suscettibili ad un eventuale attacco contro l'Iran. La leadership militare russa ha fino ad ora ingoiato senza reagire una serie di gravi umiliazioni: dalla Cecenia a Beslan, fino alle operazioni di sovversione finanziate dai neo conservatori USA in Georgia ed in Ucraina. Nella lista degli "avamposti della tirannia" la Rice conta anche Kazakistan, Kirgizistan e Armenia, e forse anche Bielorussia.
A Mosca sanno che ad un certo punto dovranno reagire ed è probabile che ritengono che la misura venga colmata proprio da un'aggressione contro l'Iran. Tra i due paesi ci sono sostanziali accordi di cooperazione a lungo termine, come ad esempio il programma nucleare, un aspetto importante del quale è l'impianto di Bushehr. Ci sono inoltre programmi infrastrutturali di importanza strategica tra i due paesi che non possono essere lasciati in balia delle provocazioni. I più importanti sono il corridoio di trasporto Nord-Sud che è parte essenziale del Ponte di Sviluppo Eurasiatico.
La Russia vanta importanti accordi economici e militari anche con altre nazioni, come l'Arabia Saudita e il Kuwait. In occasione di recenti incontri ad alto livello tra la dirigenza russa e quelle di Siria e Turchia è risultato evidente l'impegno di Mosca a rafforzare tali rapporti per espandere la propria influenza nella regione. Le perdite economiche della Russia in Iraq sono stata enormi e adesso è improbabile che il governo russo possa permettersi il lusso di sopportare perdite persino peggiori in Iran.
Che cosa potrebbe fare la Russia? Nel peggiore dei casi, sostengono gli esperti tedeschi già citati, la guerra asimmetrica finirebbe per esplodere a livello mondiale, in un processo molto simile a quello della guerra dei trent'anni, e in tale situazione, la Russia "non rinuncerebbe a giocare la carta atomica".

da Neue Solidaritaet, N. 4 – 26.1.2005


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