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Il sistema finanziario non è più "a prova di shock"

Alla fine del 1995 Ethan B. Kapstein, allora direttore degli studi del Council on Foreign Relations (CFR) produsse un documento intitolato "A prova di shock: la fine della crisi finanziaria". Si trattò di un tentativo di contrastare la proposta di Lyndon LaRouche a favore di una nuova Bretton Woods. Nel documento, pubblicato nell'edizione del gennaio/febbraio 1996 di Foreign Affairs, Kapstein riconosceva che "negli ultimi tre anni si sono verificati tre dei più drastici crolli finanziari dalla crisi del debito del 1982", e cioè "la crisi del peso messicano nel dicembre 1994, il fallimento della Barings Bank a febbraio, una banca che aveva 233 anni, e la perdita di un miliardo di dollari della Baiwa Bank a novembre". Si tratta di avvenimenti che "sembrano indicare che il sistema finanziario stia sfuggendo al controllo". Ma Kapstein si mette a spiegare che così non è: "Negli ultimi vent'anni le principali potenze economiche hanno creato una struttura regolatrice che ha permesso ai mercati finanziari di continuare sulla strada della globalizzazione senza la minaccia di un collasso sistemico". Il sistema in pratica è diventato "a prova di shock", sosteneva Kapstein.
Adesso, dieci anni più tardi, Kapstein ha assunto un tono diverso. Ha parlato alla conferenza "Passato e futuro della cooperazione tra le banche centrali" indetta per celebrare il 75° anniversario della fondazione della Banca per i Regolamenti Internazionali (BRI) a Basilea, tra il 27 ed il 29 giugno. Tra gli altri partecipanti: Paul Volcker, Barry Eichengeen, Andrew Crockett, Allan Meltzer, Jacques de Larosiere, Alexander Lamfalussy.
Nel suo discorso intitolato: "Architetti di stabilità? Cooperazione internazionale tra i supervisori finanziari", Kapstein passa in rassegna le crisi finanziarie verificatesi dalla fine di Bretton Woods, nel 1971, e il dibattito su "una nuova architettura finaziaria", che è iniziato nel 1998, citando sovente l'ex ministro del Tesoro Robert Rubin. Lo sviluppo più preoccupante degli ultimi anni sui mercati finanziari, ha detto, è l'affermarsi "di istituti finanziari grandi e complessi" (a cui ha dato la sigla LCFI) che possono risultare "troppo grandi per fallire" ma anche "troppo grandi per essere regolamentati". Inoltre si sono affermati nuovi strumenti finanziari attraverso cui gli LCFI hanno trasferito i propri rischi ai fondi, alle assicurazioni e ai privati. Kapstein quindi conclude:
"L'emergere di banche con assets superiori ai mille miliardi e una grande fetta dei risparmi nazionali, insieme ad un mercato dei titoli sempre più opaco, potrebbe determinare un nuovo ambiente capace di vanificare l'approccio deciso e intransigente alla regolamentazione finanziaria che è stato costruito a Basilea ed altrove. Semplicemente il problema è che il fallimento di un istituto da mille miliardi di dollari, con una miriade di tentacoli di impegni finanziari che si estendono in profondità nelle imprese, nei mercati e ai privati, sarà più grande di quanto una banca centrale può fare ragionevolmente i conti, e i suoi effetti negativi sui mercati e i privati inevitabilmente condurrà alla politicizzazione dei salvataggi".
Questo solleva l'interrogativo "se non sia giunto il momento per le autorità finanziaria ... di cominciare a prendere in considerazione la possibilità di ricorrere a soluzioni istituzionali a cui ad un certo punto si dovrà pur ricorrere sotto circostanze particolarmente difficili e complicate. In particolare vogliamo proporre che in crisi future è molto probabile che gli agenti finanziari richiedano una maggiore cooperazione non solo tra le banche centrali ed i supervisori finanziari, ma forse anche con i politici in carica. Nella misura in cui per dei futuri salvataggi occorrerà attingere alle casse dello stato e adeguare la politica fiscale, parlamentari e dirigenti saranno direttamente coinvolti, per il bene o per il male".
Kapstein sostiene poi esplicitamente che il sistema "non è ancora 'a prova di shock', particolarmente quando si deve fare i conti con delle crisi che ragionevolmente si prospettano in futuro, compreso il tracollo delle LCFI oppure una crisi di sfiducia molto diffusa che potrebbe abbattersi sui mercati e i privati quando i loro investimenti finanziari perderanno valore." Kapstein non lancia un appello per una nuova Bretton Woods, ma è propenso a 'gestire la crisi' avanzando la soluzione di ricorrere ai grandi salvataggi da parte dei governi.


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